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Nel totale caos elettorale, la palude Italia affonda nel mar Mediterraneo

Sono pensieri di un semplice cittadino, tralasciando dati statistici, false inchieste, menzogne vergognose, sondaggi truccati, grafici e percentuali gonfiate, che il cosiddetto uomo della strada non comprende ma non ne ha necessità, poiché egli  vive sulla sua pelle l’immane fatica quotidiana per la sopravvivenza.

Qual è in classifica l’attuale Repubblica Italiana? La 2°, la 3° o la 4°, abbiamo perso il conto. Sono ben 103 (centotre, incredibile, ma sarà finita? Ma 5 anni fa erano 219) i simboli presentati dai vari capi di partito. Pseudo politici che fingeranno di accapigliarsi per la scalata ai lauti stipendi, ai privilegi e la preziosa immunità. Quante facce nuove? Quasi nessuna, anche se molte di quelle nuove sono peggiori delle vecchie; e i programmi? Sono un comodo pretesto, un motivo per affrontare nelle piazze (come fanno i battitori da mercato) gli italiani. Sfrontatezza, impreparazione, nessuna visione politica della realtà e arroganza da intoccabili contraddistingue queste ultime generazioni di uomini politici. Costoro presentano programmi elettorali impossibili o copiati quasi di sana pianta da altri di triste memoria, mai realizzati dal punto più importante: il lavoro, quello vero, fatto con mani e cervello e non con parole, calcio, canzonette e banalità simili che da qualche decennio sono la cultura imperante del nostro paese.

 

Il difficile e disagiato rapporto con gli extracomunitari e la fuga da Torino

Prendiamo un esempio che fa testo per il percorso storico che ha seguito: il Piemonte, con Torino Capitale d’Italia, poi capitale industriale, capoluogo della Regione e fabbrica del lavoro per oltre un secolo a tutti gli italiani. La vecchia capitale ha subito, per volontà politiche di ultra-sinistra e in un tempo relativamente breve, la distruzione del suo apparato industriale. La bella Torino è ridotta, oggi, a una malfamata e puzzolente suburra composta da povera gente proveniente dai vari paesi africani e frotte di disoccupati-sfaccendati che non hanno patria. La decadenza della città non è casuale, è stata perseguita con manifesta volontà, sino a essere ridotta a Ente Regionale di carità e ricovero per disperati, mantenuti e coccolati, a scapito dei torinesi e piemontesi che, esasperati di essere, loro malgrado, i pagatori di questo “obbligo d’imposta”, o fuggono, o attendono che chissà, forse qualcosa cambi con le prossime votazioni politiche. Si tratta di una vera e propria fuga, che con questi ritmi, fra pochi anni Torino sarà un sottoprodotto africano; a questo punto ecco risuonare l’eco del fatidico “razzisti!”, dai falsi buonisti ma lo è esattamente al contrario e con cotanta arroganza per cui i piemontesi e torinesi emigrano. In buona parte sono pensionati, mentre molti giovani scelgono il Nord-Nord Est europeo ma anche oltre, per lavorare e trovata un’occupazione se ne vanno con la famiglia.

Alcuni giorni or sono, un amico settantacinquenne, recatosi in visita al Museo Egizio con alcuni parenti, mi ha raccontato un fatto inaudito cui è stato testimone. In coda alla biglietteria, li precedeva una coppia di africani, la quale, fra lo stupore dei presenti, pagava non due ma un solo biglietto, alla domanda dell’amico del perché di tale trattamento la laconica risposta sottotono era: “Disposizioni superiori”, ma non era finita, poiché l’amico chiedeva lo sconto applicato agli ultrasessantacinquenni la risposta era stata: “ Non c’è più, lo sconto è stato abolito”.

Lasciando a parte lo sconto, nella città di Torino il trattamento di favore riservato a questi stranieri è allargato anche nella Sanità e in molte altre strutture comunali di assistenza gratuite.

Il sistema ha un chiaro significato politico: che il cittadino è stato retrocesso in seconda, o terza classe nelle priorità rispetto agli extracomunitari. Non c’è stata mai una direttiva mirata a un sistema di regolamentazione all’entrata in Italia; tutti ma proprio tutti sono passati senza alcun controllo del flusso, tantomeno sanitario. Queste persone usufruiscono di vergognosi, quanto costosi privilegi che la città riserva loro, per cui il cittadino, che da vari anni subisce tali trattamenti e che nonostante il cambio di governo cittadino persistono, lo ripeto, se ne va per non più tornare.

 

La pessima scuola statale e i progetti della Regione Piemonte per le nuove famiglie piemontesi

Cambiare la scuola ritornando al passato.

L’Educazione civica – una materia troppo importante che deve essere ripresa in una legge e inserita com’era un tempo nei programmi scolastici. Materia che il benemerito On. Moro aveva reintrodotto nella scuola ma che dopo la sua morte è ben presto sparita.

La Costituzione italiana deve essere inclusa nell’Educazione Civica. È da seguire l’iniziativa adottata per gli studenti diciottenni nelle scuole di Cuneo d’introdurla nei programmi.

L’educazione sportiva è altrettanto fondamentale per insegnare ai giovani che non esiste solo il “calcio”; oggi non è più sport ma ricettacolo di violenza, volgarità, partite truccate e altri brogli. Lo sport agonistico autentico si può trovare nell’atletica leggera; inoltre fare sport non significa solo divertimento, poiché in questo attributo è insito lo sport stesso, esso è già, di per sé, divertimento e socialità. Mentre nelle scuole elementari torinesi, in modo astutamente perverso s’invitano i ragazzi alla solidarietà e all’accoglienza, non si fa scuola e non s’insegna affatto, si fa già politica dalla prima infanzia, a ragazzi di primo pelo, sfruttando la loro  ingenuità e capacità d’apprendimento. Ben altro trattamento è riservato agli stranieri; con il progetto Petrarca si sono avviati 300 (trecento) corsi di lingua italiana. Notizia tratta dal bollettino regionale d’informazione “Piemonte Newsletter”  n° 2 del 19 gennaio 2018.

Un declino a questo punto irreversibile per la città, che perde la parte migliore, per incamerare miseria e altro di molto peggio ma forse vi sono oscuri motivi che a noi, vecchi piemontesi educati al lavoro, paiono incomprensibili. Cosa realmente significa “innovazione sociale?”; spese improduttive per servizi inutili? Qual è il vero significato?

Riporto parte di un lungo, articolo sulle Politiche Sociali che tutti dovrebbero leggere, apparso sul periodico della Regione Piemonte “NOTIZIE” di Dicembre 2017, dal titolo “Welfare sì, ma con l’innovazione”. Nell’articolo ci paiono invece ben comprensibili alcuni Progetti Territoriali sui quali l’Assessore Ferrero afferma: “Questa prima misura mira a concepire le politiche sociali non come risposta emergenziale ai bisogni espressi dalla collettività ma come la creazione di un processo d’innovazione che consenta di generare un cambiamento nelle relazioni sociali e risponda ai nuovi bisogni ancora non soddisfatti dal mercato o crei risposte più soddisfacenti a bisogni esistenti”. Il bando di “Sperimentazione di azioni innovative di welfare territoriale”, pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte del 2 novembre 2017, è rivolto a raggruppamenti composti da soggetti pubblici e privati costituiti e costituenti composti dai seguenti beneficiari: le Ats (Associazioni temporanee di scopo composte da soggetti pubblici), gli enti gestori delle funzioni socio-assistenziali (Distretti della Coesione sociale) e uno o più enti del terzo settore o associazioni di volontariato con sede nel territorio piemontese. La definizione dei Progetti Territoriali e delle loro finalità avviene a livello territoriale nei 30 Distretti della Coesione sociale che devono essere oggetto di una pianificazione integrata che, definendo rapporti strategici, li porti ad essere incubatori di sviluppo locale, sfruttando la ricchezza e la varietà dei settori produttivi, del lavoro, culturali, sociali e ambientali presenti sui territori. L’assessora Gianna Pentenero afferma (tra altre cose) “che attraverso i Distretti si può, ad esempio, realizzare forme innovative di welfare per il contrasto alla povertà, interventi volti a favorire l’inclusione lavorativa di persone con fragilità e misure in grado di contrastare il disagio sociale”.

Attenzione; quest’articolo abbonda di parole ampollose, fumose, che servono per concludere, alla buon’ora, con una dichiarazione d’intenti molto chiara dell’assessora Monica Cerutti: L’opportunità offerta è quella di mettere in campo innovazione nell’ambito sociale che guardi alle trasformazioni della comunità piemontese, che non sono solo il generale invecchiamento, ma anche l’evoluzione delle famiglie, non più composte secondo il modello tradizionale e con una significativa presenza di persone di origine straniera”. La chiusa è determinante: “Il bando ha rappresentato la prima tappa del piano di sperimentazioni per l’innovazioni sociale, che si articola in cinque misure diverse attuate attraverso il Fondo Sociale Europeo e il Fondo Europeo di sviluppo regionale, stanziando risorse complessive per circa 20 (Venti) milioni di Euro. Tutte le azioni dovranno avere un minimo comun denominatore: stimolare progetti sui territori, che dimostrino sostenibilità e replicabilità per promuovere coesione e inclusione sociale”.

Non un commento sulla più grave crisi di lavoro del dopoguerra, si sostiene solo la “coesione e inclusione sociale”. Un Ente Regione che sperpera somme enormi di fondi europei con l’Europa complice, che ignora i cittadini, le loro giuste proteste, le paure per il futuro, ed elargisce milioni per una causa (l’accoglienza italiana agli extracomunitari) oramai già persa e che ha diviso profondamente l’Italia e questa improbabile Grande Patria europea.

Non s’illudano i piemontesi di avere dalla Regione (e dallo Stato) trattamenti migliori, tantomeno un’attenzione particolare per le aziende e il lavoro, non per risorse in denaro, quanto per l’eliminazione dell’elefantiaco apparato burocratico che scoraggia e frena l’efficienza delle imprese supersiti, del commercio e dell’artigianato, il quale ha perso la gran parte dei maestri di mestiere; gli anziani portatori d’esperienza e dell’eccellenza artigiana. Dall’articolo è ben chiaro che la Regione Piemonte è fortemente determinata non solo nell’accoglienza agli extracomunitari (dando loro i corsi d’italiano gratuiti) ma a inserirli sempre di più nel contesto sociale e questo è l’assurdo, nelle famiglie piemontesi, considerando gli stranieri un fatto acquisito, stabile, quali nuovi piemontesi.   

Se i cittadini se ne vanno, è per mancanza di lavoro, di tutela, di buona sanità, di giustizia quale valore etico-sociale e distributiva, si sentono abbandonati, al contrario di quanto è dato gratuitamente a questa gente non per solidarietà ma per turpi interessi politici di questa sinistra, che si abbassa a tutto pur di avere il voto.

Un demagogico e costoso progetto, senza una visione futura, che non salverebbe nulla ma porterebbe il paese, le cui famiglie sopravvivono grazie a ciò che resta dei loro risparmi e delle pensioni degli anziani, al fatale fallimento.

Sotto riporto la parte finale originale dell’articolo interessato.

“Welfare sì, ma con l’innovazione” dal giornale Regione Piemonte “NOTIZIE” del Dicembre 2017

 

(Ampliando l’argomento: quando mai si è chiesto o si è pensato di chiedere, attraverso una consultazione popolare, ai cittadini italiani ed europei, se erano d’accordo di accogliere, non solo un numero adeguato, ma migliaia e migliaia di extracomunitari? Mai, la fiumana di disperati è arrivata violenta, incontrollata, irrefrenabile. Questa è democrazia partecipativa? No, ignorando la democrazia, il passo verso forme di totalitarismo è breve. E non invochiamo il primo e vero Trattato di Schengen, che non centra nulla con l’accoglienza di extracomunitari).

La situazione è gravissima; giungere a questi livelli significa abuso di potere, pura insensatezza, scollamento dalla realtà culturale regionale, depauperazione di ogni valore morale, della stessa dignità di uomini liberi e della nostra memoria storica piemontese e umana. Folle è volere una omologazione improbabile, pericolosa per gli effetti negativi scatenanti e assumendosi, inoltre, responsabilità e ruoli politici che non spettano a niuno, tantomeno a un governo temporaneo della Regione, che enormi guasti ha prodotto, poiché fin già dalle prossime consultazioni italiane del 4 Marzo, molte cose potrebbero cambiare, compreso lo Status gerarchico, certamente non inossidabile, della Regione Piemonte.

 

Ancora sull’istruzione e gli extracomunitari

Ritorno su un punto dolente che duole sempre più, ed è la gravissima mancanza d’istruzione nelle scuole italiane, argomento già trattato ampiamente nel mio BLOG (stracanen.it), che tuttavia persiste come un male pernicioso oramai inguaribile.

