Alla base di ogni forma di governo esistono ragioni provocatorie fondamentali che ne giustificano la nascita, lo sviluppo e l’affermazione. Userò un termine che va compreso nel suo vero etimo ma che la politica ha volgarmente denigrato e volutamente travisato: l’Etnismo.

Termine coniato, probabilmente, da François Fontan, (Fondatore nel 1959, del Partito Nazionalista Occitano e morto nel 1979, ad appena cinquant’anni).

Etnismo, come fenomeno permanente della nostra società, teso a rimettere in discussione i quadri geopolitici attuali, ed una loro indispensabile risistemazione.

Da decenni i politici italiani continuano imperterriti a voler testardamente confondere il razzismo con l’etnismo. L’enorme differenza è chiara e palese, ed è sufficiente un po’ di buon senso per capire: il razzismo è lo studio delle razze, mentre l’etnismo studia le etnie. Lo stesso etimo dei due termini è chiaro. Ma in questa drammatica decadenza di valori nell’attuale classe politica, parlare di etimologia, o di etimo, può essere scambiato per un tipo di pizza.

Etnismo, come espressione di rispetto sull’individualità dei gruppi, sulla lingua, sul diritto, sulla libera decisione, ed alla propria autonomia, nel valore intrinseco del termine.

Etnismo come fenomeno permanente della nostra società di individui attivi e pensanti e da tempo posto in un canto in nome di una innaturale pianificazione è pronto a rimettere in discussione i quadri geopolitici attuali e una loro necessaria risistemazione.

Questa necessità di autonomia che sta rinascendo nel paese dopo anni di silenzio, ha un richiamo potente dalla storia, essa ci ricorda la sua lontana origine politica nelle forme di governo oligarchiche e di potere fortemente accentrato che già avevano caratterizzato la formazione della Storia Costituzionale d’Italia.

Un pretesto Risorgimentale è stato ed è l’unificazione nazionale nata contro il volere del popolo e voluta intensamente dalla borghesia intellettuale per il proprio interesse economico e politico (vedere lo specchietto in coda: “I risultati del referendum istituzionale del 2 giugno 1946”, rilevato dal volume “Storia costituzionale d’Italia 1848/1948” del Ghisalberti”).

È sufficiente osservare la composizione della “Legge Elettorale” in Piemonte nel 1848 ove la Camera rispecchiava la struttura della Società Subalpina del tempo che, con il sistema elettorale fondato sul metodo “uninominale”, si era assicurata una sicura egemonia nel Parlamento e nel Paese.

Infatti la prima legislatura risulta composta in prevalenza da liberi professionisti, avvocati, uomini di legge, funzionari di Stato e magistrati, pochi gli ecclesiastici (cinque in tutto), ed una lieve presenza di proprietari di terre (trenta su 204 deputati). Questa visione di amministrazione statuale, uniforme, omogenea nei sui poteri e fortemente centralizzata, era di chiara origine giacobina. In parallelo era il netto rifiuto di ogni forma regionalistica, che determinasse un decentramento articolato delle funzioni statali, considerate allora, inalienabili. Era, inoltre, quasi inesistente il proletariato industriale e una forte voce di popolo in opposizione. Siamo nel 1848 e in questo contesto è facile immaginare le enormi difficoltà che dovette affrontare Carlo Cattaneo nel proporre alla cultura politica del tempo le sue avanzatissime idee di matrice regionalista e soprattutto federalista. Fu nettamente sconfitto ma lasciò una traccia indelebile di linea politica. La caratteristica peculiare del suo pensiero politico non è stata soltanto la lungimiranza ma la positività e il realismo facevano sì che il suo ragionamento arrivasse a conclusioni utili sia nella filosofia che nella storia, nell’economia e nella politica.

Il Cattaneo, fervente propugnatore dell’idea federalista, non fu comunque il primo a proporre questa nuova forma statuale. Il pensiero federalista ebbe la sua prima espressione nei fondatori degli Stati Uniti d’America alla fine del 700, ed Alexander Hamilton ne fu il più acceso sostenitore.

l testo della “Costituzione degli Stati Uniti” approvato dalla Convenzione di Filadelfia il 17 settembre 1787, è stato definito da Gladstone: “l’opera più meravigliosa che sia stata espressa in un dato momento dalle capacità progettuali dell’uomo”. Tuttavia, va rilevato che questo disegno non corrisponde alla volontà dei fautori di questa forma statuale. Essa fu un compromesso fra due posizioni politiche contrapposte; la corrente unitaria e la corrente particolaristica che voleva il rafforzamento della confederazione senza mettere in discussione la sovranità degli Stati. Questi compromessi diedero origine alla forma di organizzazione di potere politico idoneo al conciliare l’unità con l’indipendenza degli Stati.

