Già nel 1911 a Torino, nella sola Barriera di Milano, l’apparato industriale in grande crescita occupava ben 5.254 dipendenti.
(A seguito degli articoli, una rassegna di titoli su quotidiani diversi)
Aziende (le più importanti) in Barriera di Milano (Torino) chiuse circa alla fine degli anni ’80.
1 La Gilardini Corso Vercelli (nata nel 1914).
2 La soc. Anonima Alluminium in Corso Vigevano 35
3 La WAMAR Biscottificio in Corso Vigevano 46
4 Fabbrica Colla e Concimi Corso Novara 99
5 F.I.B.A.T. Biancherie e affini Via Courmayeur 8
6 Ing. Belforte – Lavorazione lamiere Via Aosta 31
7 Saponeria Gandini Ercole Via Palestrina 38
8 L’A.F.A.S.T. Calzature Via Desana 4
9 La FIVI vernici Via Bologna 41 – 43
10 La Filatura di Tollegno Via Bologna 204
11 La S.A.F.T. Prodotti chimici e farmaceutici Via Santhià 18
12 Fonderie Monte Bianco Via Desana 9-11-13 e Via Chatillon 86
13 La Fonderia Artistica Torinese Corso Vercelli 114
14 La Compagnia Italiana Tubi Metallici Flessibili Via Cervino 50
15 Faccenda Vittorio & c. Forniture militari e ferroviarie Via M. Bianco 50
16 Sacerdote Alberto -Forniture militari e ferroviarie Via Cervino 66-68
17 Lanificio Filippo Giordano Corso Vigevano 21-23-25
18 La “Ghibaudi” – Ricambi auto – Corso Brescia
19 La Fautrero Legnami da lavoro e costruzioni Corso Novara 80
20 La G. Rivoira Liquigas Corso Novara 121
21 CHIAMBRETTO Fabbrica di cioccolato. Era sita in C.so Giulio Cesare tra il n°16 e il 24
22 CAM Via Monterosa 26
23 Mollificio Industriale – Via Monterosa 29
24 F.A. S. N. A . Biliardini – Via Monterosa 30
25 G.F.T.(Gruppo Finanziario Tessile) smembrata e distrutta in pochi anni. Un’azienda d’abbigliamento fra le più importanti e qualificate al mondo.
25 aziende in totale, solo le più importanti, è escluso tutto l’indotto
Alcune aziende trasferite, chiuse o in gravi difficoltà nel febbraio 2016
Nel 2012 sono state 100.000 le imprese italiane chiuse e 47.000 protestate
Nei primi 3 mesi del 2013, sono 23.000 le imprese chiuse e 415.000 partite IVA annullate.
I primi sei mesi del 2015 chiuse 35.000 attività commerciali
Al 2 gennaio 2016 sono 29.000 le imprese italiane chiuse)
FIAT – Trasferito all’estero tutto l’apparato direzionale (in realtà non è più italiana)
(Nessun organo d’informazione piemontese e italiano ha commentato l’avvenimento)
PIRELLI – pneumatici; trasferita o in trasferimento
CEAT – venduta agli indiani
PININFARINA – quasi certo in mani indiane
CARTIERE BURGO di Avezzano 20 milioni d’investimenti per evitare la chiusura
DE TOMASO –AUTO Modena: dopo il fallimento del 2012 rifiuti e rottami(ora è in Cina?)
PERNIGOTTI – Prodotti dolciari (Chiusa)
WIRPOOL INDESIT – Chiuse due fabbriche lasciando a casa 1300 dipendenti
OLIVETTI TELECOM – Chiusura dello stabilimento d’Ivrea ??
PAGLIERI (Watsap?) verso la chiusura
LAGOSTINA in grave crisi; pericolo per il futuro
SOLVAY “ “ “ “ (A Rosignano Marittimo)
BORSALINO – La storica fabbrica di cappelli è da anni sempre in bilico.
Situazione provvisoria per mancanza di dati relativi ad aziende chiuse o in difficoltà e perdita dei posti di lavoro al 16 giugno 2016.