Giorni addietro il conduttore di RAI 1 del mattino Franco di Mare, ha mostrato e commentato, con evidente disappunto, una scena tratta dal quiz serale “l’Eredità” condotto da Fabrizio Frizzi.

In verità il quiz è da cassare, si rivela sciocco, senza capo né coda, con domande disordinate da livello 1° elementare, alle quali, troppe volte, il concorrente o la concorrente non sanno rispondere o dicono fesserie del tipo: “In che anno è morto Hitler?” Sul monitor compaiono quattro date, di cui una giusta. Il o la concorrente medita, poi risponde con una risatina: “nel 1974”. Risposte di questo tenore sono anni che le vediamo e ascoltiamo, dando un’immagine pubblica negativa dell’ignoranza italiana e di un infimo livello culturale e d’istruzione in quale che sia la materia; geografia, storia, matematica, letteratura, scienze e via così. Tuttavia, sono invece quasi tutti bene informati su cantanti di musica leggera, canzonette varie e il calcio; comunque il quiz distribuisce denaro che qualche volta premia il o la concorrente che indovina la risposta giusta. A volte capitano concorrenti anche bravi ma purtroppo, sono molto rari.

Inoltre la trasmissione dimostra di considerarsi per pochi, ovvero; i partecipanti, scelti con molta cura, sono in prevalenza studenti o giovani laureati, gli altri più maturi, svolgono professioni “nobili” o occupati in impieghi pubblici e operatori in attività artistiche, rarissimi gl’imprenditori e artigiani. Non ricordo “umili” operai metalmeccanici, o di altro genere, forse, come partecipanti, farebbero sfigurare il quiz, condotto con molto garbo dal signor Frizzi, il quale, commentando una risposta su alcune verdure, aveva usato, chissà perché, l’aggettivo “umile” per un ortaggio come la rapa.

Il quiz, come altri prodotti televisivi frutto dalla nuova RAI al servizio del potere, è uno specchio fedele di com’è malridotta l’Italia in fatto di cultura e istruzione. Tuttavia non è tutta colpa degli italiani, è anche la politica messa in campo in decenni da un modello di sinistra; quella del “tutto facile”, che premia tutti, del diritto assoluto all’eguaglianza, tutti promossi, nella consolidata, utopica pianificazione culturale di chiaro stampo marxista: ovvero, cancellare la meritocrazia, che è discriminazione.

Chiudo l’argomento rilevando che questo flusso continuo d’individui extra-comunitari deve essere fermato a tutti i costi, basta parole. Fermiamo anche questa turpe, ignobile pubblicità sui bambini gravemente ammalati che troppe associazioni pseudo umanitarie sfruttano e mercanteggiano intoccabili, libere di agire. La politica della solidarietà che si beano d’imporci è fallace, non serve; la vera solidarietà va al cuore, non passa attraverso le tasche di politici millantatori e corrotti.

Oggi le scuole sono prematuramente multirazziali, frequentate da bambini e ragazzi che nella grande maggioranza parlano poco e male l’italiano, non conoscono nulla della nostra cultura, che nessuno insegna loro e c’é l’annoso, irrisolto problema della religione. Per tutto questo non sono stati approntati programmi scolastici che normalizzino una situazione che è nella più totale disorganizzazione.

Le politiche degli attuali governanti è “improvvisazione in tutto” e tutto il paese è nel caos più totale. Costoro tappano la bocca agli italiani con gli 80 Euro, opera della monarchica magniloquenza del reuccio signor Renzi e dei suoi compagni che ne fanno un vanto, sbandierandola ovunque. Un insulto vergognoso a un popolo lavoratore che merita tutt’altro rispetto, non la carità.

Urge definire strategie contro queste sinistre e i loro complici, esse non vanno solo sconfitte ma devono essere messe a tacere.

È in ballo il nostro futuro di piemontesi, lombardi, veneti, romagnoli, abruzzesi, emiliani, napoletani, calabresi, siciliani, sardi e così tutt’insieme, ma nella salvaguardia delle nostre diversità in questo straordinario mosaico di culture che fanno unica questa penisola. Italiani, si, ma nel rispetto e la tutela delle nostre lingue, tradizioni e costumi.

 

Il bullismo

Bullismo. Immagine dal Web

 

Sinonimo oramai desueto ma ancora usato in politica per sottovalutare la delinquenza minorile che si trasforma in criminale, con giudici avvezzi a un facile buonismo nel giudicare i colpevoli; le leggi italiane sono rimaste all’epoca della “monelleria”. Usare il “pugno duro” è il minimo che si possa fare nell’attuale, grave situazione di disoccupazione che aggiunta ai migranti crea malavita. Una situazione che ha creato una diffusa sfiducia, è la totale assenza dello Stato nel salvaguardare e proteggere i cittadini, i quali, imbelli di fronte ai delinquenti, se si difendono e sparano, vanno in galera. È invero “l’Ingiustizia applicata”; una nuova laurea. Tutto il macchinoso apparato della giustizia è oramai al collasso, ed è pubblicamente riconosciuto che la troppa, inutile burocrazia blocca i processi per anni ma che nessuno vi ha posto, o non ha voluto porvi, rimedio.

Si tratta di una situazione ingarbugliata, che può avere un’origine bivalente, ovvero: l’errore catastrofico di valutazione nell’abolire il servizio militare di leva, che ha prodotto milioni di giovani, i quali, liberi da quel vincolo, hanno occupato grandi spazi vuoti nelle comunità, in un tempo relativamente breve. E la conseguenza diretta di quell’errore si è rivelata ben presto negativa e fatale per loro e per la società in cui vivono. Il troppo tempo libero senza una gran voglia di impiegarlo con dovizia, pochi controlli e soldi in tasca da spendere; il passo è breve per cedere a  tentazioni e sensazioni proibite e facilmente si arriva alla droga leggera, poi a quella pesante e per molti l’ultimo viaggio. Un’altra terribile piaga sociale che travolge le famiglie.

È imperativo occupare i giovani; si deve ritornare al Servizio militare di leva o a un periodo di Addestramento militare obbligatorio. Una rigida disciplina, conoscenza e pratica delle armi saranno salutari, preparando i giovani a essere buoni cittadini. L’Art. 52 della Costituzione Italiana recita: “La difesa della patria è sacro dovere del cittadino” e prosegue; Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalle legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici. Ecco perché è importante lo studio della Costituzione, che va riproposto a partire dalle scuole.

“Quando c’era una sentinella armata ai confini del paese”

 

Se finalmente apriamo gli occhi, ci ritroviamo in una società malata, che ha smarrito i valori identitari genuini, contagiando genitori, figli e nipoti, in un paese con governanti arretrati, inadeguati, impreparati a riceverli, che li rifiuta, togliendo loro il lavoro, l’istruzione, e la fiducia nel futuro. Tutto è provvisorio, non ci si sposa e non si hanno figli in questo clima d’insicurezza, ecco la scottante verità. Una situazione, di cui la stessa classe politica ne è stata la nefasta e feconda matrice, provocando disastri inimmaginabili in queste nuove generazioni, causando guasti che per porvi rimedio non basteranno molti decenni, ma occorre la ferma volontà di cambiare.

In questo terribile periodo storico di confusione d’idee e di ruoli, un’Europa per nulla “europea” langue, mentre nel resto del mondo avanzano le economie di grandi Stati liberi e meno liberi che mantengono alta l’efficienza dei loro eserciti, poiché essi garantiscono la pace. L’Italia, ardente europeista, sopravvive soltanto quale serbatoio europeo di migranti. Sottomessa senza avere alcun titolo a discutere progetti e decisioni è ancora la piccola Italia che mendica contributi in denaro e fa incauti debiti per non fallire, al prezzo di essere servile e sollecita a tenere aperti i suoi confini.

C’è un libro di poco più di cento pagine che tutti gli italiani ma soprattutto i nostri politici dovrebbero leggere: “IL PACIFISMO NON BASTA” di Lord Lothian, editore IL MULINO.

 

Federazione degli Stati Uniti d’Italia

Un’idea sempre viva e attuale che salverebbe il paese è il progetto di una Federazione di Stati liberi e indipendenti: gli Stati Uniti d’Italia; potrebbe essere una forza dirompente in questa Europa macilenta. In basso è la copertina del libro di 110 pagine di Marcello Pacini e pubblicato nell’Aprile del 1994. Uno studio attento e compiuto su un programma che esaminava a fondo le due scelte: Stato Federale o Stato Unitario.

“Scelta federale e unità nazionale” di Marcello Pacini

 

In quel  periodo storico la Lega Nord, con una strenua e incisiva battaglia politica, aveva portato lo scompiglio nel tremebondo e pietrificato mondo politico italiano. La lega di Bossi percorreva l’Italia da capo a fondo come un ciclone, ponendo le basi per la Lega Centro e la Lega Sud. Nascevano giornali e ovunque esplodeva l’idea del federalismo. La Fondazione Giovanni Agnelli, aveva preso a quattro mani quest’idea e in due anni di convegni, dibattiti e ricerche, aveva raccolto le riflessioni che hanno dato origine ha questo interessante volume. I quotidiani illustravano il progetto e i giornalisti discutevano e scrivevano. Senza dubbio era stato un passo che preludeva a un evento straordinario; una vera rivoluzione nell’assetto politico della Repubblica Italiana. Ma…; quando in Italia si parla di cambiamenti politici, c’è sempre un “ma”; una congiunzione grande come un palazzo, sempre e dovunque presente quando anche solo si sfiora l’assetto politico statuale italiano, per cui si deve rivoluzionare tutto per non cambiare nulla, come ben affermava a suo tempo, il Nobile siciliano Principe Salina. Con la Lega Nord, in seguito, purtroppo, ci si è arenati e persi nella sabbia del deserto per cause più o meno accettabili che richiederebbero uno spreco inutile di carta e parole. Oggi si possono ben vedere e costatare in ogni ambito della vita dei cittadini piemontesi e italiani i risultati delle lungimiranti politiche delle sinistre che si autodefiniscono “progressiste”, ovvero, nella più fedele applicazione del pensiero espresso dal nobile Principe Salina.

Parlare di federalismo oggi, a questa categoria di politici è come credere nella magia o nei maghi; ma è un madornale errore, poiché mai dal dopoguerra la situazione generale del paese è stata così seria, per quanto si è deteriorata. Una realtà che nessuno di costoro neppure si sogna di mettere in chiaro, tantomeno la maggioranza del nostro governo che presenta riprese impossibili, inesistenti, inventate per convenienze politiche su basi astratte e elettorali. Sono menzogne costruite con la complicità di un’Europa distratta, chiusa nelle proprie crisi politiche, in maggioranze di governo frutto di estenuanti trattative. Tuttavia la Germania sopporta gli scossoni perché ha un’economia solida, ed è soprattutto, uno Stato federale, ben organizzato e decentrato, con cittadini che lavorano e producono come ogni buon tedesco sa e deve fare.

L’Europa Unita si è fermata allorquando non ha saputo costituirsi in una vera Federazione Europea; imputabili in buona parte gli “stati nazionali”, pacifisti a oltranza come l’Italia, in quanto “società chiuse”.

«Lo stato nazionale è la forma compiutamente sviluppata della società chiusa, Si ritrova così una verità elementare: la pace comporta la negazione di uno degli aspetti fondamentali che la storia ha sinora sempre presentato: “la società chiusa”, ovvero, la divisione politica del genere umano. Questa negazione è determinata, il che significa anche storicamente accertabile. Per passare dalla situazione governata dalla guerra a quella governata dalla pace bisogna eliminare i rapporti di forza tra gli stati e sostituirli con rapporti pienamente giuridici; bisogna cioè sviluppare sulla base della negazione del nazionalismo, il federalismo». (Da “Il pacifismo non basta”). Quindi l’Italia vuole “l’uovo e la gallina”. Sempre più accentramento dei poteri, non negazione del nazionalismo e nessuna divisione dei poteri.

“Il federalismo? Dopo il Duemila” da la Repubblica del 29 Ottobre 1994

 

“Un buon federalismo con i piedi per terra” da la Repubblica dell’anno 1994

 

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Provata illegittima l’operazione del sindaco Dipiazza sull’ex caserma Polstrada di Roiano

Nella nauseabonda palude elettorale in corso, i politicanti “dimenticano” i loro fallimenti nella disastrata Italia, mentre continuano gli abusi, corruzione e arroganza ai nostri fratelli triestini.
C.E.