Fu certamente grandissima la capacità politica intuitiva di questi uomini, considerando che a quell’epoca non era concepibile una forma di Stato diverso da quello unitario.

Perché rafforzamento e perfezionamento della confederazione? Perché essa è un’organizzazione incapace di superare l’anarchia. Ha la sostanza politica delle alleanze tra Stati, ed ha un organo permanente per affrontare problemi comuni che, però, non è subordinato agli Stati stessi e non è quindi capace di dominare le divergenti ragioni di Stato. Manca in sostanza un organo ufficiale, centrale di coordinazione posto al di sopra dei singoli interessi dei vari Stati e Nazioni.

Compito di grande difficoltà è l’unificazione politica di più Stati o Nazioni. Già in tempi remoti è dimostrato l’insuccesso dei tentativi effettuati per unificare le città Stato della Grecia classica e più vicino gli Stati regionali dell’Italia alla fine del XV secolo. L’unificazione dei governi e dei popoli ottenuta senza guerra è avvenuta una sola volta nella storia, ed è stata quella nata con la formazione degli Stati Uniti d’America. Tocheville, che aveva colto questa novità assoluta, ebbe a dire: “che un popolo lotti con estrema energia per conquistare la sua indipendenza è uno spettacolo che tutti i secoli hanno potuto mostrarci ma… ciò che è nuovo nella storia delle Società umane è il vedere un grande popolo volgere senza orgasmo e senza timore lo sguardo su sé stesso, sondare le profondità del male, raccogliersi per due anni interi al solo scopo di scoprirne con calma il rimedio e dopo averlo trovato, adottarlo volontariamente e senza che ciò costasse all’umanità, né una lacrima, né una goccia di sangue”. Indubbiamente una grande lezione di civiltà.

Il pensiero federalistico che, dagli Stati Uniti d’America ha avuto la sua naturale continuazione nell’ ideale (oggi scomparso) degli Stati Uniti d’Europa, ha sempre combattuto su due fronti che rappresentano due esigenze diverse: uno verso l’esterno nel superamento dello Stato Nazionale in una nuova forma di Stato di Stati tendenzialmente universale e “ultra/nazionale”, l’altro verso l’interno nella disarticolazione dello Stato nazionale unitario in una nuova forma di Stato di Stati in cui gli “Stati” non s’intendono enti sovrani degradati a parti di uno Stato più grande ma parte o territori dello Stato elevati a “Stati membri”. In sintesi: l’uno è l’unificazione di ciò che è disunito, l’altro è la disunione di ciò che è unito. Un pensiero molto importante che va compreso nella sua vera essenza.

Questi due aspetti della dottrina federalistica, pur richiamandosi l’uno con l’altro, non sono storicamente connessi. Vi sono federalisti su entrambi i versanti. Carlo Cattaneo sostenne con eguale convinzione sia l’idea degli Stati Uniti d’Italia che quella degli Stati Uniti d’Europa. Solo successivamente, in Cattaneo, prevalse poi l’idea della prima sulla seconda e questo in base alle risultanze delle sue esperienze socio-politiche.  Mazzini fu certamente un fautore degli Stati Uniti d’Europa e a lui si ispirarono gran parte delle Società democratiche per la pace, che nacquero nella metà del secolo scorso; ma non fu altrettanto per gli Sati Uniti d’Italia. Quindi l’idea dei due federalismi può non compenetrarsi nello stesso autore.

Anche gli eventi storici in cui nascono i due modelli di federalismo possono non essere gli stessi. Il federalismo “esterno” nesce prevalentemente da una crisi bellica, da una crisi internazionale, da una reazione ad un certo sistema di rapporti fra gli Stati sovrani. Il federalismo “interno” nasce invece prevalentemente da una crisi interna, dalla disgregazione di uno Stato accentrato, da forme di partitismo dispotico ed arrogante, dalla crisi del diritto.