Nel 2015 persi 24 mila posti di lavoro e 2000 imprese artigiane chiuse
Inoltre:
Carrozzeria Bertone – In svendita (Piemonte)
Distefani (Gruppo Bauli) – a rischio chiusura
Michelin – Aprile 2016 chiusura fabbrica di Fossano
Dal 28 febbraio 2017
La GIMI S.p.A di Mombello Monferrato va ai tedeschi?
La Mondial Group di Mirabello gennaio 2017 in crisi chiude? (220 dip. )
La P. M. T. di Pinerolo fallita a gennaio
La EUROFIDI italiana ha186 dipendenti in attesa di ricollocazione; fallimento?
La K-FLEX di Rocello (Monza); 187 licenziamenti; si trasferisce in Polonia?
La Miroglio di Alba in cassa integr. e programma licenziamenti
9 marzo 2017
PONT CANAVESE – Dichiarato il fallimento della “SANDRETTO” presse a
iniezione.
aprile 2017
Lanificio “Cerruti” di Biella annuncia 60 esuberi su 400 dipendenti
29 marzo 2017
La “SAVIO” di Chiusa San Michele (Susa) annuncia 100 licenziamenti (Su 300 ip.)
In campo i soliti presidi (modello anni ‘69) che non servono nulla.
13 aprile 2017
La “Magnetto cerchioni auto ” di Casellette, che fine ha fatto?
Da RAI 3 la notizia che in 136 comuni del cuneese non vi sono più negozi.
Crisi del riso italiano causa incontrollate importazioni
22 aprile 2017
La”ARMANI” abbigliamento firmato di Settimo torinese in crisi, licenzia 84 dipendenti?
Sotto; succede a Torino
La fiat abbandona l’Italia, ma questo non interessa quasi a nessuno
di Tobias Piller – 22 febbraio 2014Pubblicato in: Germania
Traduzione di ItaliaDallEstero.info
La fiat abbandona l’Italia, ma questo non interessa quasi a nessuno. Cosa succederebbe invece negli Stati Uniti se la General Eletric trasferisse la sua Sede in Olanda, o come reagirebbe la Gran Bretagna se Vodafone traslocasse a Zurigo, si chiede il piccolo giornale di intellettuali della destra „Il Foglio“. L’approccio pragmatico degli anglosassoni condurrebbe a meditare su ciò che manca al loro Paese e quale fascino verso l’estero abbia subito un Gruppo cosí grande, fino ad abbandonarlo. In un tale Paese, senz’altro verrebbe subito promulagata una legge con il fine di trattenere Gruppi economici in Patria, affinché desistano dal delocalizzare. La decisione della FIAT rappresenta „uno schiaffo dell’economia globale all’interpretazione italiana della modernità“, recita il piccolo quotidiano, che viene finanziato tra l’altro anche da Silvio Berlusconi, che in economia politica non ha mai avuto la sufficienza.
Il dibattito politico italiano ritorna subito ad occuparsi delle faccende minuscole, di cui si compone la politica a Roma. La FIAT inoltre aveva precedentemente intrapreso molto per tranquillizare gli italiani. Il giorno prima della comunicazione ufficiale circa la decisione di trasferire la sede legale del Gruppo, dopo la fusione con la Chrysler, in Olanda e la sede amministrativa in Gran Bretagna, il presidente della FIAT, John Elkann, insieme al suo amministratore delegato Sergio Marchionne, hanno reso visita al Presidente del Consiglio dei Ministri, per aggiornarlo in termini informali dei futuri sviluppi. Elkann, l’erede degli Agnelli, si é fatto intervistare dal gazzettino di corte, e con toni tranquillizanti ha garantito personalmente: “Il mio ufficio rimarrà a Torino” . È infatti previsto di riattivare quelle fabbriche giá smantellate in Italia, e che Torino rimarrá la centrale europea. Il governo comunque non si muove.
13 maggio 2017
Da semplici cittadini, tentiamo di esaminare la mancanza di lavoro e l’attuale incapacità politica di dare spazio per “fare impresa”.