Segue l’articolo originale: Provata illegittima l’operazione del sindaco Dipiazza sull’ex caserma Polstrada di Roiano (13 Gennaio 2018). Movimento Trieste Libera tratto da http://blog.triestelibera.one/archives/3719

Provata illegittima l’operazione del sindaco Dipiazza sull’ex caserma Polstrada di Roiano

L’amministrazione comunale di Trieste retta dal sindaco Roberto Dipiazza insiste a tentar di coprire con dichiarazioni ingannevoli le illegittimità ormai provate del giro di appalti inutili da 15 milioni di euro organizzato attorno all’ex Caserma della Polizia stradale nel rione di Roiano.

Il giro di appalti inutili risulta organizzato dalle precedenti amministrazioni del sindaco Dipiazza con funzionari del Demanio dello Stato e del Ministero dell’Interno, il suo successore Cosolini (PD) non l’ha annullato, e la nuova amministrazione Dipiazza l’ha potuto perciò riprendere per portarlo a compimento.

L’operazione è consistita nel trasferire il nucleo di Polizia Stradale di Trieste (contro la sua volontà) in una caserma nuova costruita a spese del Comune, che in cambio riceve dal Demanio la proprietà dell’area e degli edifici di Roiano allo scopo dichiarato di destinarli ad asilo, parcheggio e parco urbano per gli abitanti del rione.

L’area includeva infatti gli edifici, intatti ed utilizzabili a questi scopi con pochi adattamenti, della caserma e del parcheggio coperto, con officina, da oltre 100 posti, più ampi spazi aperti con grandi alberi sani ai quali era sufficiente aggiungere nuove piante, vialetti, fontane e panchine. Interventi e spese potevano risultare perciò ragionevoli.

Il Sindaco Dipiazza si è invece fatto consegnare l’area in anticipo ed ha fatto abbattere immediatamente di prepotenza, ignorando le proteste, tutti gli alberi e gli edifici per imporre la costruzione assurda e non necessaria di edifici nuovi, di un parcheggio interrato da 70 posti (nonostante la presenza di un torrente sotterraneo), e di un parco nuovo.

Una forzatura è resa poi ancora più evidente dalle ammissioni dello stesso Comune che per quegli interventi non esistono ancora né il progetto, né le previsioni dei tempi e dei costi. Che non dovrebbero però essere inferiori ai 7-8 milioni di euro.

Le sole certezze sono perciò che la spesa di denaro pubblico sarà enorme quanto inutile, e che l’intera operazione farà ritardare enormemente il promesso utilizzo pubblico dell’area, facendo guadagnare soltanto le imprese beneficiarie del giro di appalti inutili.

Questo quadro evidente dei fatti suggerisce indagini adeguate, ma le illegittimità originarie dell’operazione sono già provate dal contratto di trasferimento della proprietà dal Demanio dello Stato al Comune di Trieste, rogato non da un notaio ma dal Segretario Generale del Comune stesso.

I due enti istituzionali dovevano sapere infatti che il Demanio dello Stato non poteva cedere l’area al Comune, perché non ne ha la proprietà ma soltanto la gestione, ed il Comune non poteva perciò acquisirla. Per di più il contratto dichiara il falso sul titolo di proprietà non solo sotto tale aspetto fondamentale, ma anche perché lo riferisce ad un’ area diversa da quella della caserma; elude inoltre il problema tecnico del torrente sotterraneo.

Chi vuole approfondire l’argomento può leggere QUI il Reclamo Tavolare presentato il 15 dicembre al Tribunale dalla International Provisional Representative of the Free Territory of Trieste – I.P.R F.T.T., con notifica anche alle autorità amministrative e giudiziarie perché avviino doverosamente le indagini di loro competenza. L’atto della I.P.R. F.T.T. consolida infatti con ampia trattazione in fatto e diritto tutte le prove delle illegittimità della cessione. Quest’atto apre inoltre l’intera questione degli abusi sui beni demaniali del Free Territory of Trieste, inclusi i beni del porto, che hanno un valore materiale e funzionale complessivo di decine di miliardi di euro.

Farebbero perciò bene a leggerlo e studiarlo con molta attenzione anche i consiglieri del Comune di Trieste ai quali l’arrogante e superficiale Amministrazione Dipiazza chiede di condividere senza verifiche anche le responsabilità civili, amministrative e penali di quest’ennesima operazione scandalosa.

Il video di Trieste Libera che riassume la verità sul caso della caserma di Roiano e le bugie dei politici su questo giro di appalti inutili: LINK

 

 

 

 

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La drammatica situazione dell’attuale scuola italiana

Il prof. Ratto apre il suo articolo-intervista del 15 dicembre 2017 sulla scuola italiana con una premessa tutt’altro che insolita: cosa insegna davvero ai ragazzi e di cosa dovrebbe invece insegnare.

Una frase di poche parole ma che evidenzia l’annoso problema (la scuola) che continua a persistere e peggiorare nel tempo e cosa si dovrebbe fare per risolverlo. Un condizionale che si dovrebbe estendere alle troppe promesse politiche rimaste incompiute, che hanno causato con la latitanza e l’incapacità dei governi, l’attuale fallimentare situazione italiana.

Già a partire dal 1934 viene introdotta nella scuola la pratica e la cultura militare obbligatoria dagli 8 ai 21 anni, quale “educazione allo spirito agonistico e guerriero” per allevare una gioventù sana, virile, gagliarda, mentre l’attenzione all’igiene e alla salute per perfezionare la stirpe italiana si concretizza nelle azioni della mutualità scolastica. Seguono i programmi d’istruzione militare e paramilitare che diventano materia scolastica, comprendendo lo studio della storia, geografia e delle belle lettere. Inoltre diventa obbligatorio, per piccoli e grandi il sabato fascista.

Non si tratta di un plauso alla scuola fascista, tutta impregnata di politica, deificazione e fedeltà prima al Duce, poi al re. Vivevo a Torino e negli anni 1944/45 frequentavo la 1° e 2° elementare (sono nato nel ’38). Nelle scuole le loro immagini erano state rimosse, tuttavia le tracce nitide sui muri erano rimaste, come pure, dopo oltre un ventennio, nei metodi d’insegnamento dei vari docenti. Nella nuova Italia repubblicana, spiravano venti di libertà per una scuola non più politica; nuovi programmi di studio, più istruzione, serietà e puntualità, con le attività ginniche quotidiane che erano rimaste materia obbligatoria.

Dopo le macerie c’erano: volontà di ricostruzione e rinnovamento, lavoro per gli adulti e per noi ragazzi, lo studio in un futuro di pace. Purtroppo, come in molte malattie mal curate, poco dopo sono arrivate le ricadute, sempre più gravi, dell’antico male che s’incattivisce infettando il corpo.

Sino all’inizio degli anni ’70 tutto era sembrato funzionare, scuola compresa, in quanto, seguendo nostro figlio (nato ne ’68), eravamo costantemente informati.  Nel luglio del 1973 viene emanata la legge che istituisce i Decreti Delegati sul riordinamento dell’organizzazione della scuola, legge poi entrata in vigore nel 1974. Nell’abbondante modulistica il giudizio era entusiasta: “I decreti delegati del 1974 costituiscono la risposta legislativa alle contestazioni studentesche clamorosamente culminate nel 1968 e ai nuovi atteggiamenti degli intellettuali democratici e progressisti che, assumendo la convinzione che i fermenti innovativi trovano corrispondenza nella mutata situazione sociale, economica e culturale, avvertono come non più rinviabile l’attuazione di una scuola diversa, orientativa e promozionale al posto di quella selettiva contestata a gran voce dagli studenti in tutte le piazze e le scuole d’Italia” .

Inoltre questa legge prevedeva la partecipazione dei genitori, paritaria con gli insegnanti, alla formazione dei programmi.

Il linguaggio usato nella propaganda era di chiara ispirazione marxista, meglio dire del sindacato comunista, che usava sostantivi quali; democratici, progressisti, proletariato, sottoproletariato ecc..

Partecipavo a questi incontri, che all’inizio trattavano argomenti pratici, in particolare la qualità e vivibilità degli edifici attraverso il miglioramento delle aule, ovvero: imbiancatura, pavimentazione, infissi, servizi igienici e altro. Sui programmi d’insegnamento, insieme a pochi altri genitori mancanti d’esperienza sull’argomento, si ascoltava, ritenendo un compito specifico del Preside e degli insegnanti discutere sulle materie di studio, mentre altri genitori, oramai investiti nel ruolo, intervenivano sui metodi d’insegnamento con sciocchezze e proposte impossibili, prese, ognuno, a misura del proprio figlio o figlia.

Era chiara la non pertinenza di questo ruolo dei genitori; le riunioni a volte caotiche avevano provocato delusione e disinteresse, per cui molti, me compreso, avevano deciso di non più partecipare. Inoltre gli stessi insegnanti dimostravano con palesi atteggiamenti la loro militanza politica (la lettura del giornale l’UNITÀ durante i compiti in classe e le ripetute riunioni politiche nella sala professori), la scarsa puntualità, superficialità nell’insegnamento e l’andirivieni degli stessi insegnanti dentro e fuori dall’aula.

Abbiamo seguito nostro figlio alle scuole medie e al liceo scientifico Albert Einstein di Torino, il quale, per un certo tempo, è stato sede degli studenti aderenti della F.G.C. (Federazione Giovanile Comunista), che protestando da esagitati, organizzavano picchetti all’entrata della scuola. Il tutto fintanto che un preside, duro e inflessibile, metteva le cose a posto informando i genitori della situazione e a considerare seriamente il comportamento dei loro figli, oppure l’espulsione. Da tenere conto che questo bravo preside aveva anche ricevuto pesanti minacce dagli studenti.

L’avvento dei Decreti Delegati, fortemente voluti dall’area dell’estrema sinistra, hanno assestato un colpo mortale alla macchina pubblica dell’istruzione, della quale oramai padroni assoluti, dominavano incontrastati.

Usare il sostantivo neoliberismo nella scuola obbligatoria di stato, lo ritengo non appropriato, poiché si riferisce a un sistema di economia in contrapposizione alla dottrina socialista, è invece giusta l’espressione usata dal prof. Ratto scrivendo che: l’istruzione pubblica ha subito una trasformazione in logica aziendale.

Tuttavia, la situazione esposta dal prof. Ratto è tristemente condivisibile sotto ogni punto di vista ma il protrarsi negli anni di questo spaventoso declino, com’è potuto succedere nella più totale indifferenza e “il comodo lasciar fare” di tutti gli’insegnanti, presidi e dirigenti scolastici?

È iniziata con le lotte sindacali del ’68 la degenerazione dei valori, promossa dalla visione politica di estrema sinistra mirata al livellamento verso il basso della scuola e che in essa ha trovato l’abbondante terreno fertile necessario: i ragazzi.

Un illuminante articolo del 28/09/2017, di Giuseppe De Lorenzo, denuncia come la politica s’insinua, strisciante e velenosa nelle scuole, attraverso una sorta dispot allo ius soli: gli ”immigrati sono indispensabili”. Precisa il De Lorenzo: “oggi è di moda sponsorizzare l’immigrazione sin dalla pubertà. Si tratta della collana “Zoom. Geografia da vicino” Edizioni dalla Loescher di Torino, ed è proposto alle scuole medie. Sfogliando attentamente uno dei volumi si scopre che presenta gli stranieri come una “indispensabile” risorsa per il Bel Paese e sponsorizza, velatamente, l’approvazione dello jus soli. Una foto del libro di testo circola tra alcuni genitori del Veronese e del Vicentino. Almeno due istituti di Verona lo hanno adottato, come la scuola “A. Manzoni” dell’istituto comprensivo “Golosine” e la “Salgari” del “Candidavid-Palazzina”. A Vicenza invece Alex Cioni del Comitato “Prima noi” ha denunciato”l’indirizzo culturale e poi politico che si vuole dare ai giovani studenti in una fase della loro crescita educativa particolarmente delicata”.

La disistruzione, nella scuola e l’assoggettamento della popolazione a questo sistema politico del “tutto facile e senza fatica”, che elimina la selezione, la meritocrazia, l’individualismo, in nome di un livellamento pianificato dell’individuo pensante a robot, ha il germe della pazzia in un mondo in cui tutto è naturale competizione.

Oggi vediamo i risultati con il concretizzarsi dell’assurdo: “l’istituzionalizzazione” della povertà. Intanto molte scuole pubbliche sono ridotte a luoghi di perdizione, niente istruzione, niente sport, solo il calcio, che non è sport, poiché è violenza e malcostume; niente educazione al lavoro mentre le aziende chiudono, falliscono, o sono vendute a manager incapaci o stranieri; laureati, studenti, tecnici, pensionati e chi ha la minima possibilità fugge da questo paese che vive il suo declino fra presidi, cortei di protesta, processioni, feste e canti in un clima d’altri tempi dove l’orologio si è fermato nel 1968, nel cortile della FIAT MIRAFIORI di Torino.

