Categoria: Istruzione

Ieri, oggi, domani; ma quale futuro?

Quando la prima peluria ha iniziato ha invadermi il viso, avevo già l’idea di immaginare la vita su questa terra come un viaggio. Ricordo che questa fantasiosa interpretazione ha avuto origine nel lontano 1951, quando da ragazzo seguivo affascinato i racconti avventurosi di un missionario salesiano che aveva girato il mondo in lungo e in largo. Quest’uomo era Don Saino; un personaggio veramente straordinario, nostro insegnante di francese all’Istituto Salesiano “Michele Rua”, la scuola di avviamento professionale che allora frequentavo in Via Paisiello a Torino, la mia città.

Di tanto in tanto, raccontando le sue avventure, era solito dire: “ragazzi, la vita su questa terra è un meraviglioso viaggio, sta a voi trovare la giusta strada”. Per noi ragazzi allora tredicenni, queste parole potevano essere un po’ vaghe e poco comprensibili, invece, chissà perché, divennero un chiodo fisso nella mia mente. Col trascorrere degli anni spesso rammento quella frase, in quei momenti si fa vivo il ricordo e rivedo nitido quel volto barbuto ma sereno, buono, del mio maestro: il missionario Don Saino.

È come una forte sensazione che lui, nell’inconscio, mi suggerisca che è giunto il momento di volgersi indietro.

In senso figurato, immaginiamo un uomo che lungo il suo cammino si segga sul bordo del sentiero non per stanchezza, ma per osservare la strada percorsa. Chiudere gli occhi e lasciarsi andare in un fantastico viaggio nella memoria del tempo, nel nostro passato e via via correre col pensiero sino ai giorni nostri in una rapida cavalcata. Noi, “giovani”, ormai ottantatreenni, ci rendiamo ben conto di quale tumultuoso ma straordinario periodo storico abbiamo vissuto. Soltanto nel 1938 (anno della mia nascita) si udiva ancora l’eco del disastro del dirigibile Hindenburg, accaduto nel maggio dell’anno precedente e attraverso un viaggio immaginario, vivere il travolgente progresso della tecnica, soffrire per una guerra terribile, poi la ricostruzione e infine la lenta rinascita del paese distrutto.

Con una corsa a perdifiato negli anni, ci troviamo costretti a vivere con i ritmi di un tempo che corre sempre più veloce; tant’è che quasi per magia, le distanze nel mondo diventano un semplice giro di compasso. Ebbene, tutto questo in “appena” settant’anni: non è straordinario? I nostri anni giovanili sono stati anni intensi, vissuti, certo, entro le nostre possibilità e capacità ma da protagonisti, anni liberi per imparare, acquisire coscienza della nostra realtà e costruire con il lavoro il nostro futuro.

Trovare gli stimoli per migliorare noi stessi e contribuire, fiduciosi, al benessere della nostra patria cita (piccola patria), coraggiosi e fiduciosi nell’esporsi e infine orgogliosi di essere parte vitale di un paese tutto spinto verso il futuro. Libertà di agire e concretezza nei fatti, ma anche versatilità, fantasia, capacità di sognare ad occhi aperti e tante possibilità per realizzare i propri sogni.

Tutto questo esisteva nel vecchio modello di società.

Sono aspetti scomparsi nel nuovo modello che oggi ci propongono; è come la faccia vuota di una medaglia, con nulla impresso. Oggi tutto è sfuggente, per nulla chiaro, pensiamo al senso della parola, “globalizzazione”; termine, ormai di costume ma orribile, che ci dà l’idea dell’immenso, di qualcosa che sfugge al nostro controllo, ma in definitiva, che cosa significa? che la nostra patria è il mondo e che in qualche punto sperduto del medesimo qualcuno ci offre lavoro, sicurezza, serenità?