Nei giorni passati i politici e militanti del P.D. (più giusto P.C.), simili a un esercito di pifferai, suonano la marcia trionfale del partito e del loro uomo (il Migliore n° 2), ossia il sig. Matteo Renzi. Costui, colmando tutti gli spazi possibili dei vari telegiornali delle reti RAI, arringa, si agita, promette, fa proclami come si conviene a un capo che indica la strada maestra al suo esercito di circa un milione e mezzo o due di tesserati comunisti.
Molti degli altri 58 milioni di italiani con un’idea non di sinistra si chiedono: “ma chi è questo signore che si comporta come avesse vinto le elezioni politiche? (che da quattro anni non si fanno), è scandaloso; non siamo più gli stessi del 2013, troppe cose sono cambiate in peggio!”
Altri all’occorrenza non vanno più a votare per il disgusto, ritenendo inutile dare il voto alle solite facce e ad altre persone quasi anonime ma molto abili nei traffici poco chiari della politica.
Comunque il paese è cambiato in peggio, radicalmente. È senza dubbio anche il risultato di un certo disimpegno politico degli italiani, in particolare dei piemontesi e i torinesi della Torino ex capitale industriale.
La FIAT è fuggita appena ha potuto senza produrre tanto clamore, lasciando, solo per pro forma, qualche residuo di fabbrica, ma il fatto non ha interessato a nessuno. Pur tra discordanti punti di vista, in realtà l’aspetto più grave della vicenda è il colpo che è stato inferto all’indotto: sofferenti le medie e piccole imprese, l’artigianato.
Oggi ricorre una frase che è un concetto non dimostrato, “siamo nel periodo post-industriale” ma quale sarebbe il nuovo periodo? Dopo il reiterato annientamento per sfinimento dell’apparato industriale torinese e l’insistente presenza di un sindacato schierato politicamente a sinistra, quello che da oltre mezzo secolo inculca nei giovani (e non solo) la cultura dei diritti e del lavoro preteso, dato e non creato; cosa dobbiamo aspettarci da questi nuovi giovani politicizzati a tal maniera, ma disoccupati, che vivono in un paese oramai senza industrie? Persa la vocazione all’imprenditoria individuale, all’inventiva, all’intraprendenza, all’ambizione di realizzare se stessi nel mettersi in gioco, dimostrare abilità, intelligenza nel lavoro e infine fare azienda, cosa resta loro? Niente. Senza industrie importanti si restringe il cosiddetto “indotto”, non c’è fermento lavorativo, non c’è artigianato; in definitiva non c’è benessere.
È una sorta di ribaltamento dei concetti di Alexis De Toqueville, ossia, l’idea che la grande industria, con il suo lavoro ripetitivo, fa perdere all’operaio la facoltà di applicare la propria intelligenza. In parte è vero, tuttavia bisogna riconoscere che non tutti hanno l’attitudine per applicarsi a un lavoro artigianale, per cui mi sembra giusta la possibilità di avere più scelte; i tempi lo impongono, come impongono (e sarebbe ora) di togliere i mille cavilli burocratici utili per avviare una qualsiasi attività artigianale o individuale.
Comunque, mettendo da parte chiacchiere improduttive e concetti astratti, i governi di sinistra che si sono succeduti non solo hanno fallito, ma portato il paese al disastro totale.
Un esempio di governo comunista, con a capo Alexis Sipras, votato dai cittadini, che ingannati da promesse elettorali impossibili da realizzare, è miseramente fallito; il male ci accomuna e la distanza dalla Grecia si accorcia rapidamente.
Non dobbiamo mai dimenticare l’individualità dell’uomo quale libero pensatore e ricordare il pensiero illuministico di Friedrich von Hayek, ossia: la concorrenza è la strada maestra in tutti i campi sociali, non solo in quello economico, la sola in grado di condurre spontaneamente l’umanità a grandi scoperte grazie alla massimizzazione delle capacità e delle conoscenze legata alla libera iniziativa del singolo.
Qual è il perché di questa invasione di extracomunitari? In breve, tentiamo di risalire alla radice della storia.