La chiusa del prof. Ratto all’attuale situazione è significativa nell’aspetto fondamentale: “La cultura sta nella domanda, non nella risposta”. Voi vi meritate una scuola così, una scuola che in qualche modo vi chiami in causa, che vi faccia sentire vivi e che riesca a produrre in voi la felicità e la capacità di realizzare se stessi”. È un sano ottimismo, intanto oggi è sfacelo e proseguire su questa strada vuol dire davvero che i giovani in questo paese non hanno un futuro. Forse nasceranno liberi ma cresceranno servi e moriranno schiavi.

 Carlo Ellena

 

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Trieste: primo successo della causa fiscale sull’amministrazione italiana

Proponiamo il testo integrale di un articolo del Movimento Trieste Libera pubblicato sul loro blog  e sul giornale LA VOCE DI TRIESTE del 28 novembre. Questo documento è importante, non solo per la grande vittoria ottenuta in giudizio ma soprattutto per gli sviluppi e i risvolti politici che questa causa unica in Italia avrà nel tempo. Una prova tangibile dell’inettitudine, arroganza e superficialità che lo Stato italiano ha dimostrato ancora una volta, soprattutto in questo frangente. Mi chiedo in quali mani siamo finiti e cos’è quest’Europa complice saccente dell’Italia che disconosce e umilia i suoi cittadini e gli stessi europei.

 

Segue l’articolo originale: Trieste: primo successo della causa fiscale sull’amministrazione italiana (28 novembre 2017). La Voce di Trieste tratto da http://www.lavoceditrieste.net/2017/11/28/trieste-primo-successo-della-causa-fiscale-sullamministrazione-italiana/

Trieste: primo successo della causa fiscale sull’amministrazione italiana

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La fila di intervenienti all’ingresso laterale del Tribunale di Trieste

 

Trieste, 28 novembre 2017. – La causa fiscale avviata nel maggio 2017 dalla International Provisional Representative of the Free Territory of Trieste – I.P.R. F.T.T. nei confronti del Governo italiano amministratore fiduciario ha ottenuto un primo successo all’udienza di comparizione delle parti, che si è tenuta martedì 28 novembre.

Il Governo italiano si è infatti costituito nel giudizio facendosi difendere dalla sezione di Trieste dell’Avvocatura dello Stato, che ha depositato l’atto di costituzione ma non si è presentata in aula. Il Giudice ha concesso termini per il deposito di documenti e memorie entro il 15 maggio 2018.

Le tesi difensive proposte dall’Avvocatura dello Stato erano insostenibili ed in conflitto con la posizione dello stesso Governo italiano, che con il recente decreto sulla gestione del Porto Franco internazionale ha ammesso di esercitare l’amministrazione civile provvisoria del Free Territory of Trieste su mandato dei Governi statunitense e britannico per conto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

La I.P.R. F.T.T. ha dichiarato perciò che «apprezza la decisione del Governo italiano di non insistere su tesi difensive insostenibili, e la decisione del Giudice di concedergli un termine ulteriore di sei mesi per affrontare e risolvere il contenzioso con negoziati ragionevoli e soddisfacenti per ambedue le parti».

La causa avviata dalla I.P.R. F.T.T. chiede l’accertamento giudiziale del diritto del Governo amministratore ad imporre e riscuotere le tasse a Trieste in nome, per conto ed a bilancio dello Stato italiano, oppure in nome, per conto ed a bilancio del Free Territory amministrato. Le tasse imponibili nel Free Territory attuale sono da due a tre volte inferiori a quelle dello Stato italiano.

La causa della I.P.R. F.T.T. non ha precedenti ed è sostenuta anche dall’intervento processuale di cittadini ed imprese dell’attuale Free Territory of Trieste e di altri Stati. Gli atti di intervento già depositati sono 485. Poiché le parti fisicamente presenti all’udienza erano quasi 200, il Tribunale ha dovuto assegnare al processo l’aula della Corte d’Assise.

I media italiani hanno sinora applicato a tutte le notizie in argomento una stretta censura stampa che dimostra gli imbarazzi della classe politica italiana sulla questione di Trieste.

F.W.

CAMERA

Gli intervenienti prendono posto nell’Aula d’Assise

 

 

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“…NO alle piccole patrie”

Sono parole pronunciate qualche tempo fa del Presidente del parlamento europeo Antonio Tajani (italiano), riferendosi alla Catalogna ma è anche un monito per altri. Un demagogo incapace che vorrebbe risanare l’ambiente e civilizzare l’Africa subsahariana investendo miliardi di Euro europei (da una sua dichiarazione fatta durante la visita a Norcia).

Sono improvvide, quanto sconsiderate dichiarazioni espresse da un uomo che occupa un posto chiave nella politica europea. È incomprensibile come un individuo di tal fatta possa svolgere, in Europa, un ruolo di tale importanza. Incomprensibile per noi, semplici cittadini, ignari di quanto succede in quel misterioso motore d’intrighi che muove ancora a Bruxelles la cavillosa burocrazia europea, oramai lontana dai popoli e dagli intenti dei fondatori della Comunità Europea.

L’attuale Europa si è appropriata ruoli che non ha; non è una federazione, non ha una vera Costituzione, non ha un esercito, non ha la salvaguardia sulla moneta unica, distribuisce molto denaro senza un valido controllo ma soprattutto non tutela la democrazia degli Stati membri, in quanto la stessa democrazia europea ha cambiato pelle trasformandosi in una plutocrazia autoritaria, ed è ciò che succede oggi. Appoggia un mandato di cattura europeo per Carles Pigdemont e i suoi quattro ministri catalani per ribellione, sedizione e malversazione; sono comportamenti spagnoli paritetici al fascismo franchista mai definitivamente debellato. E ancora minacce dell’Europa (con l’Italia in prima linea) all’Austria e Ungheria per un’eventuale chiusura delle frontiere per fermare il flusso degli extracomunitari, un grave problema, questo, che si sta rivelando la chiave della frattura nei rapporti di vari Stati membri con l’U.E. che rimane cieca, sorda e muta.

 

Un po’ di storia della nostra “ patria cita” ( “piccola patria”)

Il 1861, una data fatidica per la realizzazione dell’Unità che ha dato inizio a un rapporto-scontro mai sanato di Torino con il resto d’Italia.

La nostra “patria cita”; così è denominato dai piemontesi il Piemonte è, storicamente, una di quelle “piccole patrie” che oggi ha permesso a quest’uomo (Tajani, sempre lui) e a molti altri del suo livello, che comandano senza saper governare, di sedere su poltrone che mai avrebbero potuto occupare nel Parlamento della monarchia subalpina di quel tempo. Sono uomini di grande spessore quelli che dal 1859 al ’66 posero le basi per l’Unità d’Italia. Eccoli: partendo dall’estrema destra di Solaro della Margarita, Ottavio Revel e Cesare Balbo, a destra, Cavour; Azeglio e Lamarmora al centro; poi a sinistra Rattazzi, Brofferio, Valerio e molti e altri di egual valore. (Quale differenza!)

La difficile e controversa operazione unitaria descritta dall’allora Ministro dei lavori pubblici Stefano Jacini durante il Governo Cavour (1860/61), illustra le fasi critiche dell’avventura.

La chiave era stata il problema del Mezzogiorno e delle annessioni. La politica liberale non prevedeva una larga rappresentanza delle forze popolari; la contraddizione della «precarietà di uno Stato creato dal suffragio universale ottocentesco e di una legge che in un momento di rivoluzione accorda i diritti politici a un ristretto numero di persone». In sostanza lo Stato non poteva sottrarre i diritti politici e i privilegi al ceto più colto e più rivoluzionario del quale aveva estrema necessità. Il problema era stato risolto, in parte, con l’ammissione della legge. Lo Jacini aveva cercato di ammorbidire diplomaticamente la situazione ma inutilmente, il peggio era stato fatto.

I plebisciti (molto ristretti) dal 1860 al 1870, risolsero i problemi enormi delle annessioni ma avevano ignorato le forti tendenze federalistiche e di autonomia che arrivavano non solo dal napoletano ma anche da altre parti d’Italia. All’uopo, per i vari ministri sabaudi e Cavour, che incarnava l’autorità Regia, urgeva realizzare le leggi per creare i gangli vitali dell’amministrazione centrale dello Stato Sabaudo, per cui occorreva comprimere, senza troppi scrupoli, i venti di ogni autonomia. È stata un pretesto risorgimentale, l’unificazione nazionale, nata contro il volere del popolo e voluta intensamente dalla borghesia intellettuale per il proprio progresso economico e politico. È sufficiente osservare la composizione della “Legge elettorale” in Piemonte nel 1848 (residuale dallo Statuto Albertino), ove la Camera rispecchiava la Società Subalpina del tempo, che, con il sistema elettorale fondato sul metodo “uninominale” si era assicurata l’egemonia nel Parlamento e nel paese. Infatti, la prima legislatura risulta composta in prevalenza da liberi professionisti, avvocati, uomini di legge, funzionari di Stato e magistrati, pochi gli ecclesiastici (cinque in tutto), ed una lieve presenza di proprietari di terre  (trenta su 204 deputati). Una visione statuale, uniforme, dai poteri fortemente centralizzati.

Per l’ex regno di Napoli l’annessione è stata una forzatura, poiché l’inviato di Cavour, quale primo Luogotenente a Napoli Farini Luigi Carlo, aveva espresso pareri negativi sui napoletani; inaffidabili, troppo diversi e insofferenti alla disciplina per accettare le rigide regole imposte dai Piemontesi. Ancora il Farini ammatteva che « L’annessione è stata deliberata non per caldezza di affetto nazionale ma per parossismo di due paure; negli uni la paura del ritorno del borbone, negli altri la paura del garibaldismo…». Inoltre molta gente comune, inascoltata, era autonomista e antiunitaria. Tuttavia la determinazione dell’idea unitaria di Cavour e i suoi uomini avevano compiuto il miracolo; alla fine Vittorio Emanuele II diventa Re d’Italia.

Per non creare confusione, bisogna capire il vero significato di “suffragio universale” riferito al periodo storico in cui si parla. Nell’Ottocento il termine “popolo” aveva un contenuto molto vago e impreciso. In generale s’identificava il “popolo” con la nazione stessa tutta, nel senso che si dava un significato “etnico” . Ma il termine “popolo” aveva anche un’altra definizione simile, che divergeva molto dalla prima. In questa seconda interpretazione, s’intendevano indicare le classi sociali medie e inferiori, ossia quelle che lottavano per il riconoscimento della loro esistenza politica contro le classi feudali e i loro privilegi. È anche un’interpretazione di Carlo Cattaneo concernente la struttura politica del suo federalismo.

Il popolo piemontese ha avuto troppi morti per una causa unitaria che gli era stata imposta con la visione di una Torino capitale ma che invece il progetto monarchico, in realtà, l’escludeva; un torto mai sanato. Si costaterà nel tempo il madornale errore fatto dall’autorità Regia, il re, nel costituire un’Unità d’Italia che, nessuno lo vuole ammettere, non è mai realmente esistita.

Ma non è finita per il Piemonte. Nel 21 e 22 settembre del 1864 un colpo gravissimo a sorpresa era stato inferto a Torino e ai torinesi con la notizia del trasferimento della capitale a Firenze.

Un tragico avvenimento che aveva comportato uno sconvolgimento per la città, per la sua economia, per le abitudini e per il prestigio che la città si era guadagnato. Tra i torinesi e il re c’era sempre stato un forte legame ma dopo la sorpresa, la reazione era stata; “Il Re ci ha traditi!”. E non avevano torto.

La protesta dei torinesi in piazza San Carlo aveva avuto costi umani terribili: 55 morti e circa 133 feriti; la gente disarmata di fronte ai soldati schierati che, da pochi metri, sparavano ad altezza uomo. Altri morti da aggiungere alle centinaia di migliaia che questa “piccola patria”, alla conclusione della storia, aveva dato in nome dell’Italia unita.

La “Patria cita” o “piccola patria”, con tutte le sue collaudate, efficienti strutture politiche, amministrative, burocratiche e militari aveva realizzato in circa un decennio (1860/1870); un’Unità che nessuno nell’Italia di quel tempo avrebbe mai saputo e potuto realizzare.

Cavour e tutti gli altri artefici di questo “miracolo” non potevano certo prevedere gli effetti futuri dell’allargamento di questo sistema politico detto a quel tempo “piemontesismo”. Un sistema che è stato tutt’altro che un “miracolo” per Torino e il Piemonte. La visione federalistica cattaneana aveva precorso i tempi di circa un secolo scegliendo la forma di governo più idonea per l’Italia.

