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Emergenza migranti secondo Luigi Di Maio

Interessante intervista di Luigi Di Maio dopo l’incontro con Frontex.

Emergenza migranti. Dopo l'incontro con Frontex e le nostre domande alle Ong in audizione, i nodi sono venuti al pettine. Seguite la diretta streaming del punto stampa al Parlamento europeo.

Pubblicato da MoVimento 5 Stelle su Mercoledì 12 luglio 2017

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La sorprendente Germania in una visione ben poco europea.

La Repubblica Federale di Germania è il titolo giusto che distingue il più importante membro dell’UE dagli altri; una potenza economica e politica con una Legge Fondamentale (o Costituzione) veramente democratica e federale che ben si adatta ai tedeschi per il loro spiccato senso di attaccamento alla loro patria. Lavoro, profitto e libertà individuali del cittadino rispetto allo strapotere dello Stato, distinguono questo popolo che in un certo senso traina ancora questa macilenta UE. Credo utili alcuni brevi accenni di storia.

La seconda guerra mondiale era finita in Europa nel maggio del 1945, Hitler aveva perso la guerra; la Germania nazista, il potente Impero del terzo Reich era stato sconfitto insieme all’Italia.

Gli alleati americani, inglesi, francesi e sovietici avevano occupato la Germania e si riunivano nel luglio del ’45 a Potsdam per decidere le sanzioni da applicare. Tra le decisioni prese c’era lo smantellamento dell’industria pesante (che comprendeva cannoni, carri armati ecc., in seguito non applicata) e la divisione dell’ex terzo Reich in quattro zone d’occupazione; ciascun alleato ne avrebbe controllato una.

L’importante posizione strategica della Germania, posta ai confini degli Stati socialisti dell’Unione Sovietica, aveva convinto gli alleati ad ammorbidire alcune pesanti sanzioni e in seguito annullarle per permettere una rapida ricostruzione del paese e fermare un’eventuale avanzata del comunismo. L’alleanza antinazista fra sovietici e occidentali terminava, ed era l’alba della guerra fredda; la costruzione del muro a Berlino sanciva la definitiva rottura con l’Unione Sovietica e la nascita delle due Germanie; quella dell’Est con capitale Berlino e quella dell’Ovest con capitale Bonn.

Nel settembre del ’48 un consiglio parlamentare preparava una Costituzione per la zona occidentale della Germania e il 23 maggio del ’49 la Costituzione, detta Legge Fondamentale, entrava in vigore; quel giorno nasceva la Rft, la Repubblica Federale Tedesca, appunto con capitale Bonn.

I legislatori, che avevano vissuto gli anni della barbarie nazista, erano stati attenti a non ripetere l’errore di creare una Costituzione democratica debole, causa della nascita del nazismo hitleriano, infatti, dal 1919 al 1933, la Germania aveva avuto un regime repubblicano; la meglio conosciuta  Repubblica di Weimar, con la quale gli estensori avevano voluto evitare qualsiasi riferimento.

Il resto è storia attuale ben conosciuta, tuttavia grandi cambiamenti nelle due zone erano avvenuti; l’Est era diventato ben presto comunista, mentre all’Ovest prese avvio un poderoso sviluppo supportato dagli aiuti dei dollari del piano Marshall (come per l’Italia).

Il muro che ha diviso Berlino è durato 28 anni; dal 13 agosto 1961 fino al 9 novembre 1989. Con il suo abbattimento, costato dolori e morti, si ricostituiva la grande Germania.

Partiti insieme, fra le macerie delle città distrutte, oggi, dopo oltre settant’anni, la differenza fra Italia e Germania la costatiamo nelle nostre tasche e nella vita di tutti i giorni.

Molta attenzione è prestata alla pubblicità sulle automobili, la quale è esplicita nel promuovere la qualità del prodotto; il compratore dell’auto orgoglioso dichiara semplicemente; “Ѐ una tedesca!”. Si tratta di lavoro vero, serio, seguito da un alto tenore di vita e di benessere generale, anche considerando l’oneroso impegno che crea molti problemi: l’invasione degli extracomunitari. Ma a un attento esame, per la Germania, non è così.

Questa solidità dell’economia, a fronte delle attuali notevoli difficoltà che gli altri partner europei si trovano ad affrontare, ha una sua ragione, che va attinta in alcune puntuali ricerche che “entrano” in alcuni settori economici molto particolari e che rivelano scoperte a dir poco sorprendenti, per certi versi tutt’altro che “europee”.

 

Di seguito riportiamo fedelmente un articolo di  pubblicato il 30 A sul sito scenarieconomici.it all’indirizzo https://scenarieconomici.it/germaniaparadisofiscale/

Il segreto di Berlino: la Germania è un paradiso fiscale, più di Dubai e Panama. Perchè nessuno lo dice?

È impressionante leggere il financial secrecy index, un riferimento in tema di paradisi fiscali mondiali: secondo tale fonte la Germania è da considerarsi un paradiso fiscale, a tutti gli effetti (base dati del 2015 pubblicati nel 2016, seguirà aggiornamento durante il 2017). Più paradiso fiscale di Dubai ed addirittura di Panama dei Panama Papers, appena dietro al Libano. Di seguito la spiegazione dei fatti sulla base di una semplice lettura del documento ufficiale sulla fiscalità tedesca pubblicata dall’International Tax Justice Network (TJN), in calce i riferimenti, il documento sulla Germania potete anche vederlo qui. Vi basti sapere che la tassazione delle multinazionali veramente tedesche basate in Germania è solo formalmente del 33%, diciamo che con i trucchetti che non si possono pubblicizzare più realisticamente può essere attorno al 10%. Per Vostra informazione la fonte delle informazioni e dell’analisi (TJN) è la stessa che ha scoperchiato l’affaire dei Panama Papers, ossia è altamente reputata. Vedasi citazione dal report di TJN.

DOCUMENTO DA LEGGERE TUTTO E CON ESTREMA ATTENZIONE!

Andate poi a vedere perché la stessa Deutsche Boerse abbia spostato la sede da Francoforte ad una insignificante cittadina, Eschborn, andate a verificare se la tassazione post spostamento è veramente il 33% sbandierato dai politici tedeschi o molto ma molto meno… (con il federalismo regionale le tasse variano a dismisura e per la Borsa tedesca non sono quelle usate nelle statistiche EU). Documento da leggere tutto e con estrema attenzione.

E che dire delle leggi antiriciclaggio tedesche che sono decisamente ed appositamente depotenziate per evitare di essere da intralcio al business, al contrario di quanto Berlino impone ai partners EU. O l’assenza di una polizia fiscale, ad es. come le guardia di finanza (in Italia controllare anche lo scontrino da 1 euro). O che i cittadini tedeschi sorpresi con attivi non dichiarati all’estero non vengono processati (lo spiega il documento analizzato), mentre invece Berlino è attentissima addirittura a ricettare i dati fiscali degli altri cittadini EU soprattutto dei paesi in crisi per far loro pagare le tasse al fine di mantenere l’euro il più a lungo possibile (l’euro è ad esclusivo vantaggio tedesco). Queste – ripeto – sono le valutazioni degli esperti dell’International Tax Justice Network, non quelle dello scrivente (da leggere il documento originale). Citazione dal report ufficiale di TJN:

Ricordiamo ad esempio che NON esiste limite ai contanti in Germania – comprensibile per un paese le cui multinazionali sono ai vertici mondiali per le tangenti pagate, dal Messico, all’Italia, persino in Grecia, mi riferisco alla Siemens, vedasi tabella allegata -, limite invece sollecitato da Berlino in tutta Europa soprattutto per i paesi in crisi per combattere l’evasione, così almeno si dice. Ma dimenticando che – appunto – fino alle aperture fiscali di Berna del 2013 i patrimoni svizzeri non dichiarati erano in maggioranza … Tedeschi! [fonte: Gabriel Zucman, LSE, 2013, vedasiqui]

O che dietro la ricettazione dei dati fiscali svizzeri, panamensi ed del Liechtenstein (HSBC/lista Falciani inclusa) ci sia sempre la Germania – quando Schauble era a capo dei servizi segreti tedeschi, dati poi usati per ricattare altri paesi partner EU -, spiate finanziarie che sono ormai prassi tedesca se si ricorda come già nel 1931 gli agenti segreti germanici furono inviati nella confederazione per rintracciare evasori quella volta solo tedeschi (oggi lo scopo è più sottile, trovare dati di evasori non tedeschi ma stranieri che il fine sia di creare gettito nei paesi in crisi causa austerità euroimposta al fine di permettere di imporre tasse extra con il fine di mantenere vivo l’euro più a lungo possibile a vantaggio tedesco, che di ricattare i politici di paesi EU che non sivogliono allineare, il caso greco/lista Lagarde prima secreteta e poi suppostamente epurata dei governanti che poi suppostamente dovettero imporre nefasta e mortale austerità aipropri cittadini ellenici insegna, vedasi inchiesta di HOTDOC il cui direttore venne arrestato per aver divulgato tali dati e l’intera storia alla gente). Lo scopo è sempre lo stesso, mantenere vivo l’euro, strumento neocoloniale che ha dato tanti vantaggi a Berlino quanto una guerra vinta.

In breve, l’autorevole documento che vi propongo – riferimenti in calce – vi spiega come la Germania da una parte combatte i paradisi fiscali (altrui) ma dall’altra punta a sostituirsi ad essi offrendo servizi finanziari non trasparenti, di fatto Berlino è a tutti gli effetti un paradiso fiscale specializzato nell’ottimizzazione delle tasse per le aziende con il fine di occultarne la proprietà. Oltre ad evitare intralci ai fondi spesi in Germania ovvero non imponendo limiti troppo stringenti ai contanti o eccessivi controlli antiriclaggio. Con tali presupposti secondo voi nel lungo termine un’azienda manterrà ad esempio la residenza fiscale in un paese fiscal-repressore come ad es. l’Italia o emigra in paesi più flessibili? Capito il trucco….. (FCA, Ferrari, Exor, Lottomatica). Infatti viene precisamente indicato nel documento come l’evasione fiscale in Germania non sia un reato presupposto per il riciclaggio, soprattutto se l’evasione è fatta all’estero permettendo di versare i proventi nel circuito bancario (ora capite la reticenza a fare l’unione fiscale da parte dei tedeschi): ad esempio, in Italia lo stesso comportamento vi porta direttamente in galera. Citazioni dal report ufficiale di TJN:

Domandiamoci, è sostenibile questo atteggiamento da parte tedesca? Anzi, è compatibile che il paese che si ritiene il riferimento dell’EU si comporti in modo da mettere prima i propri interessi a danno di quelli di paesi partner europei magari in grave crisi (le aziende che scappano dalle tasse di norma finiscono in paesi EU del blocco tedesco, Juncker e gli accordi bilaterali con aziende dell’Unione insegnano)? Secondo chi scrive non è casuale ma semplicemente il frutto di un piano ben congegnato.

La verità è che Berlino ha deciso di combattere la finanza offshore che, ricordiamo, è di estrazione britannica avendo capito che tale base era uno dei pilasri del potere e della ricchezza globale britannica. In un certo modo oggi Berlino sta sotituendosi al potere britannico in EU. Il vero problema è che, così facendo, mentre la Germania diventa di fatto una sorta di paradiso fiscale per le aziende i paesi EU periferici non posso esimersi dal combattere le stesse elusione che Berlino permette a sè stessa.

Continuare a restare in questa EUropa significa solo fare gli interesssi tedeschi a danno dei propri, ecco perchè alcuni Paesi tra cui principalmente l’Italia dovrebbero – se non vogliono suicidarsi economicamente e socialmente – seguire le orme del Brexit.

MD

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Note:

http://www.financialsecrecyindex.com/PDF/Germany.pdf

 

FONTE: https://scenarieconomici.it/germaniaparadisofiscale/

 

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Orbàn in scia a Trump: lancia la sfida Soros e le sue Ong per di diritti civili

Dal partito di maggioranza ungherese, Fidesz, sono partiti attacchi al miliardario di origine ebraica e al ruolo delle Organizzazioni non governative. Poi la marcia indietro da parte delle alte cariche del governo, ma resta la volontà di introdurre regole più severe “per capire chi vuole influenzarci dall’estero”

di ANDREA TARQUINI

15 gennaio 2017

Il miliardario George Soros BUDAPEST – Che cosa sta succedendo nei rapporti tra l’Ungheria e il miliardario Gyorgy Soros, di origini ungheresi ebraiche? Janos Lazar, il ministro in carica come alter ego e gestore personale dell’attività del popolare premier magiaro Viktor Orbàn, fa marcia indietro e smentisce la validità di durissime dichiarazioni contro Soros esternate da alti esponenti della Fidesz, il partito di maggioranza. Ma il conflitto è aperto. Sovranità nazionale contro presunte minacce del capitale cosmopolita, definizione che nella comunità ebraica mondiale, anche a livello di calcoli di affari e finanza, evoca memorie legate al 1933-1945. E non si sa né come finirà né quali ripercussioni avrà sui mercati.