Fin dal 1974, quando si era tenuta a Lahore la II Conferenza Islamica, presente tutti i potenti del mondo mussulmano, si erano tracciate le linee di una politica islamo-araba di portata internazionale, tanto che “Il segretario generale della Conferenza Islamica Muhammad Hasan ‘al-Tuhāmi parlò di uno stato islamico che avrebbe cercato di diffondere l’islām anche nei paesi non musulmani”[1].
Specificato nello “Statuto degli Stati Arabi”, il comma b, tra le altre norme, illustra in modo chiaro che: ”…nel 1964 è stato formato il Consiglio Arabo per L’unità Economica dei 12 Stati membri della Lega. Gli obiettivi di questo Consiglio includono, fra gli altri, l’inizio delle azioni per creare un mercato comune arabo, allo scopo di “garantire la libertà di movimento e transito d’individui, capitali e beni, così come la libertà di ottenere lavoro e acquisto di proprietà”.
L’ambizioso progetto prendeva corpo nei decenni successivi anche attraverso il DEA (Dialogo Euro Arabo), divenuto lo strumento decisivo del successo di questo progetto di Partenariato.
“Questi programmi sono stati entusiasticamente accolti, recepiti e realizzati da leader, intellettuali e attivisti europei, non solo, ma anche elargendo cospicui finanziamenti ai palestinesi e ai Fratelli Musulmani per creare le loro ramificazioni in tutta l’Europa occidentale…”[2].
La ceca e avventata politica di Partenariato, capeggiata dalla Francia, aveva volutamente allontanato l’Europa dagli Stati Uniti, sottovalutando in modo improvvido la jihād.
In seguito l’Europa aveva cercato, francamente senza convinzione, di estraniarsi dalla jihād attuando un’ambigua politica che l’aveva portata a una sorta di collusione con il terrorismo internazionale accusando gli Stati Uniti e Israele di alimentare i movimenti jihadisti.
L’Europa filo-arabo-islamica aveva continuato la sua politica di sottomissione e a quanto risulta, beneficiando in un solo decennio la Lega Araba di oltre 10 (dieci) miliardi di dollari, una vera follia, tenendo conto che questo denaro sarebbe servito per ben altro a casa nostra, o altrimenti utile a mitigare gli effetti dell’attuale grave crisi. Altro fatto triste di questa storia è avvenuto nel 1994 con il conferimento-farsa del “Nobel per la pace”a Yasser Arafat, nonché nel 1999, su iniziativa del Presidente della Repubblica Italiana Oscar Luigi Scalfaro, lo stesso Arafat veniva nominato “Cavaliere di gran croce, decorato di gran cordone dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana”, un segno dell’ambiguo servilismo dei politici italiani verso un patriota palestinese abilissimo in politica; un pacifista che tuttavia circolava con il mitra sottobraccio e sospetto colluso col terrorismo. L’Europa, ancora nel 2003, era dichiaratamente Euroaraba, da come si evince dalla Fondazione euromediterranea per il dialogo tra le culture, la quale attraverso un suo rapporto stilato dal Gruppo dei Saggi (scelti da Prodi) dal titolo: Il dialogo tra i popoli e le culture nello spazio euromediterraneo, fissava, senza preamboli, i termini per un controllo sulla politica europea futura verso i paesi dell’Est e non solo, chiedendo inoltre la prosecuzione dell’immigrazione[3].
(Leggete il libro “ EURABIA” di Bat Ye ‘or, editore LINDAU; è un documento prezioso).
“In Europa l’accoglienza e la solidarietà ai migranti è da fare rapidamente; i costi sono enormi, neppure ipotizzabili, per cui vanno smistati abilmente in vari capitoli di spesa prima di presentarli ai membri della U.E. e convincerli. Se è possibile (e lo è) i cittadini devono continuare a esserne all’oscuro, cioè, pagare senza sapere cosa e perché. La mossa è molto pericolosa, ma è in gioco la sopravvivenza della “nostra” Comunità Europea” che si è incrementata con: Eurabia prima, Eurafrica poi e nel contempo politicamente Eurocomunista.