Ma questo è tutt’altro discorso.

 

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Trieste e Torino; storia di un declino che, in un certo senso, le unisce

Un dettagliato articolo di Paolo G. Parovel sul giornale LA VOCE DI TRIESTE del 6 novembre, che di seguito pubblichiamo, riassume le tristi vicende della città di Trieste, dell’attuale Free Territory of Trieste, del suo Porto Franco Internazionale e la spogliazione perpetrata nei sessant’anni di amministrazione civile provvisoria del Governo italiano con l’aggressione fiscale e il saccheggio economico.

Prendo spunto dai gravi fatti esposti nell’articolo, per palesare la situazione, non eguale ma simile nel tempo, verificatisi nel Piemonte, in particolare a Torino e la sua provincia.

Torino una Nazione che ha superato i mille anni di storia, era un tempo gloriosa e combattiva. Prima capitale d’Italia, capitale industriale, capitale dell’auto, capitale della moda, capitale del lavoro, capitale delle idee per creare lavoro, capitale dei primati militari e molto altro, oggi, scomparsa dallo scenario di chi produce lavoro e benessere, affonda nel suo declino come una maledizione che la perseguita per un continuus di amministrazioni politiche ottuse e incapaci. Una città in cui gli ultimi rampolli della vecchia borghesia hanno raccolto l’eredità del passato passando indenni attraverso la monarchia, la destra liberale, la repubblica, il socialismo e oggi complici dei comunisti, alimentano ancora un sistema politico che ha portato il Piemonte al fallimento non ancora dichiarato.

Nello scorrere dei decenni si è compiuta la rapina di tutto quanto nutriva il corpo della città quand’era capitale; svuotata dei suoi valori materiali e morali, ridotta a un museo industriale in rovina e in ultimo annientata, trasformata in un’altra capitale dai tristi primati e suburra senza futuro. Capitale delle chiacchiere, dei progetti senza costrutto, dei sogni irrealizzabili e dei grandi fallimenti, oggi si prepara a un altro gigantesco costosissimo bluff; la “Città della salute”, che succederà alla dismissione dei grandi impianti invernali del 2006 e all’incompiuta area Westinghouse, progetti faraonici di centri congressi polifunzionali, di una torre-albergo da 90 metri, un altro centro commerciale e molti altri flop, in una città che si svuota.

È la storia compiuta della nuova Torino catto-comunista e quanto segue sia scolpito nella memoria dei piemontesi e degli italiani.

Segue l’articolo originale: Trieste, il 26 ottobre e gli USA di Paolo G. Parovel (26 ottobre 2017). La Voce di Trieste tratto da http://www.lavoceditrieste.net/2017/10/26/trieste-il-26-ottobre-e-gli-usa/

Trieste, il 26 ottobre e gli USA

  di Paolo G. Parovel

Trieste, 26 ottobre 1954

 

Il 26 ottobre 1954 il primo Governo provvisorio di Stato dell’attuale Free Territory of Trieste affidato ai Governi degli Stati Uniti e del Regno Unito, l’Allied Military Government Free Territory of Trieste – AMG FTT, veniva sostituito nell’amministrazione civile provvisoria dal Governo italiano, secondo un Memorandum d’intesa firmato a Londra il 5 ottobre.

L’amministrazione diretta anglo-americana, efficiente ed onesta, aveva risollevato l’economia di Trieste con un regime fiscale ragionevole e con finanziamenti allo sviluppo economico come il counterpart fund, fondo di contropartita, destinato dagli USA al Free Territory of Trieste ed agli altri Stati europei membri dell’ERP – European Recovery Program, più noto come “piano Marshall”.

I risultati erano buoni perché i 27 anni di occupazione e poi annessione italiana a seguito della prima guerra mondiale non erano riusciti ancora a distruggere la cultura economica e la capacità imprenditoriale della Trieste absburgica nell’industria, nel commercio e sui mari del mondo.

Durante l’amministrazione anglo-americana l’Italia aveva invece finanziato ed armato a Trieste i nazionalisti ed i neofascisti italiani, spendendo somme enormi che li avevano trasformati un gruppo di potere sempre più ricco, arrogante, corrotto e violento.

Il 26 ottobre 1954

Quel 26 ottobre del 1954 la propaganda nazionalista spacciava il cambio di amministrazione provvisoria come “restituzione di Trieste all’Italia” promettendo un futuro radioso per tutti, ed i fotografi e cineoperatori immortalavano una folla enorme di entusiasti e di curiosi che accoglieva le truppe italiane in Piazza Grande e sulle rive.

Ma quella folla era formata, paradossalmente, per buoni due terzi da italiani venuti a Trieste per vedere i triestini che accoglievano gli italiani. La maggioranza dei triestini era scettica o contraria e si era tenuta lontana dalle manifestazioni, mentre il poeta Biagio Marin, benché di parte italiana, scriveva profetico:

«Trieste è felice stasera. Celebra con trasporto la sua futura sventura. Perché tutte le volte che la nostra città si è concessa con sconfinato entusiasmo all’Italia amata, ha sùbito imboccato la triste strada della decadenza. Noi eravamo il gioiello dell’impero di Maria Teresa e il porto dell’Austria, eravamo la rosa profumata degli Asburgo. Con l’Italia saremo un piccolo fondaco gestito in modo sbrigativo dai burocrati e diventeremo una società strozzata e rassegnata di facili guadagni e di indomabili nostalgie. Oggi è cominciato il nostro tramonto.» 

E così è stato, perché il nuovo Governo amministratore mise subito sotto controllo l’economia locale dissanguandola illegalmente con le enormi tasse dello Stato italiano, e rendendola dipendente da finanziamenti pubblici italiani, per i quali Roma continuava in realtà ad utilizzare i fondi americani destinati al Free Territory of Trieste.

Il metodo dell’aggressione fiscale

Io sono uno dei testimoni diretti dell’inizio, quel giorno stesso, dell’aggressione fiscale italiana all’economia del Free Territory of Trieste, e della sua prosecuzione sistematica.

Nel 1954 avevo 10 anni ed miei genitori, Eugenio Parovel e Nerina Widmar, conducevano con successo la nostra agenzia di distribuzione della stampa internazionale con libreria, fondata nel 1882 con sede dietro Piazza Grande, in via del Teatro, filiale ad Istanbul, Istiklal Caddesi 495, e durante la guerra anche a Lubiana.

Di quel 26 ottobre ricordo benissimo due cose: la folla eccitata nella piazza e sulle rive, sotto la pioggia, e l’irruzione brutale immediata della Guardia di Finanza italiana nella nostra agenzia. Mio padre, nato cittadino austriaco a Trieste nel 1900, aveva lavorato anche in Francia, in Belgio, ad Alessandria d’Egitto, a New York, al Brennero e ad Istanbul, ma non aveva mai ricevuto un trattamento simile.

Era un imprenditore onesto ed i finanzieri non trovarono nulla di irregolare, ma l’allora Intendenza di Finanza italiana (l’attuale Agenzia delle Entrate) lo caricò egualmente di tasse così ingiuste ed eccessive da paralizzare l’azienda.

Lui se ne ammalò, ma non si arrese. e riuscì anche a contribuire alla riapertura nel 1957 della Galleria del Tergesteo, proprietà della società Tripcovich del barone Gottfried von Banfield, spostandovi la libreria con nuovi arredi dell’architetto Alessandro Psacaropulo ed una sala d’arte affacciata su Piazza della Borsa e gestita con Piero Florit, dove esponevano Lucio Fontana ed altri autori di fama.

Mio padre morì l’anno dopo, a soli 58 anni, e l’Intendenza di Finanza italiana ci aggredì immediatamente con tasse di successione cinque volte maggiori del dovuto. Ricorremmo alla giustizia tributaria di primo grado, che ci diede ragione, ma l’Intendenza di Finanza, pur sapendo di aver torto, ricorse in secondo grado, dove vincemmo nuovamente. Allora l’Intendenza ricorse ad una Commissione centrale di Roma, che ci dette torto senza consentirci la difesa.

Questa violenza illegale del fisco italiano ci mise in difficoltà tali che avremmo dovuto chiudere se non avessimo avuto l’appoggio dei dipendenti e di due gentiluomini formati nella Trieste austriaca: il barone Banfield ed Ugo Hirn-Irneri, fondatore del Lloyd Adriatico, che non dimenticava di essere stato aiutato dai miei genitori quand’era povero.

Dopo qualche anno dovemmo comunque cedere l’agenzia di distribuzione, e quando negli anni ’80 dovetti cedere anche la libreria il fisco italiano mi impose tasse tre volte maggiori del dovuto, che potei far annullare solo dopo 15 anni di cause legali e danni economici conseguenti.

Sei decenni di saccheggio economico

Dal 1954 l’amministrazione italiana ha applicato questo trattamento per sei decenni a migliaia di imprese di ogni genere e dimensione, vi ha aggiunto il sabotaggio del Porto Franco internazionale, il furto dei Cantieri navali, la chiusura della Borsa valori l’eliminazione graduale di quasi tutte le grandi imprese storiche triestine di terra e di mare. Anche il Lloyd Adriatico è stato venduto, e la Tripovich è stata eliminata con procedure scandalose.

In questo modo Trieste, la Filadelfia d’Europa creata dall’Austria attorno al porto franco con due secoli di immigrazione di imprenditori e lavoratori di più lingue, culture e religioni è divenuta così terra di emigrazione verso altri Paesi europei e verso le Americhe.

Gli effetti di questo saccheggio continuato erano stati coperti per alcuni anni dal boom del commercio di confine con la Jugoslavia e verso l’Est europeo, ma quando è cessata anche quella risorsa esterna Trieste si è trovata di nuovo in piena crisi, aggravata da una classe politica italiana locale sempre più inetta, avida e corrotta.

Il risultato è quello drammatico che stiamo vivendo adesso, con metà popolazione ridotta difficoltà crescenti o già in miseria ed i giovani costretti ancora ad emigrare per tentare di costruirsi un futuro mentre le vie di Trieste sono trasformate in cimiteri di negozi, ed il centro storico è sempre più degradato.

Al posto della nostra agenzia, in via del Teatro oggi c’è una paninoteca mentre la Galleria del Tergesteo, dopo un restauro senz’anima, è stata ridotta da salotto della città ad una gigantesca pizzeria caprese sgangherata e fuori posto, e la banca superstite sta per essere sostituita da una polleria.

Tutto questo, assurdamente nell’unica città d’Europa che ha diritti di Stato sovrano, di Porto Franco internazionale e di centro finanziario indipendente garantiti dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, creati per consentirle di diventare un centro di ricchezza straordinaria per sé e per tutti gli altri Stati.

Il 26 ottobre 1994

Nel 1994, quarant’anni dopo quel 26 settembre del 1954, la Trieste saccheggiata dall’amministrazione provvisoria italiana sopravviveva ai margini della guerra croato-serba che aveva dissolto la Jugoslavia, ed io mi occupavo di analisi per monitorare un’operazione segreta italiana che rischiava di internazionalizzare il focolaio di crisi ex-jugoslavo e di destabilizzare mezza Europa.

Il problema, già sotto osservazione da tempo, consisteva nel fatto che ambienti particolari profondamente infiltrati nelle istituzioni italiane volevano approfittare nella guerra croato-serba organizzando nell’Istria incidenti da attribuire a nazionalisti croati per giustificare un intervento militare “a difesa della minoranza italiana”.

L’opinione pubblica era stata preparata rilanciando come verità storica propagande antipartigiane fasciste e naziste del 1943-45 rielaborate da ambienti noti della destra nazionalista e neofascista italiana. Ma l’appoggio principale proveniva dagli ex-comunisti italiani, ed i collegamenti internazionali dell’operazione arrivavano in Germania e Russia, i due Paesi che assieme all’Italia avevano favorito la dissoluzione violenta della Jugoslavia sabotando i tentativi degli USA di impedirla.

In Italia queste attività politico-militari segrete violavano la Costituzione della Repubblica e la legge 17/1982, ma avevano coperture così forti che la Procura Militare dovette sospendere le indagini già avviate sui responsabili, e la pubblicazione di notizie sui media italiani veniva sistematicamente impedita. Ci provarono il quotidiano Liberazione e Paolo Rumiz sul Piccolo, ma vennero bloccati dopo il primo articolo.

In Slovenia e Croazia se ne poteva invece scrivere sulla stampa, ma i loro Governi non reagivano perché quello sloveno era condizionato da forti influenze italiane, e quello croato era ancora in guerra. L’onere di bloccare anche questa manovra di destabilizzazione ricadeva perciò sugli Stati Uniti, ma nel 1994 Roma tentava ancora di ignorare i loro ammonimenti riservati.