Andiamo nell’ordine. Prima Szilard Németh, vicepresidente della Fidesz (appunto il partito di governo, dominato da Orbàn leader carismatico incontrastato, e partito membro del Partito popolare europeo) ha detto che Budapest vuole “usare tutti i mezzi legali per spazzare via tutte le ONG fondate da Soros o a lui legate, che servono il capitalismo globale e sostengono la ‘political correctness’ sopra le teste dei governi nazionali”. Contemporaneamente, ONG, oppositori e voci critiche a Budapest avvertivano: “Il premier Orbàn vuol cogliere l’occasione dell’insediamento di Donald Trump a nuovo presidente degli Stati Uniti d’America per una nuova stretta sui diritti civili e contro le ONG”.

Poi Janos Lazar ha gettato acqua sul fuoco. Ma solo in parte. Ha infatti dichiarato: “Non è vero che programmiamo di spazzare via le attività di Soros dal nostro paese, quelle dichiarazioni sono opinioni personali di chi le ha rese. Però il premier è deciso a introdurre regole più severe sulle attività delle organizzazioni non governative (ONG appunto) nel nostro paese, per sapere e capire, in nome dell’interesse e della sovranità nazionali, quali interessi quelle ONG servano: l’Ungheria ha diritto di sapere chi vuole influenzare la sua vita politica dall’estero”.

I legislatori ungheresi, quindi i parlamentari nell’enorme, maestoso Orszaghàz (Parlamento nazionale) in riva al Danubio dove la Fidesz e i suoi alleati minori hanno la maggioranza e forte è la rappresentanza di Jobbik, la destra radicale, dovrebbero presto preparare leggi per tradurre in pratica l’intenzione annunciata di restringere gli spazi delle ONG approfittando dell’èra Trump, riferisce la Bloomberg citando l’agenda dei lavori del Parlamento magiaro. Sempre secondo la stessa fonte, l’accesso al potere di Trump, a detta della Fidesz, offre una chance in questo senso.

La storia è singolare e ha radici lontane. Gyorgy Soros, da decenni, da ben prima della caduta dell'”Impero del Male” sovietico e del Muro di Berlino, ha sostenuto di tasca sua, per scelta, i movimenti per i diritti civili nella sua Ungheria natale e nel resto dell’Europa occupata. Da lui personalmente Orbàn, quando era giovane e coraggioso dissidente liberal e globalista perseguitato dalla dittatura comunista, e dopo, ricevette finanziamenti-donazione come borsa di studio per apprendere scienze politiche e arte di governo al meglio in prestigiose università anglosassoni.

Mostrare o negare Gratitudine e Memoria è scelta personale. Per Trump come per Orbàn, che è stato il primo capo dell’esecutivo di un paese dell’Unione europea a congratularsi in corsa con il presidente eletto usa per la sua vittoria. Il premier ungherese, che da anni ignorava le critiche della Ue e dell’amministrazione Obama per una presunta violazione dei valori costitutivi del mondo libero e per le sue dichiarate intenzioni di costruire un sistema di “democrazia illiberale”, citando egli stesso come esempi da seguire Russia, Cina e Turchia, aveva dichiarato al sito 888.hu nel dicembre scorso che Soros sarebbe stato “spremuto via da ogni paese europeo” e che ogni ONG sarebbe stata esaminata a fondo per vedere quali interessi rappresenta. “L’anno prossimo (il 2017 appena iniziato, ndr) sarà il momento per spremere via Soros e i poteri che egli simbolizza”, avrebbe detto il premier secondo la fonte citata. Poi appunto è venuto lo statement del numero due del suo partito, Szilard Németh, secondo il sito HirTv citato da Reuters: “Soros vuole introdurre in Ungheria il grande capitale globale e la political correctness con esso collegata…queste organizzazioni devono essere respinte con ogni mezzo disponibile, e penso che debbano essere spazzate via, e adesso credo che le condizioni internazionali siano quelle giuste in questo senso con l’elezione del nuovo presidente americano”. Poi Janos Lazar ha frenato e minimizzato. I problemi e i dissapori restano.

Le esternazioni dei governanti di maggioranza ungheresi, riconosciamolo, sono precise e puntuali. Anche Trump in persona ha accusato Soros di essere parte “di una struttura globale di potere responsabile di decisioni economiche che hanno derubato la nostra classe operaia, esurpato il nostro paese della sua ricchezza e messo tutti questi soldi nelle tasche di poche grandi corporations ed entità politiche”. E nella propaganda online Trump ha mostrato Soros insieme alla presidente della Federal Reserve, Janet Yellen, e del Ceo di Goldman Sachs group, Lloyd Blankfein. Tutti e tre ebrei. La ‘Anti-Defamation league’ ha replicato che questi sono metodi usati da decenni dagli antisemiti.
Odore di antisemitismo appena celato come strumento di creazione del consenso: vecchia storia in Europa, e gli ambienti delle comunità ebraiche temono che con l’elezione di Trump il metodo riacquisti ‘appeal’ insieme ad altre tendenze. Del resto, in questo senso l’Ungheria a rileggere la sua Storia non è che possa proprio vantare la migliore patente d’innocenza. Certo, il governo Orbàn ha sempre condannato e combattuto con forza ogni forma di antisemitismo, e si sforza di mantenere rapporti corretti con l’àncora importante e numerosa comunità ebraica ungherese. D’altra parte, è inevitabile che un certo linguaggio sul “capitalismo globale” e “antinazionale” quasi evochi discorsi e scritti di Joseph Goebbels. Parallelamente, secondo gli osservatori, è inevitabile osservare la riabilitazione a tappe (in corso in Ungheria) dell’èra del dittatore ammiraglio e reggente Miklòs Horthy. Ammiraglio d’un paese senza mare, reggente d’una monarchia distrutta. Miklòs Horthy, ex ammiraglio della marina asburgica, fu proclamato reggente dell’Ungheria divenuta nazione dopo la fine dell’impero austroungarico quando nel 1919 da capo militare e leader delle forze ‘bianche’ vinse con gli aiuti militari delle potenze occidentali la guerra civile contro i ‘rossi’ della dittatoriale ‘Repubblica sovietica’ comunista ungherese guidata nel dopo-prima guerra mondiale da Béla Kun.

Horthy entrò vittorioso a Budapest col suo cavallo bianco, ‘ora dovrò purtroppo governare qui a Judapest’, disse secondo citazioni dei suoi attendenti di campo presenti in libri di storia. Nel 1920 introdusse le prime leggi razziali contro gli ebrei, quando Mussolini e Hitler erano ancora ‘precari’. Durante la seconda guerra mondiale, l’Ungheria da lui guidata fu il più importante alleato militare del Terzo Reich nell’Operazione Barbarossa (1941, attacco tedesco alla Russia sovietica cui Winston Churchill rispose in corsa inondando l’Urss di forniture di aerei Spitfire, Hurricane e altri del miglior livello d’eccellenza d’allora, dispositivi elettronici di spionaggio, altre modernissime armi britanniche e battaglioni di consiglieri militari e d’intelligence e così salvandola), nella repressione antipartigiana in Jugoslavia e Slovacchia, poi nell’Olocausto. Oggi nei libri di testo scolastici ungheresi l’unico periodo nero della nazione dalla sua indipendenza sono i decenni sotto la dittatura comunista impostale da Stalin dopo il 1945, non l’èra Horthy. Messaggio apparente: Horthy, via, aveva lati buoni da riconsiderare, Soros è il cattivo cosmopolita. Dimmi chi citi decenni dopo, e ti dirò chi sei. Così l’Era Trump comincia nella splendida Budapest, parte del cuore d’Europa.

Giovedì 4 maggio 2017

Ma chi è George Soros?

È un miliardario e filantropo che per la sua attività politica è diventato lo spauracchio di tutti i complottisti di destra (e non solo)

(Wiktor Dabkowski/picture-alliance/dpa/AP Images)

George Soros è uno dei trenta uomini più ricchi del mondo, un filantropo che ha donato centinaia di milioni di dollari a Ong che si occupano di diritti umani e che si è spesso impegnato in politica, finanziando il Partito Democratico statunitense e i suoi candidati alla presidenza, come fanno molti altri miliardari americani. La risposta alla domanda nel titolo potrebbe esaurirsi qui, se non fosse che  Soros è anche un’altra cosa: la “bestia nera” dei complottisti di tutto il mondo.

Uno sguardo rapido alla sezione “Conspiracy” del sito Reddit, dove solo negli ultimi sei mesi sono state aperte 800 discussioni su Soros, restituisce un’idea abbastanza chiara dell’opinione che molti hanno del miliardario americano: «È un burattino miliardario della famiglia Rothschild che destabilizza intere nazioni finanziando programmi destinati alla “giustizia sociale” e corrompendo politici»; «È un tizio che vuole distruggere tutto ciò che c’è di bello nel mondo e non credo di aver mai sentito una buona ragione sul perché voglia farlo. Vorrei che questa fosse un’iperbole»; «Se non vado errato è il cugino del diavolo. In sostanza, finanzia ogni causa spregevole a cui puoi pensare e lo fa in nome del denaro e dell’influenza globale».

Soros è particolarmente detestato dai conservatori statunitensi per via delle sue idee progressiste, ma negli ultimi anni la sua persona ha iniziato a diventare famigerata anche tra gli esponenti della destra radicale italiana. Soros – che è ebreo, particolare citato sgradevolmente spesso nelle varie teorie del complotto – di recente è accusato soprattutto di essere la mente di un bizzarro piano che sembra uscito da un romanzo di fantascienza distopica: sostituire la popolazione italiana con immigrati da utilizzare come operai a basso costo. Questa strampalata cospirazione è stata sdoganata anche dai politici e dai media mainstream. Matteo Salvini, segretario della Lega Nord, ha parlato di questo complotto più volte, l’ultima proprio questa settimana: «Sono sempre più convinto che sia in corso un chiaro tentativo di sostituzione etnica di popoli con altri popoli: è semplicemente un’operazione economica e commerciale finanziata da gente come Soros. Per quanto mi riguarda metterei fuorilegge tutte le istituzioni finanziate anche con un solo euro da gente come Soros».

Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana noto per difendere spesso Vladimir Putin nei suoi articoli, accusa Soros di disegni occulti e recentemente ha scritto che vuole rovesciare la presidenza di Donald Trump. In televisione queste idee sono state rese popolari da personaggi come “Nessuno”, uno dei partecipanti fissi dello show “La Gabbia”, i cui testi sono scritti dal giornalista di Libero Francesco Borgonovo.

Quando il 3 maggio Soros ha incontrato il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri ha definito il miliardario americano un “cancro”.

La ragione per cui Soros è diventato il nemico di conservatori ed estremisti di destra di tutto il mondo ha probabilmente a che fare con le sue radici e la sua storia personale. Soros nacque nel 1930 da una famiglia di religione ebraica in Ungheria e sopravvisse – quasi per miracolo – alle feroci persecuzioni avvenute nel suo paese durante la Seconda guerra mondiale, tra le peggiori dopo quelle subite dalla Polonia. Nel 1947 si trasferì con la famiglia nel Regno Unito, dove si laureò alla London School of Economics, conseguendo anche un master in filosofia (Soros dice che le teorie di Karl Popper hanno molto influenzato il suo modo di investire). Dopo la laurea lavorò in numerose banche d’affari finché nel 1969 non decise di mettersi in proprio, creando un proprio fondo di investimento.

Soros iniziò a emergere tra le migliaia di gestori di fondi di tutto il mondo nel 1992, quando durante la crisi della sterlina, il “mercoledì nero”, scommise contro la moneta britannica e vendette allo scoperto dieci miliardi di dollari di sterline. L’operazione di Soros contribuì in qualche misura al crollo della sterlina di quei giorni e gli fruttò un miliardo di dollari. Nello stesso periodo, Soros partecipò alla speculazione contro un’altra moneta: la lira italiana. Nel giro di pochi giorni, lira e sterlina uscirono dal Sistema monetario europeo (SME), un sistema che serviva ad ancorare le valute europee a dei cambi fissi le une con le altre. Durante la crisi, la lira venne svalutata di circa il 30 per cento. Soros venne criticato per essersi approfittato della situazione di difficoltà di Italia e Regno Unito. Soros ha risposto alle critiche dicendo di aver agito in base a informazioni a disposizione di chiunque e di essere stato soltanto uno dei numerosi finanzieri che all’epoca scommisero contro le valute europee. Queste non sono le uniche attività finanziarie controverse compiute da Soros. Nel 2006 fu condannato da un tribunale francese per un caso di insider trading (aveva utilizzato informazioni in suo possesso per trarne un indebito vantaggio). Parte delle critiche che riceve, deriva dalla sua attività di investimento, ma in questo Soros non è diverso da altre migliaia di investitori: quello che probabilmente lo distingue dagli altri è il fatto che si è spesso impegnato in politica.

A partire dalla fine degli anni Settanta, Soros ha speso centinaia di milioni di dollari per finanziare i movimenti democratici nei paesi del blocco comunista, come il sindacato polacco Solidarnosc. Nel 1984 fondò un’università in Ungheria che divenne uno dei centri di raccolta per l’opposizione democratica al regime comunista. Tra i giovani leader che furono aiutati da Soros c’era anche l’attuale primo ministro Victor Orbàn, che oggi è passato a posizioni di destra radicale e ha minacciato di chiudere l’università finanziata da Soros.