Il federalismo interno è appunto l’argomento che ci interessa in modo più specifico.

In Italia dopo Carlo Cattaneo, vi fu una stasi nel propugnare dottrine federaliste e ciò a causa dell’ondata unitaria che investì il nostro Paese. Bisogna risalire al 1941 per risentire ventate di federalismo ma più come federalismo esterno che interno.

Il manifesto di Ventotene, elaborato da Ernesto Rossi, Eugenio Colorni e Altiero Spinelli, venne presentato pubblicamente nel 1943. Presenta un compiuto progetto di “Federazione Europea” ma non vi è alcuna traccia di una eventuale riforma dello Stato Italiano in senso federalista, inoltre, ancora ai giorni nostri, si è mantenuto presso ché inalterata una costituzione superata e del tutto antitetica.

Eppure questa nostra travagliata patria è fondamentalmente federalista, la mancanza di un carismatico “volere di popolo”, non ha mai permesso questa sistemazione dei quadri geopolitici.

La sua stessa struttura fisica ne conferma indiscutibilmente la naturale necessità, non rendersene conto, per interesse politico o per altri motivi addotti da formule errate in politiche astruse, è folle.

È una penisola lunga 1200 Km. e questa lunga estensione di territorio comporta notevoli variazioni climatiche che influiscono fortemente nel carattere delle persone che vi abitano, nel loro sistema di vita, di lavorare, con altri costumi, culture e tradizioni. Il tutto comporta un grande spirito di adattamento per portare alla normalità e serenamente il percorso della vita di tutti i giorni. Un fattore importantissimo mai preso nella giusta considerazione, in quanto la movenza politica ha sempre mirato fortemente alla “pianificazione del gregge umano”, ovvero; zittire la vox populi. L’unificazione è stata un falso risorgimentale, in quanto imposta da una classe politica intellettuale e da una borghesia asservita al potere, in un particolare momento storico. Già Napoleone III trasse le sue conclusioni dicendo: “prima di parlare di unità d’Italia si deve pensare ad una unione di questi Stati, così differenti, in una unione federativa”.

I valori unitari creatisi con la “Resistenza”, annullati da un partitismo settario che ha posto in primo piano i propri interessi, dividendo irrimediabilmente il Paese in forme di classismo di diverso valore e peso. Queste nuove realtà che si sviluppano rapidamente e incalzano nell’Europa di oggi, ci trovano impreparati ad affrontare le violente ventate guerrafondaie che accelerano, come non mai, processi di involuzione politica. Processi che portano su strade pericolosissime; verso lo scontro armato.  Dobbiamo augurarci che le stesse armi europee fornite in modo così sconsiderato all’Ucraina, secondo i dettami di Joe Biden, non si rivolgano contro noi stessi.

E l’Italia? una repubblica allo sbando, immobile da ben oltre sessant’anni è la triste eredità lasciata da politiche unitarie predatrici e pianificatrici dì sinistra che, coadiuvate da un sindacalismo partitocratico, hanno fermato le industrie e il mondo del lavoro in qualsiasi settore di specialismo e competenza (follia pura la fuga della FIAT, senza un commento o una sola voce di protesta dal governo, dagli italiani, dai sindacati, come fosse successo nulla). Inoltre, tacciando l’artigianato, ricco di tecnicismo, capacità ed esperienza imprenditoriale e di modello per il futuro dei giovani, si è prodotto nel paese, in tempo di pace, un tale disastro, da creare una spaventosa crisi economica senza precedenti nella storia; e attenti; proditoriamente voluta e perfezionata da oscure forze revansciste.

Ne contempo nella scuola pubblica si scatenava un terremoto. A partire dai cosiddetti “Decreti Delegati del 1974” (tutt’ora in vigore), le sinistre, già pronte, si appropriarono indisturbate della gestione, dando inizio al grande e ambizioso progetto di “pianificazione” dell’insegnamento verso il basso a partire sin dall’infanzia, prestamente manipolata diminuendo e degradando l’istruzione e lo studio. Ebbene, tutti questi gravissimi fatti non sarebbero mai successi in uno Stato federale, ovvero, uno Stato di autonomie federate.