Le propagande revansciste italiane si fondavano principalmente sulla tesi falsa che il Free Territory of Trieste non fosse mai stato costituito, che l’Italia avesse perciò conservato la sovranità su di esso, e che avesse quindi diritto ad esercitarlo sia su Trieste, sia sull’accessoria “Zona B” affidata dal 1954 all’amministrazione del Governo federale jugoslavo ormai estinto, che l’aveva delegata a Slovenia e Croazia.

La questione dell’ex “Zona B” era stata chiusa dalle Nazioni Unite con le Risoluzioni che nel 1992 avevano riconosciuto le nuove Repubbliche indipendenti di Slovenia e di Croazia negli attuali confini a seguito di plebisciti.

Con questa formula sono rimasti intatti i diritti di Stato del Free Territory attuale, formato dalla sua principale ex “Zona A” con la capitale, il Porto Franco internazionale e cinque Comuni minori.

Per scoraggiare del tutto l’operazione revanscista italiana era necessario perciò ricordare con diplomazia ma con fermezza al Governo italiano che su Trieste non esercitava diritti di sovranità, ma soltanto l’amministrazione provvisoria su delega statunitense e britannica.

Così il 26 ottobre 1994 l’ambasciatore degli USA in Italia, Reginald Bartholomew, diplomatico di carriera, indirizzò alla popolazione di Trieste una lettera ufficiale di saluto «nel quarantesimo anniversario del passaggio della città all’amministrazione civile italiana», ricordando i legami storici e di amicizia tra i cittadini di Trieste e gli Stati Uniti d’America, e concludendo con un «augurio di pace e di prosperità per il cammino verso il 2000» LINK.

Il messaggio, nella sua eleganza formale, non era evidente ai profani, ma perfettamente comprensibile ai diplomatici italiani. I quali sapevano benissimo che durante la guerra fredda gli USA avevano evitato di intervenire nella conduzione delle amministrazioni italiana e jugoslava delle due zone del Free Territory of Trieste, ma avevano anche sempre curato di mantenere intatto lo status giuridico indipendente di Trieste e del suo Porto Franco, in attesa del momento strategico favorevole per attivarne le funzioni economiche internazionali.

Il 26 ottobre 2017

Ci sono voluti altri 23 anni, ma oggi, 26 ottobre 2017, quelle condizioni si sono finalmente concretate, con la modifica radicale della situazione politico-strategica dell’Europa centro-orientale e con il raddoppio del Canale di Suez, che consentono l’incremento dei traffici internazionali sugli assi ferroviari Baltico-Adriatico e Transiberiano tramite Vienna-Bratislava ed i porti adriatici nord-orientali di Trieste (Free Territory), Koper (Slovenia) e Rijeka (Croazia).

Vi sono inoltre gli strumenti giuridici per estendere, con intese tra Free Territory, Slovenia e Croazia, zone franche speciali del Porto Franco internazionale di Trieste anche al vicino porto sloveno di Koper ed ai porti croati di Rijeka e di Ploče per lo sviluppo dei traffici con l’Ungheria, la Bosnia-Erzegovina e la Serbia.

Oggi possiamo quindi ricambiare da Trieste quegli auguri del 1994 al nuovo ambasciatore degli Stati Uniti d’America a Roma, Lewis M. Eisenberg, che aggiunge a straordinarie competenze personali nel mondo della finanza internazionale l’esperienza di membro e poi Presidente del Consiglio di amministrazione della Port Authority di New York e del New Jersey, che ha relazioni con il Porto Franco di Trieste dal 1921.

 

 

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Breve commento sulle votazioni tedesche ed effetti collaterali

Nessuna sorpresa; è successo quello che doveva succedere, io semplice cittadino l’avevo anticipato nel mio BLOG, con la differenza che davo la Merkel per sconfitta. Non è stato così ma cambia poco. Gli equilibri all’interno della sua maggioranza sono svaniti e con la destra dura all’opposizione e un parlamento simile a una sorta d’insalata russa, per la Cancelliera sarà molto difficile costruire un governo che, pare ovvio, sarà ben diverso da quello precedente, compreso l’atteggiamento verso l’immigrazione selvaggia, senza dimenticare la futura posizione tedesca all’interno dell’UE. Ed è soltanto il primo scossone; i contraccolpi che avverranno in seguito ad altre votazioni politiche negli stati membri UE, saranno senza dubbio sorprendenti.

La Spagna usa il pugno di ferro con la Catalogna, è regime totalitario ma i catalani presto o tardi vinceranno, sono dei duri e non molleranno mai; siamo con loro.

E l’Italia? Deve cambiare, ne ha le potenzialità, se lo vuole veramente. È urgente dare un futuro ai nostri giovani disoccupati per forza; per questo è indispensabile una destra liberale forte.

A ottobre ci saranno i due referendum sull’autonomia del Veneto e Lombardia, secondo l’articolo 116 della nostra Costituzione, sono due consultazioni per la libertà dell’individuo, per i lavoratori e per la imprese, qualcosa si muove, speriamo nella vittoria.

Nei regimi a democrazia avanzata, quando avviene un’alterazione o una frattura nel sistema verso un altro a forte impostazione statalista di sinistra imposto senza consultazione popolare, presto o tardi, a un’inevitabile votazione politica, il regime imploderà sulle sue rovine e saranno i cittadini a indicare la strada; Brexit insegna. Sono gli effetti di forze inarrestabili quali; libertà, onestà, giustizia.

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Un ravin ancreus, sensa vёdd-ne la fin (Un precipizio profondo, senza vederne la fine).

Ѐ una frase in piemontese, la mia prima, amata lingua, con la quale manifesto l’ira, che non più contenuta, diventa “funesta”, quando le situazioni e gli eventi che ci coinvolgono sono pessimi, non provocati da noi ma imposti e subiti da cause esterne, contrarie alla nostra volontà, al buon senso.

La vecchiezza, in fondo, è il bene dell’uomo, quando egli conserva una buona memoria del tempo passato, degli accadimenti sia positivi sia negativi vissuti nel corso della propria esistenza, l’età avanzata diventa uno strumento per commisurare, sulla bilancia della vita, l’esito finale.

La scuola salesiana ci ha indicato i percorsi da seguire: il lavoro, lo studio, il dovere, l’onestà, la volontà e la determinazione nel perseguire gli obiettivi individuali e di gruppo, ma sempre nel rispetto delle regole e del prossimo. In fondo a tutto poi ci sono i “diritti”, se il tuo esercitare ha avuto ragione di pretenderli; ma solo a questi patti.

Erano le regole e la disciplina teutonica che impartiva Don Trivero attraverso il trillo del suo fischietto, con il quale scindeva i diversi momenti della giornata: la prima adunata al mattino e guai a tardare di un solo minuto, un momento di raccoglimento in chiesa, poi l’entrata a scuola, la ricreazione, il veloce rientro, il doposcuola e l’ultima adunata per il rientro a casa.

Se infliggeva una punizione o dava qualche benevolo scappellotto, avvisava in nota sul diario i genitori che firmavano rincarando la dose con sonori ceffoni.

Nel nostro tempo non c’è più tempo. Tutto è stravolto, sfalsato, finto: quale lavoro? Quale studio? Quale scuola? Che cosa sono il dovere, il rigore e l’onestà? Quali obiettivi da perseguire quando c’è un vuoto totale d’idee? Quali regole, se oramai sono ritenute inutili?

L’esito finale non può essere che il fallimento; non esistono panacee e nessun’altra possibilità.

La grande crisi reale per mancanza di lavoro è una questione venuta prepotentemente alla luce all’incirca nell’ultimo settennio, causa la caduta del PIL, uno spaventoso debito pubblico l’insolvenza dello stato nei confronti delle troppe imprese creditrici. Una vicenda che si è degradata negli ultimi venticinque anni circa, con continuo calo della produzione e del relativo mercato, il trasferimento, vendita e chiusura delle grandi e medie aziende poi l’invenzione della tragica parola “ristrutturazione”, che poi significa mobilità, licenziamenti, la C.I.G.

Un quadro molto dettagliato della situazione l’ha fatto Luciano Gallino in un suo libro che sotto riporto in copertina per il suo titolo molto eloquente. Un libro che tutti gli italiani dovrebbero leggere, in particolare i piemontesi.

L’Artigianato

Il mio riferimento sul mondo del lavoro lo rilevo dal settore artigiano, che è il polso reale dell’economia imprenditoriale; se la grande industria investe, lavora e produce, si muove anche l’artigianato, in caso contrario tutto rallenta e oramai troppo spesso, si ferma. Tuttavia questo settore, che è costituito da imprenditori che rischiano in proprio e sono a diretto contatto con il mercato, ha trovato, anche in questa grave crisi, risorse e alternative rapide ed efficaci, sono aspetti che la grande industria non può avere, proprio per la sua dimensione. Tuttavia il prezzo da pagare è stato, ed è carissimo per perdita dei posti di lavoro, chiusura d’imprese e troppi maestri artigiani anziani senza avere il valido ricambio.

Vedi tabella.

ANDAMENTO OCCUPATI NELL’ARTIGIANATO
 
Anni Imprese Autonomi Dipendenti Occupati Totale
2007 135.639 179.511 134.022 313.533
2008 136.501 181.099 133.243 314.342
2009 135.529 178.866 122.191 301.057
2010 135.355 176.995 119.563 296.558
2011 136.070 176.007 118.606 294.613
2012 133.000 173.000 114.516 287.516
2013 129.503 169.980 109.212 278.192
2014 126.142 157.572 115.211 272.783
2015 125.228 151.601 107.110 258.711
2016* 123.277 145.700 107.724 253.424

*elaborazione da ultimi dati Regione Piemonte Osservatorio dell’Artigianato 30/6/2016

 

L’andamento occupazionale di lavoratori autonomi e dipendenti nell’artigianato per gli anni 2007 – 2016 indicati nella tabella e nel grafico evidenzia una progressiva diminuzione; infatti dalle 313.533 unità lavorative del 2007 si scende a 253.424 del 2016, con una perdita complessiva di 60.109 posti di lavoro; mentre nell’anno scorso si è registrato un calo di 5.287 occupati.

 

Cassa integrazione in deroga

A seguito delle intese tra Regione Piemonte/INPS/Parti sociali, la Cig in deroga è stata estesa a tutti i settori, incluso quello artigiano, con la finalità di contribuire al superamento dell’emergenza occupazionale derivante dalla crisi economica che ha interessato tutti i comparti produttivi del Piemonte. Le domande di Cig in deroga al 30 novembre 2016 sono state 3.531 di cui 2.547 presentate da imprese artigiane. I lavoratori coinvolti complessivamente sono 10.177 di cui 5.290 dipendenti d’imprese artigiane. Le ore di Cig in deroga, per il periodo preso in esame, relativamente al comparto artigiano, si attestano a 1.893.288 sul totale di 3.659.164

La diminuzione dell’utilizzo della Cig in deroga negli anni 2014 – 2015 -2016 è dovuta anche al fatto che le regole di fruizione della stessa sono mutate, prevedendo nel 2014 il finanziamento per 11 mensilità, nel 2015 per 5 mensilità e nel 2016 per 3 mensilità.

DOMANDE CIG IN DEROGA 2016
Tipologia aziendale Domande Lavoratori Ore CIG
 Artigiane 2.547 5.290 1.893.288
 Non artigiane non cassa integr. 792 2.569 933.238
 Non artigiane cassa integr. 14 561 219.716
Altre 178 1757 612922
TOTALE 3.531 10.177 3.659.164

*elaborazione dati Regione Piemonte Osservatorio Mercato del Lavoro al mese di novembre 2016

 

Come accade da molto tempo, il settore artigianato è, come si dice, “l’ultima ruota del carro” per i vari governi succedutesi in passato ma mai come nell’ultimo settennio, pur contribuendo per l’11% al PIL. Tuttavia il settore opera come meglio può nella speranza che cambi il clima politico verso una vera libertà d’impresa.

Sugli sperperi in denaro della RAI, su immigrazione e Sanità pubblica.

Sempre e solo parole che mangiano parole, troppe e inutili come gli sperperi inverosimili e i costi spropositati in risorse e denaro pubblico della Rai TV nazionale (che tale non è) con spettacoli fantasmagorici e sciocchi, fatti per confondere i cittadini. Per i politici è indispensabile obliare gli abnormi errori perpetrati dai loro governi di sinistra per riempire spazio e tempo; confondere la gente con il calcio, le risate, le canzonette, i ridicoli film TV, i programmi boccaceschi, i quiz diseducativi, sciocchezze di ogni genere e per finire i canti delle sirene. In pochi anni il livello è sceso sotto zero; quasi mai all’ascolto la buona musica e il bel canto, come, ad esempio, ripresentare l’operetta, sconosciuta ai giovani. La televisione, oramai strumento di proprietà della sinistra, fa solo politica; una macchina mangiasoldi tutta da rifare. C’è da riflettere sull’ultima, pasticciata puntata della “PROF”, che nell’aula di una scuola, in modo neanche troppo sottinteso, la scolaresca rigorosamente multietnica, taccia italiani e piemontesi di razzismo, quando extracomunitari e africani li abbiamo ogni dove e molti di loro non sanno neppure perché sono qui.