Attenzione! In un esercizio di pura fantasia (ma non troppo) il brano succitato potrebbe essere una proposta di ampio respiro pensata dai politici europei per continuare a mentire ai cittadini e invadere proditoriamente le loro città da sconosciuti, senza spiegare il vero perché di tale obbligo; perché di questo si tratta, obbligo sancito da una legge, anche questa fatta all’insaputa dei cittadini. Una sorta di democrazia al contrario, che ha il sapore di dittatura in un’Italia rantolante, sull’orlo del fallimento che si trascina da anni e in un’Europa dei popoli, attonita, imbelle, nonché furibonda da tali inauditi comportamenti. Tutt’altra cosa che l’Europa dei popoli pensata dai fondatori con in testa Altiero Spinelli.
In Francia tutto era già stabilito: Macron avrebbe vinto e ha vinto attraverso un’apparato e un’organizzazione gigantesca, contenitore di tutti i poteri economici e politici francesi e europei. Contro questa macchina poderosa Marine Le Pen era sconfitta in partenza.
Tuttavia il dramma non è ancora compiuto; tuttora è in corso, non più strisciante ma violento, direi criminale. Gli “scafisti” e i loro complici politici e non, attuano indisturbati e impuniti una sorta di mercato umano; lo schiavismo (in verità di questo si tratta) e non è esclusa la pratica del turpe commercio di organi prelevati dai bambini, mitigato, nascosto da un falso pietismo e una falsa solidarietà. Su questi gravi fatti qualcosa comincia a emergere ma sono vent’anni che prosegue; è risaputo, ma nessuno si è mai indignato.
La drammatica situazione della scuola piemontese e italiana.
Sul Sole 24 Ore di alcuni anni fa (25 novembre 2002), un titolo in prima pagina con ampi commenti all’interno, illustrava la drammatica situazione della scuola media italiana, palesemente arretrata come programmi d’insegnamento rispetto al resto d’Europa; terzultima appena prima del Portogallo e la Grecia, buona ultima, con l’aggiunta di documentati prospetti e grafici. Nel suo articolo dal titolo:“Nessuno se ne indigna”, Andrea Casalegno entrava nel vivo del problema:”Per sapere di più bisogna studiare di più, lo dimostrano i paesi ai primi posti nell’indagine UNICEF: Corea e Giappone. I programmi devono tornare a concentrarsi sulle conoscenze di base: lingua (cioè grammatica, sintassi, analisi logica, ed esercizi di traduzione), storia matematica scienze. Ma i programmi non s’insegnano da soli, occorrono docenti competenti e motivati e – soprattutto- controlli efficaci, cioè equi (la severità ottusa è sempre controproducente) e rigorosi. Più controlli sull’effettiva preparazione degli allievi? Certo. Ma anche – e soprattutto – sulla selezione, la preparazione e l’impegno dei docenti”.
A questo proposito nel marzo 2017 un’esperienza personale invero incredibile mi portava a conoscenza che i ragazzi di 4° e 5° elementare non conoscevano “l’analisi logica”(su altre materie non ho elementi sufficienti). Chiedendo spiegazioni all’insegnante, la donna, allargando le braccia in segno di sconforto, mi rispondeva laconicamente che quella parte della grammatica non era inclusa nei programmi. I ragazzi, svegli e intelligenti, avevano ascoltato il breve discorso fra me e la docente, restando stranamente zitti, Tuttavia qualcuno di questi probabilmente aveva parlato in casa del fatto, destando l’interesse dei genitori che avevano chiesto spiegazioni alla docente, poiché loro stessi ricordavano bene, che nei lontani anni delle elementari, “l’analisi logica” era compresa nel programma scolastico, come pure “l’educazione” civica. La questione non aveva poi avuto seguito per il semplice motivo che non essendo prevista, non era possibile insegnarla. Comunque, in conclusione, sia i genitori, sia le insegnanti avevano manifestato un’evidente delusione.