I debiti. Oggi il nostro paese, beneficia di cospicui prestiti di denaro europeo e il nuovo governo, che al momento, si mostra piuttosto tiepido nella realizzazione delle riforme; dovrebbe dare più concretezza ai fatti con meno chiacchere. Accelerare al massimo i lavori per uscire dal pantano in cui è fatalmente insabbiato è prevalente su tutto. Un debito enorme che ci rende asserviti a una Europa pericolosamente impreparata ad affrontare con il giusto approccio ed esperienza parlamentare, folli guerre, mostrando atteggiamenti più che altro mirati alla “solidarietà”. Intanto, in un’aura di falso pacifismo, si forniscono armi provocando migliaia e migliaia di morti; una vergogna. Questa è pura demagogia: non si gioca con la morte. Noi l’abbiamo vissuta nel passato da molto, molto vicino.

È un’antica, luttuosa storia che si ripete costantemente da millenni e sempre drammaticamente inutile: allora, chi vuole le guerre? C’è veramente un Dio che ci protegge?

Siamo sotto scacco; il fatidico ”ombrello” americano è alle prese con un Presidente (Joe Biden), guerrafondaio e per nulla all’altezza del pesante e delicato ruolo che a lui compete, costui ci sta trascinando verso l’irreparabile. L’attendismo europeo non serve, forse è troppo tardi ma si deve trovare a tutti i costi un percorso parlamentare di vere trattative mirate alla pace con la Russia, una realtà oramai inevitabile. Inoltre non dimentichiamo che l ‘Europa non è neppure uno Stato e tanto meno una Federazione, non solo, non ha mai veramente voluto esserlo; le consultazioni popolari fatte qualche decennio fa lo hanno chiaramente dimostrato. La formula federativa per una vera ’Europa Federale non è più differibile, o saremo sempre soggetti al potere economico e militare di altri.

Alla buonora; questo immobilismo che ci connota deve essere rimosso ed il nostro pensiero non può che rivolgersi a quell’apostolo infaticabile ed indimenticato che fu Carlo Cattaneo nel promuovere l’autonomia politica e non soltanto amministrativa delle regioni, riunite tutte nell’idea federale.

Ma non dobbiamo dimenticare Silvio Trentin, un grande fra i federalisti, non solo un teorico ma un uomo attivo, d’azione. I suoi scritti sono il nocciolo teorico del suo pensiero. Scritti fra il 1935 – 1943, anni in cui fascismo e nazismo colpivano le libertà individuali, egli propugnava con forza e coraggio le sue idee. Il libro “Federalismo e libertà”. Scritti teorici 1935 – 1943 di Marsilio Editori è un volume che tutti i cittadini e non solo i federalisti dovrebbero leggere.

È indispensabile il superamento del “pregiudizio” formalistico proprio della nostra generazione ed operare un mutamento radicale di opinione sul tema di una nuova forma di Stato.

L’organizzazione di uno Stato moderno non può essere connotato dal partitismo e dal sindacalismo ma dal federalismo, vale a dire dall’autonomia di tutti i centri di vita collettiva esistenti all’interno del gruppo che esso coordina. Federalismo e Stato delle autonomie sono quindi concetti scambiabili.

La futura costituzione della repubblica italiana dovrà basarsi sul principio di autonomia e questo processo evolutivo rappresenterà il trionfo integrale del federalismo.

Mancano ancora molti particolari istituzionali nei disegni di costituzione ma il progetto di uno Stato come quello federale, costituito da autonomie progressivamente ascendenti sia territoriali che professionali verso l’ente maggiore che le regola senza comprimerle, era già delineato da Gianfranco Miglio in alcuni volumi pubblicati negli anni ’90 ma ancora oggi più che mai, attuali.

In sintesi la federazione aggiunge, alla divisione funzionale del potere legislativo, esecutivo e giudiziario, la divisione sostanziale del potere tra due livelli di governo sovrani ciascuno nella propria sfera: quello dello Stato federale e quello degli Stati federati, tutti a base democratica.

Per concludere, la relazione tra i due livelli di governo della federazione, non è dunque di livello gerarchico tra superiore ed inferiore ma un rapporto di coordinazione tra poteri indipendenti.

 

Carlo Ellena

Risultati referendum istituzionale 2 Giugno 1946

Risultati referendum istituzionale 2 Giugno 1946

 

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