Tramite la sua Open Societies Foundation e il finanziamento di altre centinaia di organizzazioni, Soros ha esteso la sua attività filantropica e umanitaria in tutto il mondo. Molte delle Ong che ricevono i suoi finanziamenti si battono per valori progressisti, come diritti delle minoranze, delle donne e degli omosessuali; oppure a favore di una stampa libera e contro regimi corrotti. In alcuni casi le organizzazioni finanziate da Soros sono riuscite ad avere un impatto importante sulla storia dei loro paesi. Il caso più eclatante è probabilmente quello della Georgia, dove le ong e le associazioni locali della società civile, alcune sostenute proprio da Soros, hanno guidato la rivoluzione pacifica che ha portato alla fine della presidenza del leader sovietico Eduard Shevardnadze, che era al potere dal 1972. Un’associazione fondata da Soros è presente anche in Ucraina e fu creata prima della caduta dell’Unione Sovietica. All’epoca della rivoluzione del 2014, Soros si schierò apertamente con i leader europei, a favore delle proteste popolari e contro l’allora presidente filo-russo. Oggi le associazioni fondate o finanziate da Soros sono proibite in diversi paesi con regimi più o meno autoritari: dalla Russia alla Bielorussia, passando per Turkmenistan e Kazakistan. Dal 1979 a oggi Soros ha speso circa otto miliardi di dollari nelle sue iniziative civiche e politiche.

Per i critici complottisti, il suo obiettivo non è filantropico. L’interesse di Soros non sarebbe creare società pluralistiche anche nei paesi dove vigono regimi o culture repressive. Il suo vero scopo sarebbe imporre una visione monolitica del mondo che loro vedono come dannosa, fatta di economie capitalistiche e liberi scambi commerciali, libertà di costume e orientamento sessuale. Soros sarebbe un agente della “tirannia del politicamente corretto” e i suoi tentativi di combattere discriminazioni e repressione sarebbero in realtà una scusa per limitare la libertà di cittadini a favore di un “nuovo ordine mondiale”.

Il sito Vocativ ha raccontato in un recente articolo come si è creata questa immagine di Soros. Il passo più importante fu probabilmente una puntata del talk show del presentatore conservatore americano Bill O’Reilly, nell’aprile del 2007. Nel corso della puntata O’Reilly descrisse Soros come un pericoloso estremista di sinistra radicale che aveva l’obiettivo «unificare le politiche estere di tutti i paesi, legalizzare le droghe e l’eutanasia». I mezzi con cui Soros mirava a raggiungere questi obiettivi, disse O’Reilly, erano una complicata rete di fondazioni e ong. Tre anni dopo un altro presentatore conservatore, Glenn Beck, dedicò due puntate del suo show a rivelare il “piano ombra” di Soros, con cui il miliardario puntava a creare un unico governo mondiale per poi mettersene a capo.

Oggi, con l’elezione di Donald Trump, le teorie del complotto nei confronti di Soros hanno raggiunto l’apice della loro popolarità. Secondo personaggi ultracomplottisti come Alex Jones, capo del sito InfoWars, al momento è in corso uno scontro tra l’americanità genuina rappresentata da Donald Trump e un’oscura cabala di miliardari internazionali capeggiati da Soros e intenzionati a prendere il potere negli Stati Uniti. Il Daily Beast ha calcolato che, secondo InfoWars, soltanto nel 2017 Soros è già riuscito a portare sotto il suo controllo 183 organizzazioni e 12 individui diversi. Soros è accusato di condurre la sua campagna con mezzi scorretti, per esempio pagando le migliaia di manifestanti che hanno protestato negli ultimi mesi contro Trump. Come quasi tutte le altre accuse strampalate ricevute da Soros, anche questa si è rivelata falsa.

 

SU COSA GEORGE SOROS PUNTER À IN ITALIA

Informazione Consapevole maggio 04, 2017

L’articolo di Andrea Montanari, giornalista di Mf/Milano Finanza

Nonostante tutto l’Italia è considerato un mercato potenzialmente interessante per gli investimenti internazionali. Lo dimostra non solo il successo dell’aumento di capitale da 13 miliardi di Unicredit (la più rilevante ricapitalizzazione mai fatta nel Paese), ma anche l’interesse che da qualche mese sta mostrando uno dei guru della finanza americana. George Soros, secondo quanto appreso da fonti finanziarie e politiche qualificate da MF-Milano Finanza, ha messo nel mirino il mercato nazionale.

Il miliardario di origini ungheresi, 29° uomo più ricco al mondo per Forbes con un patrimonio di 25,2 miliardi di dollari, ha chiesto allo staff del suo gruppo d’investimento, e in particolare a Shanin Vallée, uno studio approfondito sull’Italia, non solo dal punto di vista finanziario, economico e industriale ma anche politico. Lo scopo? Valutare eventuali investimenti, diretti o indiretti, a medio-lungo termine, sul mercato locale. Soros del resto non solo opera a titolo personale o con la propria struttura, ma è fondatore di Quantum Group of funds e, soprattutto, advisor di Blackrock, uno dei colossi dell’investimento made in Usa, particolarmente esposto sull’Italia, avendo partecipazioni per quasi 2 miliardi nel sistema bancario (vedere MF-Milano Finanza dello scorso 22 aprile), ma anche nelle società quotate sul listino principale, a partire da Eni, Enel, Generali, Telecom Italia, Mediaset e così via.

Ma come mai tutto questo interesse per l’Italia da parte di uno degli uomini che all’età di 87 anni è ancora tra i più attivi su scala globale? È ipotizzabile che siano diversi i fattori che hanno spinto Soros a voler studiare il mercato. Ovviamente una componente è quella di natura politica, vista l’instabilità degli ultimi anni (dal 2011 si sono susseguiti i governi Monti, Letta, Renzi e, ora, Gentiloni) e l’ipotesi di una tornata elettorale nel prossimo autunno è ancora tutta da definire e valutare. A ciò si sommano le condizioni economiche del Paese e il conflittuale rapporto con l’Unione europea sul tema del debito pubblico e del rispetto dei parametri. Senza trascurare il fatto che la vulnerabilità del sistema industriale nazionale ha permesso a tanti gruppi di portata globale di fare acquisizioni a prezzi a volte vantaggiosi.

Non va poi trascurato il tema dei crediti deteriorati (350 miliardi lordi), il cui ammontare è tra i più alti del Vecchio Continente, che sta attirando l’attenzione dei fondi speculativi e non solo di quelli di grandi dimensioni. Non per nulla, Soros è anche ricordato come lo speculatore che il 16 settembre del 1992 costrinse la Banca d’Inghilterra a svalutare la sterlina, guadagnando in un sol colpo 1,1 miliardi di dollari. Mosse che vennero ripetute sempre nello stesso periodo anche in Italia quando vendette le lire allo scoperto comprando dollari, obbligando Bankitalia ad attingere 48 miliardi di dollari dalle riserve per sostenere il cambio, portando a una svalutazione della moneta locale del 30% e alla conseguente estromissione della lira dal sistema monetario europeo.

Ovviamente, Soros non sta operando in prima persona in questa analisi del sistema-Paese. Ha dato l’incarico, come già accennato, a Shanin Vallée, dal maggio 2015 senior economist per il Soros Fund e in precedenza consigliere economico del ministero dell’Economia francese ma soprattutto, dal giugno del 2012, advisor economico dell’ex presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy. Vallée, che sta studiando per un Ph. D. all’Istituto europeo della London School of Economics, è stato anche ricercatore per Bruegel, il comitato di analisi delle politiche economiche nato a Bruxelles nel 2005 e presieduto all’inizio dall’ex premier italiano Mario Monti.

Il fidato consulente di Soros, basato a Roma, sarebbe sul punto di completare il suo articolato report sul mercato italiano dopo averne fatto uno sul sistema bancario (con focus su Unicredit, Mps e le banche venete) dopo aver avuto contatti diretti con parte del governo Gentiloni.

(Articolo pubblicato sul quotidiano Mf/Milano Finanza diretto da Pierluigi Magnaschi)

http://formiche.net/2017/05/03/george-soros-scruta-investire-italia/

Ecco su cosa George Soros punterà in Italia Reviewed by Informazione Consapevole

 

COME GEORGE SOROS, DA SOLO, HA CREATO LA CRISI EUROPEA DEI RIFUGIATI, E PERCHE’.

(Tyler Durden – Zero Hedge Jul 9 2016)

Di David Garland e Stephen McBride, Gallet/Galland Research

George Soros è di nuovo in gioco in  borsa. L’85 enne attivista, politico e filantropo ha conquistato i titoli di testa del post-Brexit, affermando che l’evento avrebbe scatenato una crisi nei mercati finanziari. Ma lui non ne è stato, neanche stavolta, colpito.

Era come sempre dalla parte giusta della barricata, vendendo allo scoperto azioni della preoccupata Deutsche Bank e scommentendo contro la S&P con una quota “put option” da 2,1 milioni sul SPDR S&P 500 ETF.
E ancor più interessante, di recente Soros ha ceduto una posizione di 264 milioni di  $ nella Barrick Gold (la più grande compagnia mineraria aurea ndt.), il cui valore di borsa è schizzato ad un più 14% nel post-Brexit. Oltre a questo affare, Soros ha venduto le sue quote in molte delle sue tradizionali proprietà.

George Soros aveva da poco annunciato che sarebbe di nuovo tornato in pista.

Ritiratosi prima nel 2000, l’unica altra volta in cui fece pubblicamente rientro nei mercati fu nel 2007, piazzando una serie di scommesse al ribasso sull’industria immobiliare USA; alla fine si portò così a casa un gruzzoletto di oltre 1 miliardo di $.

Sin dagli anni ’80, Soros si è attivamente dedicato ad un programma globalista; egli porta avanti tale progetto con la sua Open Society Foundation (OSF).

Che cos’è questo programma globalista, e da dove nasce?

Gli inizi oscuri

Il seme globalista fu impiantato nel giovane George da suo padre Tivadar, un avvocato ebreo che fu un forte promulgatore dell’esperanto. L’esperanto è una lingua creata nel 1887 da L.L.Zamenhof, un oculista polacco, allo scopo di “trascendere i confini nazionali” e “superare la naturale indifferenza dell’umanità”.

Tivadar insegnò l’esperanto al giovane George e lo obbligò a parlarlo in casa. Nel 1936, quando Hitler ospitava le olimpiadi a Berlino, Tivadar si fece cambiare il cognome da Schwarz in Soros, una parola che in esperanto significa “crescerò”, “mi innalzerò”.

George Soros, che nacque e crebbe a Budapest, Ungheria, beneficiò molto della decisione del padre.

Secondo quanto riportato, nel 1944 il quattordicenne George andò a lavorare per gli invasori nazisti. Si dice che fino alla fine della guerra lavorò con un ufficiale del governo, aiutandolo a confiscare i beni presso la popolazione ebrea locale.

In una intervista al talk show 60 minutes, Soros descrisse gli anni dell’occupazione tedesca come: “Il momento più felice della mia vita”.

L’avventura di Soros nella finanza.

Quando la guerra finì, Soros si spostò a Londra e nel 1947 si iscrisse alla Scuola Londinese di Economia, dove studiò sotto Karl Popper, il filosofo austro-britannico che fu uno dei primi sostenitori della “Società Aperta”.

Poi Soros lavorò presso numerose banche commerciali londinesi, prima di spostarsi a New York nel 1963. Nel 1970 fondò il Soros Fund Management (società finanziaria, ndt) e nel 1973 creò il fondo Quantum, in collaborazione con il finanziere Jim Rogers.

Il fondo spuntò rendimenti di oltre il 30% annuo, cementando la reputazione di Soros e ponendolo in una posizione di potere – posizione che continua tuttora a utilizzare per portare avanti il programma dei suoi mentori.

Le speculazioni monetarie che hanno creato le crisi in Gran Bretagna e in Asia

Negli anni 90 Soros iniziò una serie di pesanti scommesse sulle valute nazionali. La prima fu nel 1992, quando vendette allo scoperto la sterlina, facendo in un sol giorno più di 1 miliardo di dollari di guadagno.

La successiva grande speculazione ebbe luogo nel 1997. Questa volta Soros scelse il baht thailandese e, con un volume molto pesante di vendite allo scoperto, distrusse il rapporto prezzo/guadagno del baht col dollaro, dando il via alla crisi finanziaria asiatica.

Gli sforzi “umanitari”

Oggi, il patrimonio di Soros è di 23 miliardi di $. Da quando nel 2000 si è spostato nelle retrovie della sua compagnia, il Soros Fund Management, Soros si è dedicato alle sue attività filantropiche, che porta avanti grazie alla Open Society Foundation, che fondò nel 1993.

Quindi, cosa e a chi dona, e quali cause sostiene?