A tutt’oggi, l’indagine di Casalegno, fatta 15 anni fa, è ripetibile tale e quale, con l’aggravante che tutto è ulteriormente precipitato in modo drammatico. A Torino, da quanto ho sentito con le mie orecchie a RAI 3 regionale, l’istruzione elementare e media si è trasformata in una sorta di scuola politica di partito. Le insegnanti illustravano compiaciute, a chi le intervistava, il moderno insegnamento impartito ai ragazzi, i quali alle domande del o della giornalista rispondevano con enfasi ”…tutti devono pagare le tasse, come fanno ai dipendenti pubblici che vengono prelevate alla fonte, non come fanno altri che evadono”…, forse l’ultima parte della frase non è proprio esatta alla lettera ma era chiaramente in questi termini; era evidente che i ragazzi erano stati istruiti in precedenza. Quindi, non insegnamento de “l’educazione civica” che da quarant’anni almeno è escluso ma qualcosa d’inaudito che chiede urgenti chiarimenti attraverso un’indagine approfondita in Italia e a livello europeo, ma c’é dell’altro; con le spese scriteriate senza programmazione di Renzi e del suo governo, siamo in piena deflazione.
Sempre sul SOLE 24Ore, uno studio di Claudio Tucci del 2 aprile 2017, ci ricorda che la riforma Tremonti-Gelmini, entrata in vigore il 1° settembre 2009 e aspramente contestata, aveva operato un taglio di 87mila cattedre, nonostante questo, il rapporto insegnanti-alunni che partiva da 9 a 1, si attestava a 12 a 1, un valore ancora sotto la media Ue. Comunque il nostro sistema scolastico si attestava e proseguiva la sua strada, riducendo alquanto gli sprechi e le inefficienze.
Nel 2015 il governo Renzi, nella furia sconsiderata di dare posti di lavoro, operava una maxi-infornata di 90mia professori precari, ritornando addirittura ai livelli precedenti alla riforma Tremonti-Gelmini; nella scuola primaria il rapporto insegnanti alunni era sceso a 9,75 a 1 e nella secondaria 9,83 a 1, agli ultimi posti nell’Ue. Questa operazione sull’organico, dal costo di 400 milioni l’anno, avrà un ulteriore incremento nel nuovo anno scolastico con altre 30-40mila immissioni a ruolo, abbassando ulteriormente il rapporto insegnanti-alunni, senza nulla che dimostri che meno studenti per docenti migliori il livello di apprendimento. Nell’ultimo rapporto Ocse relativo al 2014, il rapporto medio insegnanti-alunni sia nella primaria, sia nella secondaria confermava un 12 a 1. Nel confronto internazionale restavamo sempre indietro; per esempio in Francia il rapporto insegnanti-alunni si attestava a 19 a 1 nella primaria, 13 a 1 nella secondaria; nel Regno Unito si registrava rispettivamente 20 a 1 e 16 a 1. E si tenga conto che nei nostri dati non si consideravano i professori di religione, stimati in 30mila, con questi si tornava sotto il 12 a 1.
In conclusione, dopo le stabilizzazioni del 2016 il costo per l’Erario è stato 2,2 miliardi a regime, il tutto aggiungendo passività alle passività per posti di lavoro non necessari e improduttivi.
Ma nessuno se ne indigna.
Il centro di Torino si svuota; le Griffe se ne vanno.
Così era il titolo di un servizio riportato a pag. 49 de LA STAMPA del 24 maggio 2013 – e non solo via Roma. Alcuni marchi gestiti dalla Holding tessile e che chiuderanno a metà giugno, scompariranno dalla città. La crisi è arrivata anche ai negozi del lusso: la Holding tessile – che ha sede a Torino e gestisce decine di negozi – ha annunciato la richiesta di cassa integrazione di 127 dipendenti del Gruppo, quelli che gestiscono ventitré negozi nel centro della città e a 8Gallery e alcuni amministrativi della sede centrale. Poi l’articolo prosegue ampio e dettagliato, comunque queste poche righe illustrano sufficientemente un problema di grave crisi del settore tessile biellese in particolare, che nessuno degli ultimi governi ha mai posto rimedio, anzi e siamo solo agli inizi.
La botta è arrivata circa una decina di giorni fa: Il Politecnico chiude la Facoltà del Tessile per deficit d’iscrizioni. Intanto la “Armani” di Settimo torinese, in crisi, riduce il personale.