Si sta iniziando a pagare lo scotto della colpevole sottovalutazione del problema immigrazione extracomunitaria a livello sanitario.

Un problema enorme per la disastrata sanità pubblica, oramai inerme di fronte di migliaia d’immigrati africani che entrano in Italia senza nessun controllo medico, mentre i nostri figli e nipoti sono costretti a digerire cocktail di vaccini vari, purtroppo resi necessari per premunirsi dalle infezioni.

Da un’intervista al Dott. Alfredo Guarino sul “Corriere del mezzogiorno” di Napoli del settembre 2017; l’argomento è la poca attenzione rivolta ai casi di malaria e tubercolosi.

Il fatto della bambina di 4 anni morta di malaria a Trento, ha scatenato preoccupazioni e paure per il contagio di questa pericolosa malattia creduta scomparsa.

Il dott. Guarino, specialista di malattie infettive nell’ospedale di Napoli, spiega che nella sua lunga carriera ha visto migliaia di bambini colpiti da queste malattie infettive, e che oramai dobbiamo fare l’abitudine ed essere preparati di fronte  a queste masse d’individui che arrivano da aree a rischio. Il problema è serio, per cui la situazione che si è rapidamente creata, va affrontata in modo radicale per evitare il contagio. Tuttavia il medico afferma che c’è un altro dato preoccupante: Ho visto più casi di tubercolosi negli ultimi due anni nel mio reparto, di quanti abbia registrato nei trent’anni precedenti; e spiega che in Francia tutti si vaccinano contro la tubercolosi; purtroppo in Italia la soluzione sarebbe bocciata in partenza. I pazienti affetti da queste malattie infettive sono da curare, aspetto molto difficile, in particolare per i bambini che vivono nei campi Rom, perché questi sono migranti senza una dimora stabile. E racconta la storia di un bambino Rom affetto da tubercolosi,  che il medico voleva curare e gli aveva chiesto dove abitasse per portare le medicine. Il bambino aveva dato un’indicazione approssimativa del campo, che poi il medico non era riuscito a trovare. In seguito aveva poi saputo che il ragazzino era morto.

L’immigrazione africana oramai ha altri interessi; si è trasformata nella nuova cultura economica post-industriale italiana; un affare probabilmente redditizio, molto pubblicizzato e sponsorizzato dalla TV nazionale mediante decine di sedicenti associazioni che chiedono continuamente denaro.

Del fenomeno migrazione s’interessano anche le più grandi banche d’affari del mondo.

 

Zero Hedge 22 agosto 2017

Un nuovo studio appena pubblicato da Goldman Sachs potrebbe adesso aggiungere ancora più benzina al fuoco: in esso si legge che, esattamente come denunciato da Roma, l’Italia è il paese meno adatto ad assorbire i migranti. Ciò si deduce sulla base di tre indici di integrazione: (1) integrazione economica; (2) integrazione sociale; e (3) efficacia delle politiche.

Non sarà una novità per i lettori abituali, ma la Goldman espone il problema in questi termini:

“I flussi migratori verso l’Europa sono in evoluzione, e i paesi non hanno tutti la stessa capacità di integrare i nuovi arrivati. I migranti che attraversano il Mediterraneo provengono in misura sempre maggiore dall’Africa sub-sahariana piuttosto che dalle zone di guerra del Medio Oriente. I paesi di destinazione sono sempre più l’Italia e la Spagna, mentre i flussi attraverso Grecia e Balcani occidentali verso la Germania si sono ridotti, soprattutto a seguito dell’accordo UE-Turchia e l’imposizione di controlli più stringenti alle frontiere.”

Su quest’aggrovigliata situazione una buona parte di responsabilità è da attribuire alla Cancelliera Dr. Angela Merkel per la sua esplicita, quanto improvvida dichiarazione fatta sul finire del 2015 alla TV tedesca; nel suo intervento si era espressa con queste parole: «…siamo ricchi, quindi possiamo accogliere questi emigranti…». E arrivarono a migliaia.

Non era ben chiaro se a essere ricchi, si riferiva alla Germania o all’Europa, comunque il governo italiano e la chiesa si erano lanciati subito a tutta velocità nell’accoglienza sfrenata senza minimamente curarsi della quantità da accogliere e sistemare e soprattutto chiedere, in qualche modo, un parere ai cittadini, anche in questo caso, scavalcati.

Il governo, in quest’affare, aveva intravisto delle convenienze politiche e non solo: sull’acquisizione di numerosi, facili voti e nel frattempo forti contributi europei da incassare sulle spalle di questa povera gente e guai all’Austria che voleva fermarli; subito Gentiloni si era unito alle minacce contro la stessa Austria. Circa un paio di mesi prima delle votazioni in Germania questi toni minacciosi della fanfara di governo italiana e del Papa si erano alquanto abbassati, riconoscendo utile un rallentamento e maggior rigore alle frontiere ma i madornali errori erano già stati fatti.

 

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L’azione legale della I.P.R. F.T.T. contro le imposizioni fiscali illegittime del Governo italiano amministratore e delle sue Agenzie

La International Provisional Representative of the Free Territory of Trieste – I.P.R. F.T.T. ha citato in giudizio il Governo italiano, il suo Ministero dell’Economia e delle Finanze, le sue Agenzie fiscali (Entrate, Demanio, Dogane e Monopoli) e l’INPS per l’accertamento della legittimità o meno di tutte le imposizioni e riscossioni fiscali effettuate a Trieste in nome, per conto e a bilancio dello Stato italiano, con richiesta di sospensione cautelare di tutte le procedure di riscossione forzata.

La dichiarazione competa in PDF:

– in italiano: LINK

– in inglese: LINK

Il video della conferenza stampa, in italiano e inglese

 

Il decreto sulla gestione amministrativa del Porto Franco internazionale di Trieste

Il 13 luglio 2017 il Governo italiano ha annunciato la firma del decreto ministeriale, atteso da 23 anni, per l’organizzazione amministrativa dei Punti Franchi del Porto Franco internazionale del Free Territory of Trieste, che è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale  n. 177 del 31 luglio 2107 (LINK).

Ma nel frattempo alcuni politici e media italiani hanno diffuso una valanga di disinformazioni per attribuirsi meriti inesistenti e per confondere l’opinione pubblica sui  contenuti reali del decreto governativo, che è stato emesso su pressioni internazionali sollecitate ed ottenute con intense attività informative, legali e politico-diplomatiche del Movimento Trieste Libera e della International Provisional Representative of the Free Territory of Trieste – I.P.R. F.T.T.

Con questo decreto infatti il Governo italiano ha ammesso definitivamente di esercitare l’amministrazione provvisoria dell’attuale Free Territory e del suo Porto Franco internazionale, e non la sovranità dello Stato italiano, cessata qui dal 15 settembre 1947. Ma il provvedimento contiene anche alcune norme errate che dovranno essere corrette per dare agli investitori la necessaria certezza del diritto.

I chiarimenti fondamentali necessari sono contenuti nella dichiarazione immediata, in italiano ed inglese, con cui la I.P.R. F.T.T. ha accompagnato a livello internazionale la pubblicazione ufficiale del decreto del Governo amministratore. Vi invitiamo perciò a leggere il documento, che è pubblicato a questo LINK.

Il video con la dichiarazione, in italiano ed in inglese

 

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Articolo apparso sull’album “TOPOLINO” dell’11 novembre 1979, pag. 157.