Tra gli anni 80 e 90, Soros usò la sua incredibile ricchezza per finanziare rivoluzioni in dozzine di paesi europei, inclusi la Cecoslovacchia, la Croazia e la Jugoslavia. Per far questo, incanalò il denaro verso partiti i politici all’opposizione, le case editrici e i media indipendenti di queste nazioni.

Se ti chiedi perchè Soros si interessò a questi affari nazionali, parte della risposta può risiedere nel fatto che, durante e dopo il caos, egli investì pesantemente nei patrimoni di entrambi i rispettivi paesi.

Dopo di questo, Soros utilizzò l’economista della Columbia University Jeffrey Sachs per fornire consulenza ai governi neonati e inesperti su come privatizzare immediatamente tutte le attività pubbliche, permettendo in tal modo a Soros di vendere i titoli, che aveva acquistato durante i disordini, all’interno di mercati aperti di recente formazione.

Incoraggiato dai successi del programma in Europa, attraverso i cambiamenti di regime – e approfittando personalmente della cosa – dopo poco girò l’attenzione al grande palcoscenico, gli Stati Uniti.

Il grande momento

Nel 2004 Soros dichiarò “Io credo profondamente nei valori di una società aperta. Negli ultimi 15 anni ho dedicato i miei sforzi all’estero; ora lo farò negli Stati Uniti.”

Da allora Soros ha finanziato gruppi quali:

  • L’Istituto Americano di Giustizia Sociale, il cui scopo è di “trasformare le comunità povere attraverso un’attività di lobbying per una spesa governativa più consistente per i programmi sociali”
  • La Fondazione New America, il cui scopo è di “influenzare l’opinione pubblica su argomenti quali ambientalismo e governo globale”
  • L’Istituto di Politica Migratoria, che mira a “realizzare un reinsediamento dei migranti illegali e incrementare i loro vantaggi sociali del welfare”.

Soros usa inoltre la sua Open Society Foundation per far arrivare il denaro all’organo di stampa progressista MediaMatters. (ONG onlus organo di controllo di media e pubblicazioni negli Stati Uniti – watchdog, ndt)

Soros incanala il denaro tramite tutta una serie di gruppi di sinistra, quali la Tides Foundation, il Centro del Progresso Americano, e l’Alleanza Democratica, al fine di aggirare le leggi sul finanziamento delle campagne, che lui aiuta a promuovere.

Come mai Soros ha regalato così tanti soldi e impegno a queste organizzazioni?

Per un semplice motivo: per acquisire potere politico.

I politici democratici che si muovono contro la linea progressista, riceveranno tagli ai finanziamenti e verranno attaccati da organi di stampa quali MediaMatters, che tra l’altro collabora con società e siti del mainstream del calibro di NBC, Al Jazeera e del The New York Times.

A parte i 5 miliardi di dollari che la foundation ha donato ai gruppi suddetti, egli ha inoltre elargito cospiqui contributi al partito Democratico e ai suoi membri più importanti, quali Joe Biden, Barack Obama, e naturalmente Bill e Hillary Clinton.

La grande amicizia con i Clinton

Il rapporto di Soros con i Clinton risale al 1993, all’incirca cioè al tempo in cui la foundation fu fondata. Sono poi divenuti ottimi amici e la loro relazione duratoria va ben al di là dello status di donatore.

Secondo il libro “The shadow party” (il partito ombra ndt) di Horowitz e Poe, in una conferenza del 2004 di “Take Back America” in cui Soros parlava, la ex first lady lo presentò dicendo “abbiamo bisogno di persone come George Soros, che ha il coraggio e la voglia di mettersi in gioco quando c’è bisogno.”

Soros iniziò a sostenere l’attuale corsa presidenziale di Hillary Clinton nel 2013, assumendo un ruolo importante nel gruppo “Pronti per Hillary”. Da allora, Soros ha donato oltre 15 milioni di $ ai gruppi pro-Clinton e ai super PAC (Politic Action Committee – Comitati di azione politica).

Più di recente, Soros ha devoluto più di 33 milioni di $ al gruppo Black Lives Matter, che è stato implicato in scoppi di agitazioni sociali a Ferguson (Missouri) e a Baltimora (Maryland), nel 2015 (e ai recentissimi di Dallas – ndt). Entrambi questi incidenti hanno contribuito a peggiorare le relazioni razziali in tutta l’America.

Lo stesso gruppo ha pesantemente criticato il concorrente democratico Bernie Sanders per un suo presunto appoggio alla disugualianza razziale, contribuendo così a scalzarlo da quel ruolo che aveva di minaccia competitiva in una delle circoscrizioni più infuocate per Hillary Clinton.

Tutto questo, ovviamente, ha aumentato e di molto l’influenza che Soros esercita sui gruppi suddetti. Ed è logico pensare che ora sia in grado di manovrare la linea democratica, specialmente in una ammisitrazione con a capo Hillary Clinton.

Ciò che Soros vuole, semplicemente lo ottiene. Ed è evidente dai suoi trascorsi che lui mira a confondere i  confini nazionali, creando quella sorta di incubo globalista che è di scena  nella Unione Europea.

Negli ultimi anni, Soros si è di nuovo concentrato sull’Europa. E’ una coincidenza che il continente sia attualmente in difficoltà economiche e sociali?

Un’altro successo: il conflitto ucraino.

Non c’è dubbio alcuno sull’influenza che Soros ha sulla politica estera americana. In una intervista alla PBS dell’ottobre del 1995 con Charlie Rose, disse: “Io ora ho accesso (al vice segretario di stato Strobe Talbott). Non è in dubbio. Noi realmente lavoriamo assieme (sulla politica dell’Europa dell’Est).”

La presenza mediatica di quell’orribile faccione di Soros si è di nuovo impennata nel conflitto Russia-Ucraina, che prese il via all’inizio del 2014.

In una intervista del maggio 2014 con la CNN, Soros dichiarò che egli stesso era responsabile di aver creato una fondazione in Ucraina, che alla fine condusse al ribaltamento del leader eletto dal paese e all’insediamento di una giunta scelta dal Dipartimento di Stato US, che guarda caso a quel tempo aveva a capo Hillary Clinton.

Intervista

CNN: Come prima cosa sull’Ucraina, una delle molte cose che la gente fa notare,  fu che lei, durante le rivoluzioni del 1989, finanziò molte attività dissidenti e gruppi della società civile nell’Europa dell’Est, in Polonia e nella Repubblica Ceca. Sta facendo lo stesso in Ucraina?

SOROS: Bene, io fondai una fondazione in Ucraina prima che questa diventasse indipendente dalla Russia. E la fondazione lavora da allora e ora gioca un ruolo importante negli eventi.

La guerra che dilaniò la regione ucraina del Donbass comportò la morte di oltre 10.000 persone e lo sfollamento di un altro milione e 400.000. E come “danno collaterale”, fu abbattuto un jet della Malaysian Airlines con 298 passeggeri a bordo.

E ancora una volta Soros era lì per guadagnare dal caos che aveva contribuito a creare. Il suo premio in Ucraina fu il monopolio della società energetica statale Naftogaz.

Soros fece anche lì in modo che i suoi compari americani, il segretario del tesoro Jack Lew e l’azienda di consulenza McKinsey, consigliassero il governo fantoccio dell’Ucraina di privatizzare Naftogaz.

Sebbene l’esatta quota di Soros nella Naftogaz non sia stata resa pubblica, in una nota del 2014 si impegnò ad investire fino a 1 miliardo di dollari negli affari ucraini, e sinora non sono emersi  nomi di altre società ucraine.

Il suo ultimo successo: la crisi europea dei rifugiati

Il progetto di Soros riguarda fondamentalmente la distruzione dei confini nazionali. Questo è stato dimostrato senz’ombra di dubbio dal suo finanziamento alla crisi europea dei rifugiati.

La colpa di tale crisi è stata attribuita alla guerra civile che sta attualmente imperversando in Siria. Ma non vi siete mai chiesti come faceva a sapere tutta questa gente, improvvisamente, che l’Europa avrebbe aperto i cancelli e li avrebbe lasciati entrare?

La crisi dei rifugiati non è un fenomeno naturale. Essa ha coinciso con le donazioni che l’open society foundation OSF faceva all’Istituto di Politica Migratoria con sede negli US e alla Piattaforma per la Cooperazione Internazionale su Migranti senza Documenti, tutto denaro investito da Soros. Entrambi i gruppi sostengono il reinsediamento dei musulmani del terzo mondo in Europa.

Nel 2015, un reporter di Sky News trovò dei “manualetti per i migranti” sull’isola greca di Lesbo. Si seppe poi che i libretti, scritti in arabo, erano stati dati ai “rifugiati” prima di attraversarre il mediterraneo da un gruppo chiamato “Benvenuti nella EU”.

“Benevenuti nella EU” è finanziato – già lo pensavi – dalla Open Society Foundation.

Soros non solo ha appoggiato gruppi che facilitano l’accoglienza dei migranti del terzo mondo in Europa, ma è anche di fatto l’architetto del “Piano Merkel”.

Il Piano Merkel fu creato dall’Iniziativa per la Stabilità Europea, il cui presidente Gerald Knaus è un socio anziano dell’immancabile Open Society Foundation.

Il piano si propone che la Germania possa garantire asilo a 500.000 rifugiati siriani. Afferma inoltre che la Germania, assieme ad altre nazioni europee, dovrebbe unirsi nell’aiuto alla Turchia, un paese musulmano al 98% , ad ottenere entro il 2016 che gli spostamenti all’interno dell’Europa avvengano senza bisogno del passaporto.

Il discorso politico

La crisi dei rifugiati ha creato grandi preoccupazioni in paesi europei come l’Ungheria.

In risposta ai 7.000 migranti che sono entrati giornalmente in Ungheria nel 2015, il governo ha ristabilito i controlli di frontiera per impedire l’ingresso dei rifugiati nel paese.

Ovviamente questo non ha fatto piacere né a Soros né ai suoi stretti alleati, i Clinton.

E da allora Bill Clinton ha iniziato a fare dichiaraizioni, accusando Polonia e Ungheria di pensare che “la democrazia è un problema troppo grande per loro” e di voler instaurare una “dittatura autoritaria in stile Putin.”

Comprendendo l’allusione nel commento di Bill Clinton, il primo ministro ungherese Viktor Orban ha risposto dicendo: “le osservazioni fatte su Polonia e Ungheria … hanno una dimensione politica. Non sono cose accidentalmente scappate di bocca. E tali rimproveri si sono moltiplicati da quando siamo nell’era della crisi migratoria. E tutti noi sappiamo che dietro i leader del Partito Democratico, dobbiamo collocare George Soros”.

Orban si è spinto fino a dire: “anche se la bocca è dei Clinton, la voce è di Soros.”

Riguardo la politica migratoria di Orban, Soros ha allora risposto: “Il suo piano (di Orban) tratta la protezione dei confini nazionali in quanto obiettivo e i rifugiati in quanto ostacolo. Il nostro piano tratta la protezione dei rifugiati quale obiettivo e dei confini nazionali come ostacolo.”

Più esplicito di così non poteva essere, nel comunicare le sue intenzioni globaliste.

Il motivo del profitto

Dunque, perchè Soros si impegna così tanto per inondare l’Europa con moltitudini di musulmani del terzo mondo?

Non possiamo esser certi degli importi, ma recentemente è venuto alla luce che Soros ha intrapreso una gran serie di “posizioni derivative al ribasso” contro i titoli americani. Da quanto sembra, egli pensa che causare il caos in Europa contagerà gli Stati Uniti, creando una spirale discendente a Wall-Street.

Distruggere l’Europa con l’invasione di milioni di musulmani non integrati è un piano specifico per causare il caos economico e sociale nel Continente: un altro splendido esempio di come tumulto equivale a profitto per George Soros, che sembra ormai avere le mani e lo zampino su quasi tutti gli eventi geopolitici attuali.

Sappiamo però tutti che correlazione non è causazione. Comunque, data la sua enorme ricchezza, le sue connessioni politiche e il suo lungo trascorso di saper trarre profitto dal caos, Soros è quasi certamente un importante catalizzatore  di molti dei tumulti attuali.

Il suo intento è quello di distruggere i confini nazionali e di creare una struttura di governance globale con poteri illimitati. Dai suoi commenti diretti a Viktor Orban, possiamo capire che Soros vede chiaramente i leader nazionali come suoi dipendenti, in attesa che diventino marionette che vendono poi la sua narrativa alle masse ignoranti.

Soros vede se stesso come un missionario che continua il piano globalista tramandatogli dai suoi antichi mentori. Per proseguire nel progetto, Soros usa le sue vaste connessioni politiche  influenzando le linee di governo e per creare crisi, sia economiche che sociali.

A quanto sembra, Soros cospira contro l’umanità ed è maledettamente determinato a distruggere le democrazie occidentali.

Per qualsiasi pensatore razionale, alcuni eventi globali non hanno semplicemente senso. Perchè, per esempio, le democrazie occidentali dovrebbero accogliere milioni di persone i cui valori sono completamente incompatibili con i propri?

Quando guardiamo più da vicino l’agenda globalista attivamente proposta dal mastro burattinaio, George Soros, le cose diventano però più chiare.