Ma nessuno se ne indigna.
La Barriera di Milano a Torino e l’immigrazione extracomunitaria che, senza controlli, importa terroristi.
I casi riportati su LA STAMPA e da altri giornali sono il pane quotidiano degli abitanti della vecchia Barriera ma la storiella della “solidarietà” (falsa e mascherata) non regge più da tempo.
Un controllo inadeguato dalle forze dell’ordine per mancanza di uomini ma soprattutto per l’assenza di una legislazione chiara, è stata la precisa volontà politica del governo per poter mercificare l’immigrazione e ottenere cospicui finanziamenti dall’Europa complice dei nuovi schiavisti. Questa forzata e imposta “accoglienza” di questa gente che ha invaso la nostra città e non solo, ha ridotto molte zone della Barriera e la stessa città a immondezzaio a cielo aperto. La diversità enorme di culture giunte all’improvviso, senza il tempo necessario di un lento approdo alla reciproca conoscenza, ha prodotto una fuga dei torinesi terrorizzati da un’altra delinquenza, togliendo loro quella sensazione di tranquillità e la sicurezza di essere a casa propria.
Il borgo industriale non esiste più, persi “gli omini blu”, gli uomini in tuta delle fabbriche cantati da Farassino, il luogo natio ha smarrito oltre il lavoro anche la sua anima e con essa la sua essenza di “Capitale”.
Sono il risultato delle scelte scellerate di politici, sindaci, amministratori incapaci, senza amore per l’antica capitale sabauda, tantomeno per la loro patria; l’Italia. La nomea data ai piemontesi (i senza patria) si sta allargando a tutti gli italiani. Queste scelte lasceranno dietro di loro solo terra bruciata.
Per il futuro? Un tessuto umano e culturale quasi impossibile da ricostruire, che insieme al territorio, alla storia e alle splendide architetture, non più tutelate, è già in via di estinzione.
I cittadini inglesi hanno votato per l’uscita dalla U.E. e il primo ministro Theresa May, democraticamente, ha approntato la Brexit; in Austria, in Ungheria, alla frontiera del Brennero e altre frontiere si apprestano alla costruzione di muri reali o ipotetici; nel marzo del 2017 il nuovo presidente del parlamento europeo Antonio Tajani (italiano), dichiara che l’Europa deve cambiare l’Africa e occorrono miliardi di euro; un altro italiano ( il Migliore n° 2) nell’ottobre del 2016, a seguito di un’assurda polemica, propone di tagliare i fondi europei ai paesi che non accettano la distribuzione dei migranti, trattando costoro come razioni di banane. Certi che tanta arroganza e prosopopea in persone che vivono fuori dalla realtà produca solo disastri; restiamo in attesa che alla fine saranno pagati con la stessa moneta.
Breve cronologia degli avvenimenti che hanno causato il fallimento Alitalia.
Ascoltando la pubblicità delle auto tedesche ma in particolare della Lufthansa non si può fare a meno di notare la differenza dell’orgoglio tedesco per le sue aziende e quello italiano, che non solo è inesistente, anzi, evidenzia una sorta di volontà distruttiva e il desiderio di scaricare una fastidiosa rogna quale l’Alitalia. Come la FIAT, vero che è un’azienda privata, non una qualunque ma che le follie politiche e sindacali di parte sinistra, hanno fatto fuggire.
Fondata nel 1946 con il nome Alitalia – aerolinee internazionali italiane, in pena attività, contava una flotta di 172 aerei e raggiungeva 37 paesi. La Compagnia, gestita completamente dalla Stato, prima sotto l’I.R.I., poi sotto il ministero del Tesoro, nel 1996 con il governo Prodi (il politico di sinistra che è riuscito a far fallire l’I.R.I.) è avviata la prima privatizzazione; una parte del capitale viene quotato in borsa ma era già in crisi nei primi anni ‘90 causa l’eccesso di sprechi di denaro pubblico, per il quale non c’era il minimo rispetto; in molti casi la Compagnia era ridotta a vettore privato per molti politici (il ministro De Michelis la usava come taxi) e bacino per produrre consensi politici, nonché assunzioni a gogò per pagare i debiti delle campagne elettorali ai vari eletti di turno. Con l’entrata dell’Italia nell’unione monetaria e le regole di Maastricht da rispettare, si era dovuto ridurre drasticamente le spese pazze ma la Società non era già più competitiva.