Sfogliare i vecchi album “TOPOLINO”della collezione di mia moglie, è un’operazione che affronto sempre con piacere e molta curiosità; sono una vera miniera di notizie talvolta strabilianti. Questa, che la mia attenta consorte ha trovato, è veramente stucchevole e se vista oggi, dopo ben 38 anni, ci mostra, dietro l’apparente semplicità dell’informazione, un paese che si è pietrificato già negli anni ‘70. Mi spiego meglio.
Tanto per essere chiari, reputo una vera fortuna che il ponte non sia stato costruito (a totale dispiacere di Berlusconi), tuttavia mettendo in conto che la fase di studio era iniziata nel lontano 1959; una montagna di denaro per un pugno di polvere. Sui motivi e il perché credo sia meglio non approfondire, non solo sullo sperpero di denaro pubblico ma anche su fatti e misfatti di dubbia trasparenza, comunque il fatto si rivela un pretesto più che sufficiente per osservare con occhio critico i soliti disastri italiani di varia natura che oggi si ripetono periodicamente, non come, ma molto peggio di quarant’anni fa.
Ponti e cavalcavia autostradali crollati, incendi dolosi in Sicilia, che ha ben 9 (nove) zone a rischio come a Napoli, sul Vesuvio. Gli incendiari, pur se colti sul fatto, condannati e incarcerati; dopo qualche mese, a volte anche solo per pochi giorni, per una strana magia ritornano in libertà. Una giustizia invero bizzarra, nevvero?
La mappa degli incendi in Italia conta circa 20 aree in pericolo costante e ancora; disastri ambientali e geologici un po’ in tutta Italia, dovuti all’assenza di controlli e manutenzione; abusi immobiliari vergognosamente impuniti sulle coste più belle del sud-Italia, a Matrice si vive ancora tra le macerie, le quali ricordano ai cittadini le promesse mancate dello Stato; la sanità al collasso, giustizia inesistente, la scuola pubblica trasformata in contenitore d’impieghi politici, dove si evidenzia la carenza d’insegnamento per l’assenza di programmi almeno decenti o a livello europeo.
Una vera e propria “dis-istruzione”, pianificata e caparbiamente voluta attraverso una perfetta organizzazione che implementava e implementa tuttora anche il mondo del lavoro in generale. Sindacalizzazione dei cittadini-lavoratori e attraverso formule arcaiche del partito comunista italiano, l’estensione massiccia della cultura del diritto; ovvero diritto alla scuola, con meno studio, diritto al lavoro, allo sciopero (circa cinquemila ore perse nel 2016) alle ferie, alla casa e quant’altro. Questa sorta di sotto-politica di basso livello del ”tutto facile” ha inculcato in molti giovani l’idea che il lavoro sia una seccatura solo in parte necessaria, un’idea che può funzionare sinché sono in vita i “finanziatori”, ovvero, genitori e nonni.
Con la presa di potere capillare dell’elefantiaco apparato pubblico, dell’informazione (La RAI) e naturalmente dell’ISTAT che gonfia a sproposito i vari dati e percentuali, il paese può dirsi paralizzato già dai primi anni ’80. Un convinto demagogo comunista quale Corradino Mineo, parlando di lavoro in un telegiornale di qualche tempo fa, commentava convinto la consolidata vittoria della nuova Italia improduttiva con la folgorante frase che suonava all’incirca così;“…oramai siamo in piena era post-industriale…”, tuttavia senza spiegare che forma di lavoro dare, nella nuova era x, ai milioni di disoccupati creati dalla sparizione delle “maledette” industrie passate di moda, come se fossero un tipo di pettinatura o un paio di pantaloni.
Ѐ importante precisare che i comunisti italiani e la chiesa hanno sempre lavorato bene insieme (da questo connubio è nato il catto-comunismo, si veda l’attuale pontefice, prodigo a spargere benedizioni e lanciare anatemi ma nel suo reame non entrano extracomunitari).
I Patti Lateranensi del 1929 con la nascita dello Stato della Città del Vaticano, erano stati in qualche modo accettati anche da una buona parte dell’antifascismo.
Già nell’agosto del 1938 c’era stato un incontro in Svizzera tra un monsignore di Curia e due esponenti del Partito Comunista in esilio; costoro rassicurarono il monsignore che non avrebbero messo in discussione il trattato ma solo il Concordato. È evidente una fattiva collaborazione di ben lunga data.
Tutto questo mette in luce, se ancora c’era bisogno, un fattore inequivocabile; il comunismo è un cancro per l’umanità e dove governa genera soltanto povertà e ottuso stratalismo improntato all’inefficienza e al clientelismo. Gli italiani e in particolare i piemontesi, dovrebbero metterlo in conto.
Il potere d’acquisto della Lira era aggiornato dall’ISTAT, che funzionava e rendeva visibili i coefficienti di rivalutazione. Con l’Euro (una vera e propria rapina per le tasche degli italiani) rimane un calcolo empirico, ce ne rendiamo conto nella spesa giornaliera delle derrate alimentari, l’unico sicuro riferimento poiché costantemente soggette a ritocchi sempre al rialzo. Un aspetto molto negativo per l’economia delle normali famiglie ma che al ciarpame politico che ci governa neppure passa per la testa.
Per circa sessant’anni le parcelle di libertà concessa agli italiani dai vecchi governi formati dai partiti tradizionali, hanno permesso alle famiglie un discreto benessere, frutto di duro lavoro e pesanti sacrifici per risparmiare qualche soldo. Oggi queste “riserve” si assottigliano, talvolta sono ridotte all’osso, tuttavia si rivelano indispensabili per figli e nipoti, in buona misura disoccupati e non avvezzi a risolvere i problemi che si trovano ad affrontare; con quale risultato? Questi giovani se ne vanno all’estero e non solo in Europa. Una perdita incalcolabile, di sicuro non rimpiazzata da extracomunitari o altri immigrati senza arte né parte e che sono da mantenere a spese dei cittadini.
La cecità, arroganza e totale assenza di diplomazia del segretario comunista signor Renzi e del suo compare signor Gentiloni, supportati dalla loro variopinta maggioranza composta di traditori, partitini voltagabbana e dal vecchio presidente della Repubblica Napolitano, che è il vero burattinaio, non ha limiti. Costui, è il degno compagno che nei suoi due mandati ha comunistizzato il paese, collaborando attivamente a impoverirlo attraverso una statalizzazione del lavoro, sterilizzandolo e burocratizzando all’esasperazione le pratiche all’iniziativa privata imprenditoriale e artigiana, che ha come logica conseguenza la fuga in massa delle imprese. È un problema già illustrato in precedenti articoli.
L’UE dei burocrati, non dei popoli, oramai allo sbando, sta marciando sull’orlo del baratro; “l’affaire extracomunitari”, trattato come faccenda di pertinenza delle sole oligarchie politiche e dai potentati economici non solo europei e in disprezzo di ogni norma democratica, hanno tenuto all’oscuro i cittadini dell’Unione sul sistema usato per dare libera circolazione ai migranti all’interno dell’UE. Un metodo truffaldino simile a quello adottato per il referendum sulla Costituzione Europea, già respinto nel 2005 dai francesi e olandesi e ripresentato nel giugno del 2008 mascherato come Trattato di Lisbona-alleggerito e respinto poi dall’Irlanda (unico paese ad aver previsto una consultazione popolare).
Al Consiglio Europeo del 2008 si era trovato, con vari maneggi, un accordo e l’1 dicembre 2009 entrava in vigore il Trattato di Lisbona cancellando il risultato del referendum. Questo nuovo Trattato modificava completamente quello sull’Unione Europea e il Trattato che istituiva la Comunità Europea. I cittadini europei e il loro voto democratico era stato completamente ignorato e superato.
La UE e in particolare i governi italiani che si sono succeduti, non importa di quale partito politico, hanno sottovalutato culturalmente e politicamente la questione extracomunitari, gli africani in particolare. L’enorme problema è stato affrontato male, in modo troppo superficiale, sottovalutando l’impatto con culture molto diverse e con almeno vent’anni di ritardo. Quale che sia la conclusione, presto o tardi saranno i cittadini a decidere democraticamente la sorte delle ottuse e arroganti oligarchie politico-economiche; è il naturale ciclo storico di rivalsa dei popoli inascoltati in paesi a sistema democratico.
Sulla vicenda del libero passaggio alle frontiere di extracomunitari o migranti, pesa un complicato groviglio di Accordi, Trattati, Convenzioni, tutti realizzati all’oscuro dei cittadini europei che protestando con ragione per l’improvvisa invasione a casa loro di questa povera gente, sono tacciati in modo scandaloso di populismo e xenofobia.
Le oligarchie e i magnati oramai padroni dell’Europa si sono trasformati in mercanti umani nel nuovo schiavismo di marchio europeo, pontificando la loro abbietta solidarietà quale opera benefica, supportati inoltre da un pontefice catto-comunista; un povero prete non in grado di svolgere a dovere la sua importante funzione politico-religiosa.
Il presidente italiano (o chi per lui) dell’INPS ha dichiarato apertamente al telegiornale che gli extracomunitari “sono indispensabili per le casse dell’INPS”, anche in questo caso senza spiegare il perché. Comunque emerge abbastanza chiaramente da parte del governo e dei suoi affiliati una sorta di disprezzo per gli italiani sempre menzionati nei loro discorsi; in realtà tutti gli sforzi sono mirati “all’affare extracomunitari”; un impegno preoccupante e pericoloso e gli italiani tutti devono stare molto attenti al prosieguo degli avvenimenti; stiamo perdendo la nostra cultura e la nostra storia, ed è quello che le oligarchie vogliono a tutti i costi. Ci stanno vendendo.
Molti anni fa, in un convegno sulla Letteratura della Negritudine, avevo conosciuto il prof. Lunanga; uno scrittore zairese molto attento ai problemi della nuova letteratura negroafricana. Egli mi aveva mostrato un interessante articolo da lui scritto nel 1987 sulla rivista SEGNI & FORME dal titolo ”Sulla Negritudine dopo una generazione letteraria”.
Scrive Lunanga: La Negritudine è stata e continua ad essere la ricerca dell’identità politico-socio-culturale dell’uomo di colore. La sua quintessenza straripa di così tanti valori da ricordare di continuo a ogni popolo la giusta lotta per i suoi diritti irrinunciabili. Questo problema non nasce da noi. Non è un’emanazione o un’invenzione del popolo nero. È invece un diritto universale uguale in tutto e per tutto a quello che ispirò la carta delle Nazioni Unite per il riconoscimento dei diritti dell’uomo. In questo contesto e fino a questo punto gli sforzi della Negritudine si sono rivelati lodevoli. Ma il nostro piccolo contributo, che si somma alle critiche già esistenti, studia in particolare il comportamento dei “padri” della Negritudine, lo mette a confronto con quello dei loro fratelli “non occidentali” e, per finire, riporta le conseguenze sorte sul piano letterario. “ Il negro sottoprodotto umano incosciente e tarato”, questa l’esclamazione del famoso poeta W.E.B. Du Bois in Le anime nere, a denuncia dello scandalo americano d’inizio secolo. E cosa dire di una crisi tra uomini in generale, uomini e basta, senza uno sguardo alla loro pelle? Leopold Sèdar Senghor e i suoi seguaci hanno combattuto questa battaglia a Parigi. Denunciare la situazione di oppressione dei neri, mendicanti, deboli, non umani e prendere coscienza del “proprio io” sono tutti atteggiamenti di sfida. Preso atto dell’esigenza in “questa” epoca di uscire allo scoperto ad ogni costo, i poeti di colore anno iniziato a condannare apertamente il comportamento ambiguo dell’occidente, la sua politica civilizzatrice, il suo piano di omogeneizzazione culturale, i pregiudizi per tanto tempo spacciati, in una sola parola; le ingiustizie legalizzate. Questo linguaggio è giunto a un punto tale da convincere il giovane poeta intellettuale nero a recuperare la sua uguaglianza col bianco. Tesi questa, senza dubbio condividibile, constatando chiaramente, ancora oggi, alla fine del secondo millenio, quanto l’uomo bianco si guardi bene dal considerare il nero pari a lui. Ora la nostra delusione è profonda perché, nonostante le grida lancinanti di ieri e più che mai di oggi, lo sfruttamento disumano guadagna ancora terreno.
La letteratura africana è sempre stata una letteratura impegnata. Una letteratura di battaglia, di un conflitto che chiede un sistema di abolizione di cose, la rivoluzione radicale, l’emancipazione. Senghor ha ben presentato il ritratto infantile ma severo del negro che deve tutti i giorni imparare dai suoi maestri. “Noi siamo- così diceva- dei grandi bambini”. E ci domandiamo ora se abbiamo forse finito di apprendere da questi maestri e se questi continueranno in eterno a considerarci dei “bambini”. Chi dunque ci darà questa risposta e quando? La Negritudine non può essere separata neppure dai fattori economici, politici e sociali. Cosi come forte è stata l’oppressione, dura oppressione, così non potrà che essere efficace l’azione. E queste voci non hanno mancato di attirare l’attenzione di qualche europeo. Sartre Frobenius ed altri, ad esempio, ne sono stati colpiti.
Il loro contributo non è certo passato inosservato. Molti esperti europei hanno così cercato di convincere l’opinione pubblica che il modello europeo, o comunque occidentale, non è l’unica via d’uscita.
Lo stesso comunismo ha avuto l’opportunità d’attirarsi l’attenzione e la simpatia dei popoli già colonizzati. Ci fu allora un’esplosione letteraria senza precedenti. Il popolo negro sciolse la sua lingua e parlò dicendo tutto ciò che aveva chiuso nel cuore. Le diramazioni raggiunsero tutti i filoni letterari; dalla poesia al romanzo, dal romanzo al teatro, dal teatro al saggio critico e via di seguito. Allora certi bianchi erano curiosi di sapere come si poteva esprimere una “scimmia”; la”scimmia così ne approfittò.
I padri della Negritudine non erano che un piccolo gruppo di giovani studenti emigrati. Con le radici del movimento potevano resistere, essendo i suoi germogli solo formati da una minoranza con un futuro politico. Finiti gli studi questi pionieri si sarebbero inevitabilmente seduti sui posti già occupati dai colonizzatori. E che ne sarebbe stato della realtà africana, forse che loro la conoscevano, forse che avrebbero saputo gestire il futuro dei loro popoli? Fu allora che nacque il nero dramma del continente nero, dramma cupo, dramma che ha la sua origine quando questi intellettuali, oramai non più africani prendono in mano le sorti dei loro paesi. E l’astuto colonizzatore da parte sua affida loro il potere volentieri, perché vede in loro traumi futuri ed incapacità ben note. Ed essi diventano delle pedine, dei burattini, delle semplici comparse.
Ci si accorse di sbagliare nel credere che l’elite era “ciò che vi è di meglio nella società africana”. Fu così che questi furono chiamati “maestri evoluti” e gli si attribuirono onorificenze quando, al contrario, erano loro i neri ignoranti, “i buoni stupidi”. Gli uomini dalla “pelle nera e la maschera bianca” di Fanon. Una cosa è certa; questi intellettuali “parigini” sarebbero vissuti meglio a Parigi che in un qualsiasi villaggio africano. L’esempio di Senghor è illuminante. Questo nostro saccente intellettuale infatti, è si africano ma certo solo di pelle e non di cultura. Così, da un lato, è respinto da chi l’ha formato e dall’altro, da chi lo deve formare. Doppiamente sradicato, questo intellettuale malato di corruzione è diventato talmente ibrido e spersonalizzato da invocare a gran voce una personalità. Ed è perciò che chi è privo d’identità, chi s’è perso e non sa ritrovarsi, chi non si conosce non potrà mai rivendicare qualcosa di valido. In definitiva, osserviamo ora, infatti, che il negro sfrutta il negro.
Questi prodotti europei hanno sempre rappresentato un grave pericolo per la promozione culturale dell’Africa. E come se non bastasse, si sentono pure investiti da debiti morali.
La letteratura africana è chiamata a un’etica imparziale che le assicuri un attivo sviluppo nel tempo e nello spazio. Bisogna così combattere non la razza bianca ma il gioco meschino europeo sullo sviluppo del Terzo Mondo del quale sono efficaci complici certe conoscenze africane. Alcune fra queste sono ancora quegli “intellettuali parigini” che parlavano con una tale povertà di sentimenti, solo per i vantaggi materiali cui aspiravano.
Finché si continuerà a sperare su un’elite prodotta in Europa, le sorti del continente nero saranno sempre più drammatiche. Un africano, preoccupato del suo sviluppo totale deve avere fiducia in se stesso. È dimostrato in modo chiaro e netto che non sono gli africani a essere venuti a sviluppare l’Europa; no di certo. Così non saranno neppure gli stranieri che verranno a risvegliare un’Africa sonnolenta, pigra e traditrice.
Riportiamo le nostre speranze nell’attuale fiorente generazione letteraria del Terzo Mondo.
Ma essa deve per forza parlare, se non vuole sparire, come ci ammonisce bene il congolese Sony Labou Tansi.
Una chiara, lucida analisi di Lunanga che precorre i tempi. Ci troviamo con l’UE confusa, divisa e un’Italia indebitata, con governi incapaci e senza idee, tanto meno sulla politica estera, che si accinge (da sola?) a fare che cosa per una nostra ex colonia quale la Libia? È un ricorso storico?
C.E.

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