Ed ecco i clown

Non c’è niente di più simile alla carta “Esci di prigione” (del Monopoli ndt) di quella data dai pagliacci della FBI a Hillary, con riferimento ai suoi server privati di posta elettronica. E questo nonostante non ci sia più alcun dubbio che lei abbia infranto tutte le leggi federali, cosa che avrebbe fatto sbattere in galera qualsiasi clown di minore importanza.

Il direttore dell’FBI James Comey ha dichiarato: “Sebbene ci sia prova di potenziali violazioni dei regolamenti riguardanti il trattamento di informazioni classificate, il nostro giudizio è che nessun pubblico ministero ragionevole si impegnerebbe in tale caso.

C’è raffinatezza in tale affermazione. Per prima cosa, afferma che c’è prova di violazione. Ma è anche chiara la realtà politica che nessun “pubblico ministero assennato” farebbe in tal caso rispettare le leggi, considerando chi è il colpevole: il tipico portabandiera democratico americano che andrà ad elezioni.

Oltre a questo, schierarsi contro i Clinton significa incrociare le spade con Soros, e nessun “ragionevole pubblico ministero” vorrebbe farlo.

Tanto per dire…

Articolo originario:

http://www.zerohedge.com/news/2016-07-08/how-george-soros-singlehandedly-created-european-refugee-crisis-and-why

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Italia terra di conquista. Aziende storiche vendute all’estero

25 giugno 2017 – Tratto da Mezzostampa

Il Made in Italy è sempre meno italiano, dato che le aziende di punta del settore dell’industria, della moda e degli alimentari vengono acquisite con preoccupante costante da holding straniere. Gli ultimi casi sono la Telecom venduta agli spagnoli che stranamente, pur essendo indebitati più di noi, hanno acquisito l’azienda italiana, e quello dei cioccolatini Pernigotti, venduti dai Fratelli Averna al gruppo Sanset della famiglia Toksoz. Pernigotti è un’azienda storica con oltre 150 anni di attività. Ma ormai siamo avviati su una china molto pericolosa per l’occupazione e per l’approvvigionamento delle materie prime, che rischiano di spostarsi in terra straniera. A tutt’oggi, solo per l’agroalimentare sono stati venduti marchi per circa 10 miliardi di euro. Ma la domanda che bisogna porsi è: “queste aziende potevano sopravvivere nel mercato globale senza far parte di grossi gruppi industriali?”.

Artigianato e tradizione spesso non vanno molto d’accordo con i ritmi e le pretese di un mercato in cui le spese di produzione si alzano e i profitti calano. Vendere è forse di vitale importanza per gli imprenditori, ma in tutto questo discorso si sente l’assenza dello Stato, che nulla sembra volere e potere fare per arrestare la dissoluzione del Made in Italy e, anzi, vessa sempre più le aziende con una pressione fiscale a livelli record. Non esiste settore che non sia stato toccato dalle mani delle ricche holding straniere. La strategia di questi gruppi è semplice: attendere il momento di difficoltà economica per appropriarsi di aziende con valore aggiunto notevole visto che, pur non più italiano al cento per cento, il prodotto italiano vende sempre e comunque, soprattutto all’estero.

Ecco così che un’opportunità di crescita per il comparto esportazioni è  ridotta al lumicino dall’esternalizzazione della proprietà e, molto spesso, anche della produzione. Il primato sul bel vivere e vestire non ci appartiene più, è meglio farsene una ragione. Ma quello che preoccupa di più è l’acquisizione di negozi, supermercati, fabbriche, ristoranti, da parte di cinesi che ormai sono l’etnia più numerosa, specie nel Sud Italia.

Vista la rapidità con la quale le aziende, oramai trasformate in pacchetti azionari, cambiano proprietà, nell’elenco potrebbe esserci stato qualche cambiamento ma conta poco, in Italia non tornano più. Qui di seguito c’è l’elenco recente di aziende vendute all’estero, ma sono solo una parte, e quelle più conosciute:

  • La Telecom è stata venduta….la cosa più grave che l’hanno comprata gli spagnoli che stanno più inguaiati di noi….e il Presidente della Telecom dice:”Non ne sapevo niente” (sigh)…
  • La Barilla è stata venduta agli americani…
  • L’Alitalia ultimamente diventata Società Aerea Italiana S.P.A. è la compagnia aerea di bandiera   italiana in amministrazione straordinaria ma poi commissariata. Il suo futuro è molto incerto
  • La Plasmon è stata venduta agli americani
  • La Parmalat, di quel buon signore di Tanzi, è stata venduta ai francesi della Lactalis
  • L’Algida è stata venduta ad una società anglo-olandese
  • L’Edison, antica società dell’energia, venduta ad una società francese, l’EDF
  • Gucci è nelle mani della holding francese Kering
  • BNL è controllata dal gruppo francese Bnp Paribas
  • ENEL cede buona parte delle quote ai russi (il 49%)
  • Il marchio AR, azienda conserviera quotata in borsa, di Antonino Russo, è passata ai giapponesi della Mitsubishi
  • Lo stabilimento AVIO AEREO è passato alla Generale Eletric…
  • I cioccolatini Pernigotti dei fratelli Averna venduti ai turchi della famiglia Toksoz
  • L’azienda Casanova, La Ripintura, nel Chianti, è stata recentemente acquisita da un imprenditore di Hong Kong
  • I baci perugina appartengono dal 1988 alla svizzera Nestlè
  • I gelati dell’antica gelateria del corso sempre alla Nestlè
  • Buitoni: L’azienda fondata nel 1927 a Sansepolcro dall’omonima famiglia è passata sotto le insegne di Nestlè nel 1988
  • Gancia: le note bollicine sono in mano all’oligarca russo Rustam Tariko (proprietario tra l’altro della vodka Russki Standard) dal 2011
  • Carapelli è nella galassia del gruppo spagnolo Sos dal 2006, cosi come Sasso e Bertolli
  • Star. Il 75% della società fondata dalla famiglia Fossati (oggi azionisti di Telecom Italia) nel primo dopoguerra, è in mano alla spagnola Galina Blanca (entrata nel 2006 e poi salita del capitale del gruppo)
  • Salumi Fiorucci: sono in mano agli spagnoli di Campofrio Food Holding dal 2011
  • San Pellegrino è stata acquisita dagli svizzeri della Nestlè dal 1998
  • Peroni è stata comperata dalla sudafricana Sabmiller nel 2003
  • Orzo Bimbo acquisita da Nutrition&Santè di Novartis nel 2008
  • La griffe del cachemire “Loro Piana”, fiore all’occhiello del made in Italy, è stata ceduta per l’80% alla holding francese Lvmh che già include simboli assoluti come Bulgari, Fendi e Pucci
  • Chianti classico (per la prima volta un imprenditore cinese ha acquistato un’azienda agricola del Gallo nero)
  • Riso Scotti (il 25% è stato acquisito dalla società alla multinazionale spagnola Ebro Foods)
  • Eskigel (produce gelati in vaschetta per la grande distribuzione (Panorama, Pam, Carrefour, Auchan, Conad, Coop) (ceduta agli inglesi con azioni in pegno ad un pool di banche)
  • Fiorucci–Salumi (acquisita dalla spagnola Campofrio Food Holding S.L.)
  • Eridania Italia SpA (la società dello zucchero ha ceduto il 49% al gruppo francese Cristalalco Sas)
  • Boschetti alimentare (cessione alla francese Financière Lubersac che detiene il 95%)
  • Ferrari Giovanni Industria Casearia SpA (ceduto il 27% alla francese Bongrain Europe Sas) 2009
  • Delverde Industrie Alimentari SPA (la società della pasta è divenuta di proprietà della spagnola Molinos Delplata Sl che fa parte del gruppo argentino Molinos Rio de la Plata) 2008
  • Bertolli (venduta a Unilever, poi acquisita dal gruppo spagnolo SOS)
  • Rigamonti salumificio SPA (divenuta di proprietà dei brasiliani attraverso la società olandese Hitaholb International)
  • Orzo Bimbo (acquisita da Nutrition&Santè S.A. del gruppo Novartis)
  • Italpizza (ceduta all’inglese Bakkavor acquisitions limited)
  • Galbani (acquisita dalla francese Lactalis)
  • Sasso (acquisita dal gruppo spagnolo SOS)
  • Fattorie Scaldasole (venduta a Heinz, poi acquisita dalla francese Andros)
  • Invernizzi (acquisita dalla francese Lactalis, dopo che nel 1985 era passata alla Kraft) 1998
  • Locatelli (venduta a Nestlè, poi acquisita dalla francese Lactalis)
  • San Pellegrino (acquisita dalla svizzera Nestlè) 1995
  • Stock (venduta alla tedesca Eckes A.G., poi acquisita dagli americani della Oaktree Capital Management) 1993
  • La Safilo (Società azionaria fabbrica italiana lavorazione occhiali), fondata nel 1878, che oggi produce occhiali per Armani, Valentino, Yves Saint Laurent, Hugo Boss, Dior e Marc Jacobs, è diventata di proprietà del gruppo olandese Hal Holding
  • Nel settore della telefonia, a Milano nel 1999 era nata Fastweb, una joint venture tra e.Biscom e la comunale Aem che oggi fa parte del gruppo svizzero Swisscom
  • Nel 2000 Omnitel è passata di proprietà del Gruppo Vodafone
  • Nel 2005 Enel ha ceduto la quota di maggioranza di Wind Telecomunicazioni al magnate egiziano Sawiris, il quale nel 2010 l’ha passata ai russi di VimpelCom
  • Nel campo dell’elettrotecnica e dell’elettromeccanica nomi storici come Ercole Marelli, Fiat Ferroviaria, Parizzi, Sasib Ferroviaria e, recentemente, Passoni & Villa sono stati acquistati dal gruppo industriale francese Alstom, presente in Italia dal 1998
  • Nel 2005 le acciaierie Lucchini spa sono passate ai russi di Severstal, mentre rimane proprietà della omonima famiglia italiana, la Lucchini rs, che ha delle controllate anche all’estero
  • Fiat Avio, fondata nel 1908 e ancora oggi uno dei maggiori player della propulsione aerospaziale, è attualmente di proprietà del socio unico Bcv Investments sca, una società di diritto lussemburghese partecipata all’85% dalla inglese Cinven Limited
  • Benelli, la storica casa motociclistica di Pesaro, di proprietà del gruppo Merloni, nel 2005 è passata nelle mani del gruppo cinese QianJiang per una cifra di circa 6 milioni di euro, più il trasferimento dei 50 milioni di euro di debito annualmente accumulato
  • Nel 2003 la Sps Italiana Pack Systems è stata ceduta dal Gruppo Cir alla multinazionale americana dell’imballaggio Pfm Spa
  • In una transazione di qualche tempo fa Loquendo, azienda leader nel mercato delle tecnologie di riconoscimento vocale, che aveva all’attivo più di 25 anni di ricerca svolta nei laboratori di Telecom Italia Lab e un vasto portafoglio di brevetti, è stata venduta da Telecom alla multinazionale statunitense Nuance, per 53 milioni di euro.

Totale 54 aziende.

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I fatti di Piazza S. Carlo e Londra

L’attentato a Londra del 3 giugno 2017 è l’ennesima prova tangibile, non dell’ingovernabilità oramai fatta sistema ma dell’incapacità, criminale faciloneria e inefficienza di un’Europa tremendamente muta, sorda e cieca, incapace di ascoltare, tutelare i suoi cittadini prima europei e italiani, in quanto membri dell’Unione, dagli attuali politici oscurantisti, incapaci e vessatori, permettendo a questa marea extracomunitaria di invadere il Piemonte (e l’Italia) senza limiti, controlli e alcun criterio logico. Si tratta di povera gente sfruttata di varie nazionalità, culture e religioni diverse difficilmente integrabili, a fronte di una simulata integrazione di comodo e uno sbandierato multi-etnismo di facciata. Un folle sogno dei mercanti di carne umana che finirà per distruggere quel poco che resta di questa grande idea di Comunità Europea nata a Ventotene.

Il tardivo basta! di Theresa May sia un atto reale e non di sole parole nella nuova Inghilterra libera, fuori dai lacci dell’Unione. Intanto contiamo ancora altri morti, cittadini inconsapevoli e inermi, non politici protetti dai guarda-spalle e al sicuro nei loro fortini.

Gli assurdi incidenti di Piazza San Carlo a Torino

Decine di migliaia di giovani e meno giovani tifosi juventini assiepati nella Piazza per fare cosa? Festeggiare la loro squadra del cuore infischiandosene della prudenza e del più elementare buon senso? Si tratta di una madornale stupidità, oramai diventata normalità, dall’improvvido modo di vivere sconsiderato d’oggi. Nelle piazze londinesi e parigine i terroristi sparavano a raffica sulla folla minacciando con coltelli alla mano ma a Torino non è successo nulla di tutto questo.