È una triste, lunga storia di sperperi di denaro pubblico per scelte sbagliate di mediocri imprenditori e la cronica incapacità politica, tutta italiana, di fare interventi mirati. Nel 2000, un tormentato accordo con la KLM. viene annullato per disaccordi con l’esecutivo dell’Alitalia. Un anno dopo gli attentati alle Torri Gemelle mettono in crisi le Compagnie; volare diventa troppo pericoloso. L’Alitalia in cattive acque incrementa ulteriormente il suo debito; senza manager coraggiosi e capaci è nuovamente sull’orlo del baratro. Nel 2006 succede un dramma politico: Prodi ritorna al governo per la 2° volta e dopo vari tentativi di salvataggio con l’Air France (che nel frattempo si era fusa con la KLM), nel 2008 il gruppo franco-olandese presenta un’offerta che avrebbe potuto essere un’opzione. Nel frattempo Prodi è sfiduciato in parlamento e nel gennaio 2008 rassegna le dimissioni. Naturalmente ne va di mezzo anche l’Alitalia che nello stesso 2008 è formalmente dichiarata fallita.
Quello che avviene in seguito è una macchia vergognosa per il paese. Arriva Berlusconi, il quale si appoggia a nomi altisonanti di affaristi: Benetton, Ligresti, Tronchetti Provera e altri che a un certo punto escono dal gioco. Altri equilibrismi finanziari incredibili, con varie cordate d’imprenditori, poi la nascita di C.A.I. (Compagnia Aerea Italiana), con altre scelte strategiche fallimentari, nelle quali anche i sindacati hanno grosse responsabilità.
Oggi si raccolgono i cocci di una splendida Azienda fallita causa imprenditori mediocri e senza coraggio, mancanti di spirito, diciamo “patrio”, una parola non più in uso in Italia, ma soprattutto per l’incapacità politica oramai insita nel DNA di una sinistra italiana che tuttora non permette di creare lavoro vero, profitto; in una parola “blocca” il benessere del paese.
Aggiungo parte di un articolo tratto dal libro “Piemonte” edito da EDITALIA, il quale chiude con una frase premonitrice che ben riflette l’attuale situazione della nostra classe politica.
Burzio Filippo, (Torino 1891-Ivrea 1948)
Se io fossi uno storico farei; se fossi un editore inciterei altri a fare e poi pubblicherei una collana di monografie dedicate ai piemontesi del Risorgimento; con delizia m’ingolferei in quel mondo, in quella materia; porrei a capostipite Alfieri, chiuderei la serie con Quintino Sella; lo zenit sarebbe naturalmente toccato con Cavour e con quel parlamento Subalpino del decennio dopo Novara in cui tu vedi adunati, partendo dall’Estrema Destra di Solaro della Margarita, Ottavio Revel e Cesare Balbo, a destra, Cavour; Azeglio e Lamarmora al Centro; poi man mano a sinistra, Rattazzi, Brofferio, Valerio (Gioberti è già morto in esilio e fuori del Parlamento, Garibaldi e Mazzini sono anch’essi sudditi Sardi). E poi i minori, che so? Giacinto Collegno, Cesare Alfieri, Cibrario, Sclopis. Tutti Piemontesi e tutti accolti in un solo periodo, non dico nemmeno storico, ma semplicemente politico; in una sola assemblea: che nomi!!
Si tratta di una decadenza di classe, quale raramente si vide più precipitosa.
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Nel 1943 direttore de LA STAMPA; incarico poi svolto sino alla morte.
[1] “Eurabia” di Bat Ye ‘or, pagina 72
[2] “Eurabia” di Bat Ye ‘or, pagina 74
[3] “Eurabia” di Bat Ye’or, pagina 220, 221, 222.