I terroristi erano gli stessi festaioli che l’atto idiota di qualcuno ha fatto scatenare l’inferno; non tifosi ma orde di barbari in fuga hanno calpestato tutto e tutti, lordando in modo indegno una delle più belle piazze italiane. Oggi il nuovo Prefetto, in un comunicato chiede scusa alla città; chiede scusa, come se avesse pestato inavvertitamente un piede a qualcuno; ma cosa sarebbe successo se ci fossero stati dei morti? Tranquilli, i cittadini non devono preoccuparsi; il Prefetto e le autorità preposte all’ordine pubblico promettono che tutto cambierà, dobbiamo crederci? Con costoro alla guida, non solo cambierà nulla ma viviamo nel terrore aspettando le nuove misure di sicurezza che inventeranno. Notizia di oggi 16/06/2007 è che il morto c’è; le ferite erano troppo gravi e Erika è morta, condoglianze alla famiglia.

Da almeno un decennio contiamo i morti ammazzati da questo terrorismo spietato, assassino, affrontato dal governo italiano con armi che sparano parole, come vuole la più solida tradizione italiana dell’attendismo, dall’incapacità decisionale, dalla sempre più solerte disorganizzazione.

Eppure la Torino sabauda aveva un esercito addestrato, collaudato in mille battaglie prevalentemente a difesa della città. Purtroppo il 22 settembre del 1864 proprio in piazza san Carlo  (come ricorda una targa commemorativa) l’esercito e i carabinieri sparavano sui torinesi (55 morti e circa 133 feriti) che protestavano per la paura di una crisi delle aziende e relativa perdita di posti di lavoro a causa dello spostamento della capitale d’Italia da Torino a Firenze.

Proteste per non perdere il lavoro e non per festeggiare una squadra di calcio; un gioco (non è sport) che ingloba in sé solo porcherie; violenza, corruzione, partite truccate, troppo denaro sperperato dai club in questi anni di crisi irreversibile e che si allarga a macchia d’olio, l’opposto di quanto dice la martellante pubblicità di regime.

In questi tempi di forte avanzata del terrorismo, alla fine si dovrà ritornare alla leva militare obbligatoria o almeno a dei periodi ciclici di addestramento per impegnare e istruire questo esercito di giovani disoccupati e sfaccendati. Si obietterà con la solita tiritera della mancanza di denaro, di caserme inadeguate e chissà cos’altra; viviamo in uno Stato diventato strumento per finanziare il partito sinistroide di maggioranza, colmare le sue spese e i debiti per favori di scambio, inoltre sperpera denaro a piene mani per strutture pubbliche obsolete (ad esempio come nella RAI, ridotta a una grande, nauseabonda cucina), riducendo all’osso la Sanità, i servizi in generale e la tutela del cittadino. Intanto le nostre aziende chiudono, fuggono o sono svendute, Nell’elenco sottostante quelle indicate sono le più note. Teniamo ben conto che parlare oggi di aziende bisogna accantonare l’elemento umano, ossia i dipendenti, che in realtà contano poco o nulla, è considerata merce di scambio, quali titoli, azioni, carta insomma e magari con quotazioni in borsa; sul WEB con velocità impensabili, tutto diventa subito vecchio, come le notizie. L’insieme contribuisce, in qualche modo a dare un valore iniziale di trattativa all’azienda, che l’acquirente tende sempre al massimo ribasso. Non abbiamo più buoni venditori e buoni manager, è il sistema collassato al quale oramai è legata l’Italia, finché dura, perché le spudorate menzogne hanno le gambe corte e questo parlamento farà terra bruciata dietro di sé, fintanto che gli italiani non si sveglieranno dai loro sogni colmi di calcio, Juventus e canzonette.

Sabato, 10 Giugno 2017 –Tratto da Mezzostampa

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Aggiornamenti e notizie sulla situazione triestina

Come preannunciato in un precedente articolo continuiamo la pubblicazione di notizie ed aggiornamenti sulla situazione del territorio triestino pubblicate dal Movimento Trieste Libera (www.triestelibera.one).

In questo video si parla della situazione del terrapieno inquinato di Barcola, un’ex discarica comunale di rifiuti tossici e di cosiddetti “materiali inerti” in piena zona balneare.  L’attuale amministrazione comunale vorrebbe realizzarvi dei parcheggi, ma per farlo dovrebbe bonificare l’area (contaminata anche da diossina a causa dallo smaltimento delle ceneri dell’inceneritore comunale di rifiuti) ed il costoso intervento è fuori dalla portata del Comune: oltre 50 milioni di Euro.

Segue il video completo dell’incontro pubblico “Chi deve pagare gli inquinamenti a Muggia?” durante il quale Trieste Libera ha spiegato ai cittadini di Muggia che rischiano di dover pagare, oltre che con la salute, anche con le tasse comunali le enormi spese di bonifica degli inquinamenti causati o consentiti dal malgoverno dei partiti e dei politici italiani collusi con interessi di speculatori: Montedorofoci dell’OspoNoghere, Porto San Roccoterrapieno Acquario, ecc.

In ultimo proponiamo uno stralcio della trasmissione “Sveglia Trieste” del 31 maggio 2017  dove è intervenuto Roberto Giurastante, Presidente di Trieste Libera, il quale ha risposto alle domande dei cittadini sullo status del Territorio Libero e del Porto Franco internazionale di Trieste.

Gli argomenti principali sono stati lo status dell’attuale Territorio Libero di Trieste dopo i mutamenti territoriali del 1992, il regime speciale e le potenzialità di sviluppo del Porto Franco, che esiste solo come ente di Stato del Territorio Libero, senza dimenticare i problemi relativi all’attuale amministrazione provvisoria italiana, in particolare la tassazione, e gli strumenti che Trieste Libera mette in atto a livello locale, italiano e internazionale (ONU) per ripristinare lo Stato di diritto.

 

Buona visione.

 

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La questione ambientale italiana, il dramma di Trieste e il suo Porto Franco Internazionale.

La questione ambientale italiana è drammatica; molti capoluoghi di Provincia e altre grandi città come Roma, la città pattumiera; Catania e i suoi problemi di smaltimento rifiuti; gl’incendi boschivi in provincia di Messina; al Nord, Torino e le sue periferie; oramai l’inquinamento da rifiuti, prodotti chimici e altri veleni appestano ampie aree del territorio. Questo e ancora altro, che i giornali e le TV ci informano con dovizia ma tutto accade senza che le autorità preposte, da anni latitanti, agiscano rapide e con programmi almeno credibili.

A questo proposito non si può ignorare la drammatica storia del Territorio Libero di Trieste; la splendida città che con il suo Porto Franco Internazionale, dal primo dopo-guerra è stata usata quale discarica pubblica di tutti i rifiuti inquinanti immaginabili e inimmaginabili, con la complicità dei vari governi italiani succedutisi, è uno scandalo di proporzioni enormi che deve essere messo a conoscenza di tutti i cittadini italiani ed europei, se ambiamo essere ancora civili, liberi cittadini.

Io torinese e altri amici ci sentiamo vicini ai fratelli triestini e al Movimento Trieste Libera (www.triestelibera.one) di Gibanje Svobodni. Con l’intento di affiancarvi, per quanto possibile, nelle vostre battaglie, pubblicheremo periodicamente nel nostro BLOG quanto ricevuto dal vostro Ufficio Stampa con i relativi LINK.

Alé fieuj, molé gnanca ‘d na branca!

Carlo Ellena

 

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Rassegna stampa

Già nel 1911 a Torino, nella sola Barriera di Milano, l’apparato industriale  in grande crescita occupava ben 5.254 dipendenti.

(A seguito degli articoli, una rassegna di titoli su quotidiani diversi)

Aziende (le più importanti) in Barriera di Milano (Torino) chiuse circa alla fine degli anni ’80.

1          La Gilardini Corso Vercelli (nata nel 1914).

2          La soc. Anonima Alluminium in Corso Vigevano 35

3          La WAMAR Biscottificio in Corso Vigevano 46

4          Fabbrica Colla e Concimi Corso Novara 99

5          F.I.B.A.T. Biancherie e affini Via Courmayeur 8

6          Ing. Belforte – Lavorazione lamiere  Via Aosta 31

7          Saponeria Gandini Ercole Via Palestrina 38

8          L’A.F.A.S.T. Calzature Via Desana 4

9          La FIVI vernici Via Bologna 41 – 43

10        La Filatura di Tollegno Via Bologna 204

11        La S.A.F.T. Prodotti chimici e farmaceutici Via Santhià 18

12        Fonderie Monte Bianco Via Desana 9-11-13 e Via Chatillon 86

13        La Fonderia Artistica Torinese Corso Vercelli 114

14        La Compagnia Italiana Tubi Metallici Flessibili Via Cervino 50

15        Faccenda Vittorio & c. Forniture militari e ferroviarie Via M. Bianco 50

16        Sacerdote Alberto -Forniture militari e ferroviarie Via Cervino 66-68

17        Lanificio Filippo Giordano  Corso Vigevano 21-23-25

18        La “Ghibaudi” – Ricambi auto – Corso Brescia

19        La Fautrero Legnami da lavoro e costruzioni Corso Novara 80

20        La G. Rivoira Liquigas Corso Novara 121

21        CHIAMBRETTO Fabbrica di cioccolato. Era sita in C.so Giulio Cesare tra il n°16 e il 24

22        CAM Via Monterosa 26

23        Mollificio Industriale – Via Monterosa 29

24        F.A. S. N. A .   Biliardini – Via Monterosa 30

25        G.F.T.(Gruppo Finanziario Tessile) smembrata e distrutta in pochi anni. Un’azienda d’abbigliamento fra le più importanti e qualificate al mondo.   

 

25 aziende in totale, solo le più importanti, è escluso tutto l’indotto

Alcune aziende trasferite, chiuse o in gravi difficoltà nel febbraio 2016

Nel 2012 sono state 100.000 le imprese italiane chiuse e 47.000 protestate

Nei primi 3 mesi del 2013, sono 23.000  le imprese chiuse e 415.000 partite IVA annullate.

I primi sei mesi del 2015 chiuse 35.000 attività commerciali

Al  2 gennaio 2016 sono 29.000 le imprese italiane chiuse)

FIAT – Trasferito all’estero tutto l’apparato direzionale (in realtà non è più italiana)

(Nessun organo d’informazione piemontese e italiano ha commentato l’avvenimento)

PIRELLI – pneumatici; trasferita o in trasferimento

CEAT – venduta agli indiani

PININFARINA – quasi certo in mani indiane

CARTIERE BURGO di Avezzano 20 milioni d’investimenti per evitare la chiusura

DE TOMASO –AUTO Modena: dopo il fallimento del 2012 rifiuti e rottami(ora è in Cina?)

PERNIGOTTI – Prodotti dolciari (Chiusa)

WIRPOOL  INDESIT – Chiuse due fabbriche lasciando a casa 1300 dipendenti

OLIVETTI  TELECOM – Chiusura dello stabilimento d’Ivrea ??

PAGLIERI (Watsap?) verso la chiusura

LAGOSTINA in grave crisi; pericolo per il futuro

SOLVAY            “          “           “           “      (A Rosignano Marittimo)

BORSALINO –  La storica fabbrica di cappelli è da anni sempre in bilico.

Situazione provvisoria per mancanza di dati relativi ad aziende chiuse o in difficoltà e perdita dei posti di lavoro al 16 giugno 2016.

 

Nel 2015 persi 24 mila posti di lavoro e 2000 imprese artigiane chiuse        

Inoltre:

 Carrozzeria Bertone – In svendita (Piemonte)

 Distefani (Gruppo Bauli) – a rischio chiusura

 Michelin – Aprile 2016 chiusura fabbrica di Fossano

 

Dal 28 febbraio 2017

La GIMI S.p.A di Mombello Monferrato va ai tedeschi?

La Mondial Group di Mirabello gennaio 2017 in crisi chiude? (220 dip. )

La P. M. T. di Pinerolo fallita a gennaio

La EUROFIDI  italiana ha186 dipendenti  in attesa di ricollocazione; fallimento?

La K-FLEX di Rocello (Monza); 187 licenziamenti; si trasferisce in Polonia?

La Miroglio di Alba in cassa integr. e programma licenziamenti

 

9 marzo 2017

PONT CANAVESE – Dichiarato il fallimento della “SANDRETTO” presse a

iniezione.

 

aprile 2017

Lanificio “Cerruti” di Biella annuncia 60 esuberi su 400 dipendenti

 

29 marzo 2017

La “SAVIO” di Chiusa San Michele (Susa) annuncia 100 licenziamenti (Su 300 ip.)

In campo i soliti presidi (modello anni ‘69) che non servono nulla.

 

13 aprile 2017

La “Magnetto cerchioni auto ” di Casellette, che fine ha fatto?

Da RAI 3 la notizia che in 136 comuni del cuneese non vi sono più negozi.

Crisi del riso italiano causa incontrollate importazioni

 

22 aprile 2017

La”ARMANI” abbigliamento firmato di Settimo torinese in crisi, licenzia 84 dipendenti?

Sotto; succede a Torino

 

 

La fiat abbandona l’Italia, ma questo non  interessa quasi a nessuno

di Tobias Piller – 22 febbraio 2014Pubblicato in: Germania
Traduzione di ItaliaDallEstero.info

La fiat abbandona l’Italia, ma questo non interessa quasi a nessuno. Cosa succederebbe invece negli Stati Uniti se la General Eletric trasferisse la sua Sede in Olanda, o come reagirebbe la Gran Bretagna se Vodafone traslocasse a Zurigo, si chiede il piccolo giornale di intellettuali della destra „Il Foglio“. L’approccio pragmatico degli anglosassoni condurrebbe a meditare su ciò che manca al loro Paese e quale fascino verso l’estero abbia subito un Gruppo cosí grande, fino ad abbandonarlo. In un tale Paese, senz’altro verrebbe subito promulagata una legge con il fine di trattenere Gruppi economici in Patria, affinché desistano dal delocalizzare. La decisione della FIAT rappresenta „uno schiaffo dell’economia globale all’interpretazione italiana della modernità“, recita il piccolo quotidiano, che viene finanziato tra l’altro anche da Silvio Berlusconi, che in economia politica non ha mai avuto la sufficienza.

Il dibattito politico italiano ritorna subito ad occuparsi delle faccende minuscole, di cui si compone la politica a Roma. La FIAT inoltre aveva precedentemente intrapreso molto per tranquillizare gli italiani. Il giorno prima della comunicazione ufficiale circa la decisione di trasferire la sede legale del Gruppo, dopo la fusione con la Chrysler, in Olanda e la sede amministrativa in Gran Bretagna, il presidente della FIAT, John Elkann, insieme al suo amministratore delegato Sergio Marchionne, hanno reso visita al Presidente del Consiglio dei Ministri, per aggiornarlo in termini informali dei futuri sviluppi. Elkann, l’erede degli Agnelli, si é fatto intervistare dal gazzettino di corte, e con toni tranquillizanti ha garantito personalmente: “Il mio ufficio rimarrà a Torino” . È infatti previsto di riattivare quelle fabbriche giá smantellate in Italia, e che Torino rimarrá la centrale europea. Il governo comunque non si muove.

13 maggio 2017

Da semplici cittadini, tentiamo di esaminare la mancanza di lavoro e l’attuale incapacità politica di dare spazio per “fare impresa”.

Nei giorni passati i politici e militanti del P.D. (più giusto P.C.), simili a un esercito di pifferai, suonano la marcia trionfale del partito e del loro uomo (il Migliore n° 2), ossia il sig. Matteo Renzi. Costui, colmando tutti gli spazi possibili dei vari telegiornali delle reti RAI, arringa, si agita, promette, fa proclami come si conviene a un capo che indica la strada maestra al suo esercito di circa un milione e mezzo o due di tesserati comunisti.

Molti degli altri 58 milioni di italiani con un’idea non di sinistra si chiedono: “ma chi è questo signore che si comporta come avesse vinto le elezioni politiche? (che da quattro anni non si fanno), è scandaloso; non siamo più gli stessi del 2013, troppe cose sono cambiate in peggio!”

Altri all’occorrenza non vanno più a votare per il disgusto, ritenendo inutile dare il voto alle solite facce e ad altre persone quasi anonime ma molto abili nei traffici poco chiari della politica.

Comunque il paese è cambiato in peggio, radicalmente. È senza dubbio anche il risultato di un certo disimpegno politico degli italiani, in particolare dei piemontesi e i torinesi della Torino ex capitale industriale.

La FIAT è fuggita appena ha potuto senza produrre tanto clamore, lasciando, solo per pro forma, qualche residuo di fabbrica, ma il fatto non ha interessato a nessuno. Pur tra discordanti punti di vista, in realtà l’aspetto più grave della vicenda è il colpo che è stato inferto all’indotto: sofferenti le medie e piccole imprese, l’artigianato.

Oggi ricorre una frase che è un concetto non dimostrato, “siamo nel periodo post-industriale” ma quale sarebbe il nuovo periodo? Dopo il reiterato annientamento per sfinimento dell’apparato industriale torinese e l’insistente presenza di un sindacato schierato politicamente a sinistra, quello che da oltre mezzo secolo inculca nei giovani (e non solo) la cultura dei diritti e del lavoro preteso, dato e non creato; cosa dobbiamo aspettarci da questi nuovi giovani politicizzati a tal maniera, ma disoccupati, che vivono in un paese oramai senza industrie? Persa la vocazione all’imprenditoria individuale, all’inventiva, all’intraprendenza, all’ambizione di realizzare se stessi nel mettersi in gioco, dimostrare abilità, intelligenza nel lavoro e infine fare azienda, cosa resta loro? Niente. Senza industrie importanti si restringe il cosiddetto “indotto”, non c’è fermento lavorativo, non c’è artigianato; in definitiva non c’è benessere.

È una sorta di ribaltamento dei concetti di Alexis De Toqueville, ossia, l’idea che la grande industria, con il suo lavoro ripetitivo, fa perdere all’operaio la facoltà di applicare la propria intelligenza. In parte è vero, tuttavia bisogna riconoscere che non tutti hanno l’attitudine per applicarsi a un lavoro artigianale, per cui mi sembra giusta la possibilità di avere più scelte; i tempi lo impongono, come impongono (e sarebbe ora) di togliere i mille cavilli burocratici utili per avviare una qualsiasi attività artigianale o individuale.

Comunque, mettendo da parte chiacchiere improduttive e concetti astratti, i governi di sinistra che si sono succeduti non solo hanno fallito, ma portato il paese al disastro totale.

Un esempio di governo comunista, con a capo Alexis Sipras, votato dai cittadini, che ingannati da promesse elettorali impossibili da realizzare, è miseramente fallito; il male ci accomuna e la distanza dalla Grecia si accorcia rapidamente.

Non dobbiamo mai dimenticare l’individualità dell’uomo quale libero pensatore e ricordare il pensiero illuministico di Friedrich von Hayek, ossia: la concorrenza è la strada maestra in tutti i campi sociali, non solo in quello economico, la sola in grado di condurre spontaneamente l’umanità a grandi scoperte grazie alla massimizzazione delle capacità e delle conoscenze legata alla libera iniziativa del singolo.

 

Qual è il perché di questa invasione di extracomunitari? In breve, tentiamo di risalire alla radice della storia.

Fin dal 1974, quando si era tenuta a Lahore la II Conferenza Islamica, presente tutti i potenti del mondo mussulmano, si erano tracciate le linee di una politica islamo-araba di portata internazionale, tanto che “Il segretario generale della Conferenza Islamica Muhammad Hasan ‘al-Tuhāmi parlò di uno stato islamico che avrebbe cercato di diffondere l’islām anche nei paesi non musulmani”[1].

Specificato nello “Statuto degli Stati Arabi”, il comma b, tra le altre norme, illustra in modo chiaro che: ”…nel 1964 è stato formato il Consiglio Arabo per L’unità Economica dei 12 Stati membri della Lega. Gli obiettivi di questo Consiglio includono, fra gli altri, l’inizio delle azioni per creare un mercato comune arabo, allo scopo di “garantire la libertà di movimento e transito d’individui, capitali e beni, così come la libertà di ottenere lavoro e acquisto di proprietà”.

L’ambizioso progetto prendeva corpo nei decenni successivi anche attraverso il DEA (Dialogo Euro Arabo), divenuto lo strumento decisivo del successo di questo progetto di Partenariato.

“Questi programmi sono stati entusiasticamente accolti, recepiti e realizzati da leader, intellettuali e attivisti europei, non solo, ma anche elargendo cospicui finanziamenti ai palestinesi e ai Fratelli Musulmani per creare le loro ramificazioni in tutta l’Europa occidentale…”[2].

La ceca e avventata politica di Partenariato, capeggiata dalla Francia, aveva volutamente allontanato l’Europa dagli Stati Uniti, sottovalutando in modo improvvido la jihād.

In seguito l’Europa aveva cercato, francamente senza convinzione, di estraniarsi dalla jihād attuando un’ambigua politica che l’aveva portata a una sorta di collusione con il terrorismo internazionale accusando gli Stati Uniti e Israele di alimentare i movimenti jihadisti.

L’Europa filo-arabo-islamica aveva continuato la sua politica di sottomissione e a quanto risulta, beneficiando in un solo decennio la Lega Araba di oltre 10 (dieci) miliardi di dollari, una vera follia, tenendo conto che questo denaro sarebbe servito per ben altro a casa nostra, o altrimenti utile a mitigare gli effetti dell’attuale grave crisi. Altro fatto triste di questa storia è avvenuto nel 1994 con il conferimento-farsa del “Nobel per la pace”a Yasser Arafat, nonché nel 1999, su iniziativa del Presidente della Repubblica Italiana Oscar Luigi Scalfaro, lo stesso Arafat veniva nominato “Cavaliere di gran croce, decorato di gran cordone dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana”, un segno dell’ambiguo servilismo dei politici italiani verso un patriota palestinese abilissimo in politica; un pacifista che tuttavia circolava con il mitra sottobraccio e sospetto colluso col terrorismo. L’Europa, ancora nel 2003, era dichiaratamente Euroaraba, da come si evince dalla Fondazione euromediterranea per il dialogo tra le culture, la quale attraverso un suo rapporto stilato dal Gruppo dei Saggi (scelti da Prodi) dal titolo: Il dialogo tra i popoli e le culture nello spazio euromediterraneo, fissava, senza preamboli, i termini per un controllo sulla politica europea futura verso i paesi dell’Est e non solo, chiedendo inoltre la prosecuzione dell’immigrazione[3].

(Leggete il libro “ EURABIA” di Bat Ye ‘or, editore LINDAU; è un documento prezioso).

“In Europa l’accoglienza e la solidarietà ai migranti è da fare rapidamente; i costi sono enormi, neppure ipotizzabili, per cui vanno smistati abilmente in vari capitoli di spesa prima di presentarli ai membri della U.E. e convincerli. Se è possibile (e lo è) i cittadini devono continuare a esserne all’oscuro, cioè, pagare senza sapere cosa e perché. La mossa è molto pericolosa, ma è in gioco la sopravvivenza della “nostra” Comunità Europea” che si è incrementata con: Eurabia prima, Eurafrica poi e nel contempo politicamente Eurocomunista.

Attenzione! In un esercizio di pura fantasia (ma non troppo) il brano succitato potrebbe essere una proposta di ampio respiro pensata dai politici europei per continuare a mentire ai cittadini e invadere proditoriamente le loro città da sconosciuti, senza spiegare il vero perché di tale obbligo; perché di questo si tratta, obbligo sancito da una legge, anche questa fatta all’insaputa dei cittadini. Una sorta di democrazia al contrario, che ha il sapore di dittatura in un’Italia rantolante, sull’orlo del fallimento che si trascina da anni e in un’Europa dei popoli, attonita, imbelle, nonché furibonda da tali inauditi comportamenti. Tutt’altra cosa che l’Europa dei popoli pensata dai fondatori con in testa Altiero Spinelli.

In Francia tutto era già stabilito: Macron avrebbe vinto e ha vinto attraverso un’apparato e un’organizzazione gigantesca, contenitore di tutti i poteri economici e politici francesi e europei. Contro questa macchina poderosa Marine Le Pen era sconfitta in partenza.

Tuttavia il dramma non è ancora compiuto; tuttora è in corso, non più strisciante ma violento, direi criminale. Gli “scafisti” e i loro complici politici e non, attuano indisturbati e impuniti una sorta di mercato umano; lo schiavismo (in verità di questo si tratta) e non è esclusa la pratica del turpe commercio di organi prelevati dai bambini, mitigato, nascosto da un falso pietismo e una falsa solidarietà. Su questi gravi fatti qualcosa comincia a emergere ma sono vent’anni che prosegue; è risaputo, ma nessuno si è mai indignato.

 

La drammatica situazione della scuola piemontese e italiana.

Sul Sole 24 Ore di alcuni anni fa (25 novembre 2002), un titolo in prima pagina con ampi commenti all’interno, illustrava la drammatica situazione della scuola media italiana, palesemente arretrata come programmi d’insegnamento rispetto al resto d’Europa; terzultima appena prima del Portogallo e la Grecia, buona ultima, con l’aggiunta di documentati prospetti e grafici. Nel suo articolo dal titolo:“Nessuno se ne indigna”, Andrea Casalegno entrava nel vivo del problema:”Per sapere di più bisogna studiare di più, lo dimostrano i paesi ai primi posti nell’indagine UNICEF: Corea e Giappone. I programmi devono tornare a concentrarsi sulle conoscenze di base: lingua (cioè grammatica, sintassi, analisi logica, ed esercizi di traduzione), storia matematica scienze. Ma i programmi non s’insegnano da soli, occorrono docenti competenti e motivati e – soprattutto- controlli efficaci, cioè equi (la severità ottusa è sempre controproducente) e rigorosi. Più controlli sull’effettiva preparazione degli allievi? Certo. Ma anche – e soprattutto – sulla selezione, la preparazione e l’impegno dei docenti”.

A questo proposito nel marzo 2017 un’esperienza personale invero incredibile mi portava a conoscenza che i ragazzi di 4° e 5° elementare non conoscevano “l’analisi logica”(su altre materie non ho elementi sufficienti). Chiedendo spiegazioni all’insegnante, la donna, allargando le braccia in segno di sconforto, mi rispondeva laconicamente che quella parte della grammatica non era inclusa nei programmi. I ragazzi, svegli e intelligenti, avevano ascoltato il breve discorso fra me e la docente, restando stranamente zitti, Tuttavia qualcuno di questi probabilmente aveva parlato in casa del fatto, destando l’interesse dei genitori che avevano chiesto spiegazioni alla docente, poiché loro stessi ricordavano bene, che nei lontani anni delle elementari, “l’analisi logica” era compresa nel programma scolastico, come pure “l’educazione” civica. La questione non aveva poi avuto seguito per il semplice motivo che non essendo prevista, non era possibile insegnarla. Comunque, in conclusione, sia i genitori, sia le insegnanti avevano manifestato un’evidente delusione.

A tutt’oggi, l’indagine di Casalegno, fatta 15 anni fa, è ripetibile tale e quale, con l’aggravante che tutto è ulteriormente precipitato in modo drammatico. A Torino, da quanto ho sentito con le mie orecchie a RAI 3 regionale, l’istruzione elementare e media si è trasformata in una sorta di scuola politica di partito. Le insegnanti illustravano compiaciute, a chi le intervistava, il moderno insegnamento impartito ai ragazzi, i quali alle domande del o della giornalista rispondevano con enfasi ”…tutti devono pagare le tasse, come fanno ai dipendenti pubblici che vengono prelevate alla fonte, non come fanno altri che evadono”…, forse l’ultima parte della frase non è proprio esatta alla lettera ma era chiaramente in questi termini; era evidente che i ragazzi erano stati istruiti in precedenza. Quindi, non insegnamento de “l’educazione civica” che da quarant’anni almeno è escluso ma qualcosa d’inaudito che chiede urgenti chiarimenti attraverso un’indagine approfondita in Italia e a livello europeo, ma c’é dell’altro; con le spese scriteriate senza programmazione di Renzi e del suo governo, siamo in piena deflazione.

Sempre sul SOLE 24Ore, uno studio di Claudio Tucci del 2 aprile 2017, ci ricorda che la riforma Tremonti-Gelmini, entrata in vigore il 1° settembre 2009 e aspramente contestata, aveva operato un taglio di 87mila cattedre, nonostante questo, il rapporto insegnanti-alunni che partiva da 9 a 1, si attestava a 12 a 1, un valore ancora sotto la media Ue. Comunque il nostro sistema scolastico si attestava e proseguiva la sua strada, riducendo alquanto gli sprechi e le inefficienze.

Nel 2015 il governo Renzi, nella furia sconsiderata di dare posti di lavoro, operava una maxi-infornata di 90mia professori precari, ritornando addirittura ai livelli precedenti alla riforma Tremonti-Gelmini; nella scuola primaria il rapporto insegnanti alunni era sceso a 9,75 a 1 e nella secondaria 9,83 a 1, agli ultimi posti nell’Ue. Questa operazione sull’organico, dal costo di 400 milioni l’anno, avrà un ulteriore incremento nel nuovo anno scolastico con altre 30-40mila immissioni a ruolo, abbassando ulteriormente il rapporto insegnanti-alunni, senza nulla che dimostri che meno studenti per docenti migliori il livello di apprendimento. Nell’ultimo rapporto Ocse relativo al 2014, il rapporto medio insegnanti-alunni sia nella primaria, sia nella secondaria confermava un  12 a 1. Nel confronto internazionale restavamo sempre indietro; per esempio in Francia il rapporto insegnanti-alunni si attestava a 19 a 1 nella primaria, 13 a 1 nella secondaria; nel Regno Unito si registrava rispettivamente 20 a 1 e 16 a 1. E si tenga conto che nei nostri dati non si consideravano i professori di religione, stimati in 30mila, con questi si tornava sotto il 12 a 1.

In conclusione, dopo le stabilizzazioni del 2016 il costo per l’Erario è stato 2,2 miliardi a regime, il tutto aggiungendo passività alle passività per posti di lavoro non necessari e improduttivi.

Ma nessuno se ne indigna.

Il centro di Torino si svuota; le Griffe se ne vanno.

Così era il titolo di un servizio riportato a pag. 49 de LA STAMPA del 24 maggio 2013 – e non solo via Roma. Alcuni marchi gestiti dalla Holding tessile e che chiuderanno a metà giugno, scompariranno dalla città. La crisi è arrivata anche ai negozi del lusso: la Holding tessile – che ha sede a Torino e gestisce decine di negozi – ha annunciato la richiesta di cassa integrazione di 127 dipendenti del Gruppo, quelli che gestiscono ventitré negozi nel centro della città e a 8Gallery e alcuni amministrativi della sede centrale. Poi l’articolo prosegue ampio e dettagliato, comunque queste poche righe illustrano sufficientemente un problema di grave crisi del settore tessile biellese in particolare, che nessuno degli ultimi governi ha mai posto rimedio, anzi e siamo solo agli inizi.

La botta è arrivata circa una decina di giorni fa: Il Politecnico chiude la Facoltà del Tessile per deficit d’iscrizioni. Intanto la “Armani” di Settimo torinese, in crisi, riduce il personale.

Ma nessuno se ne indigna.

 

La Barriera di Milano a Torino e l’immigrazione extracomunitaria che, senza controlli, importa terroristi.

I casi riportati su LA STAMPA e da altri giornali sono il pane quotidiano degli abitanti della vecchia Barriera ma la storiella della “solidarietà” (falsa e mascherata) non regge più da tempo.

Un controllo inadeguato dalle forze dell’ordine per mancanza di uomini ma soprattutto per l’assenza di una legislazione chiara, è stata la precisa volontà politica del governo per poter mercificare l’immigrazione e ottenere cospicui finanziamenti dall’Europa complice dei nuovi schiavisti. Questa forzata e imposta “accoglienza” di questa gente che ha invaso la nostra città e non solo, ha ridotto molte zone della Barriera e la stessa città a immondezzaio a cielo aperto. La diversità enorme di culture giunte all’improvviso, senza il tempo necessario di un lento approdo alla reciproca conoscenza, ha prodotto una fuga dei torinesi terrorizzati da un’altra delinquenza, togliendo loro quella sensazione di tranquillità e la sicurezza  di essere a casa propria.

Il borgo industriale non esiste più, persi “gli omini blu”, gli uomini in tuta delle fabbriche cantati da  Farassino,  il luogo natio ha smarrito oltre il lavoro anche la sua anima e con essa la sua essenza di “Capitale”.

Sono il risultato delle scelte scellerate di politici, sindaci, amministratori incapaci, senza amore per l’antica capitale sabauda, tantomeno per la loro patria; l’Italia. La nomea data ai piemontesi (i senza patria) si sta allargando a tutti gli italiani. Queste scelte lasceranno dietro di loro solo terra bruciata.

Per il futuro? Un tessuto umano e culturale quasi impossibile da ricostruire, che insieme al territorio, alla storia e alle splendide architetture, non più tutelate, è già in via di estinzione.

I cittadini inglesi hanno votato per l’uscita dalla U.E. e il primo ministro Theresa May, democraticamente, ha approntato la Brexit; in Austria, in Ungheria, alla frontiera del Brennero  e altre frontiere si apprestano alla costruzione di muri reali o ipotetici; nel marzo del 2017 il nuovo presidente del parlamento europeo Antonio Tajani (italiano), dichiara che l’Europa deve cambiare l’Africa e occorrono miliardi di euro; un altro italiano ( il Migliore n° 2) nell’ottobre del 2016, a seguito di un’assurda polemica, propone di tagliare i fondi europei ai paesi che non accettano la distribuzione dei migranti, trattando costoro come razioni di banane. Certi che tanta arroganza e prosopopea in persone che vivono fuori dalla realtà produca solo disastri; restiamo in attesa che alla fine saranno pagati con la stessa moneta.

 

Breve cronologia degli avvenimenti che hanno causato il fallimento Alitalia.

Ascoltando la pubblicità delle auto tedesche ma in particolare della Lufthansa non si può fare a meno di notare la differenza dell’orgoglio tedesco per le sue aziende e quello italiano, che non solo è inesistente, anzi, evidenzia una sorta di volontà distruttiva e il desiderio di scaricare una fastidiosa rogna quale l’Alitalia. Come la FIAT, vero che è un’azienda privata, non una qualunque ma che le follie politiche e sindacali di parte sinistra, hanno fatto fuggire.

Fondata nel 1946 con il nome Alitalia – aerolinee internazionali italiane, in pena attività, contava una flotta di 172 aerei e raggiungeva 37 paesi. La Compagnia, gestita completamente dalla Stato, prima sotto l’I.R.I., poi sotto il ministero del Tesoro, nel 1996 con il governo Prodi (il politico di sinistra che è riuscito a far fallire l’I.R.I.) è avviata la prima privatizzazione; una parte del capitale viene quotato in borsa ma era già in crisi nei primi anni ‘90 causa l’eccesso di sprechi di denaro pubblico, per il quale non c’era il minimo rispetto; in molti casi la Compagnia era ridotta a vettore privato per molti politici (il ministro De Michelis la usava come taxi) e bacino per produrre consensi politici, nonché assunzioni a gogò per pagare i debiti delle campagne elettorali ai vari eletti di turno. Con l’entrata dell’Italia nell’unione monetaria e le regole di Maastricht da rispettare, si era dovuto ridurre drasticamente le spese pazze ma la Società non era già più competitiva.

È una triste, lunga storia di sperperi di denaro pubblico per scelte sbagliate di mediocri imprenditori e la cronica incapacità politica, tutta italiana, di fare interventi mirati. Nel 2000, un tormentato accordo con la KLM. viene annullato per disaccordi con l’esecutivo dell’Alitalia. Un anno dopo gli attentati alle Torri Gemelle mettono in crisi le Compagnie; volare diventa troppo pericoloso. L’Alitalia in cattive acque incrementa ulteriormente il suo debito; senza manager coraggiosi e capaci è nuovamente sull’orlo del baratro. Nel 2006 succede un dramma politico: Prodi ritorna al governo per la 2° volta e dopo vari tentativi di salvataggio con l’Air France (che nel frattempo si era fusa con la KLM), nel 2008 il gruppo franco-olandese presenta un’offerta che avrebbe potuto essere un’opzione. Nel frattempo Prodi è sfiduciato in parlamento e nel gennaio 2008 rassegna le dimissioni.  Naturalmente ne va di mezzo anche l’Alitalia che nello stesso 2008 è formalmente dichiarata fallita.

Quello che avviene in seguito è una macchia vergognosa per il paese. Arriva Berlusconi, il quale si appoggia a nomi altisonanti di affaristi: Benetton, Ligresti, Tronchetti Provera e altri che a un certo punto escono dal gioco. Altri equilibrismi finanziari incredibili, con varie cordate d’imprenditori, poi la nascita di C.A.I. (Compagnia Aerea Italiana), con altre scelte strategiche fallimentari, nelle quali anche i sindacati hanno grosse responsabilità.

Oggi si raccolgono i cocci di una splendida Azienda fallita causa imprenditori mediocri e senza coraggio, mancanti di spirito, diciamo “patrio”, una parola non più in uso in Italia, ma soprattutto per l’incapacità politica oramai insita nel DNA di una sinistra italiana che tuttora non permette di creare lavoro vero, profitto; in una parola “blocca” il benessere del paese.

Aggiungo parte di un articolo tratto dal libro “Piemonte” edito da EDITALIA, il quale chiude con una frase premonitrice che ben riflette l’attuale situazione della nostra classe politica.      

Burzio Filippo, (Torino 1891-Ivrea 1948)

Se io fossi uno storico farei; se fossi un editore inciterei altri a fare e poi pubblicherei una collana di monografie dedicate ai piemontesi del Risorgimento; con delizia m’ingolferei in quel mondo, in quella materia; porrei a capostipite Alfieri, chiuderei la serie con Quintino Sella; lo zenit sarebbe naturalmente toccato con Cavour e con quel parlamento Subalpino del decennio dopo Novara in cui tu vedi adunati, partendo dall’Estrema Destra di Solaro della Margarita, Ottavio Revel e Cesare Balbo, a destra, Cavour; Azeglio e Lamarmora al Centro; poi man mano a sinistra, Rattazzi, Brofferio, Valerio (Gioberti è già morto in esilio e fuori del Parlamento, Garibaldi e Mazzini sono anch’essi sudditi Sardi). E poi i minori, che so? Giacinto Collegno, Cesare Alfieri, Cibrario, Sclopis. Tutti Piemontesi e tutti accolti in un solo periodo, non dico nemmeno storico, ma semplicemente politico; in una sola assemblea: che nomi!!

Si tratta di una decadenza di classe, quale raramente si vide più precipitosa.

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Nel 1943 direttore de LA STAMPA; incarico poi svolto sino alla morte.

[1] “Eurabia” di Bat Ye ‘or, pagina 72

[2] “Eurabia” di Bat Ye ‘or, pagina 74

[3] “Eurabia” di Bat Ye’or, pagina 220, 221, 222.

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