Una comunità universale pianificata tutta uguale, certa di nascere di vivere e morire non si sa come. Poche volontà occulte con poteri immensi che mirano al dominio mondiale? È folle immaginare simili eventualità ma purtroppo il dominio è in fase di avanzata realizzazione proprio davanti agli occhi semichiusi di cittadini che la politica ha insegnato loro a essere abulici e inerti.

Siamo immersi in un mondo virtuale costruito da false immagini, da ragazzi, da uomini e donne che quasi giocano premendo pulsanti, da leggi, regolamenti, orari, norme e regole assurde che ci suggeriscono in modo distorto cosa dire e cosa fare, come sarà il tempo, cosa mangeremo, quale sarà il nostro lavoro, che, con l’attuale “menar il can per l’aia” non ci sarà più, poiché questo noioso impegno è ormai ignorato, o quasi, nell’inconscio collettivo delle nuove generazioni.

Tutto è profondamente mutato, ma non nelle forme sperate.

Nella ricerca affannosa di conquiste apparentemente facili abbiamo perso per strada quei valori che ci rendono esseri pensanti e non automi o un composto di formule chimiche. Ai giorni nostri c’è la paura reale e diffusa per un futuro senza costrutto, mancante di una base seria che proponga progetti credibili, il tutto, purtroppo, in un contesto statuale politico inconsistente, disorganico, financo pericoloso, in quanto produce soltanto precarietà e malessere. Stiamo attenti e vigili; questa condizione annuncia disordini che, se protratti ancora nel tempo possono sfociare in ben altro.

Molto diverso rivedo il giovanotto di un tempo, che con sogni e speranze era pronto a sconvolgere il mondo, libero di lavorare, fare sport, studiare o di uscire sereno e senza paure la sera con la ragazza, con gli amici, di passeggiare in riva al fiume, di volere un futuro radioso, di avere tanti figli, insomma, vivere la vita come una magnifica avventura.

I sogni per molti di noi non si sono poi del tutto realizzati, ma quanto abbiamo avuto, impegnandoci nel lavoro e nello studio, è stato ugualmente appagante. Oggi i più giovani potranno avere e dire altrettanto? Ebbene, riprendiamo nuovamente a sognare, a usare la fantasia, a ribellarsi al quotidiano, a raccogliere ogni briciola del nostro tempo e viverlo appieno giorno per giorno e sopra ogni cosa, riappropriarci della nostra storia, della nostra cultura e identità e infine della nostra vita, traendone insegnamento e facendone tesoro.

 

Fermiamo l’attimo fuggente, non lasciamo che passi e svanisca.

Immaginarsi di fermare nel tempo l’attimo fuggente è come una sequenza di emozioni senza fine, un’eternità in un battito di ciglia, un gioco mentale di autosuggestione.

È affascinante pensare l’innaturale e avvertire forte la sensazione che lo scorrere del tempo non è misurato sul quadrante di un orologio, o sul nascere o tramontare del sole, ma dall’intensità in cui un uomo vive ogni attimo della propria vita. La concezione del tempo può avere una sua variabile a seconda delle situazioni che di volta in volta siamo coinvolti, o in fatti particolari vissuti in un arco temporale più o meno lungo della nostra vita. Ad esempio: l’ora passata furtivamente con la donna amata può trascorrere in un attimo, mentre l’attimo d’attesa per la nascita di nostro figlio si trasforma in ore, o come il corso della vita di due amici; l’uno chiuso in un ufficio, e l’altro intento a viaggiare o scalare le montagne di mezzo mondo; il rapporto del medesimo spazio-tempo trascorso dal primo sarà immensamente più breve del secondo. L’uno nell’attesa che termini in fretta la giornata, l’altro invece vorrebbe che non finisse mai. È pur vero che questa è solo una forma di autosuggestione e che tutto avviene in tempo reale, ma l’immaginazione ha un potere immenso e ai nostri occhi la vita dell’uno può apparire ben più lunga dell’altro, anche se poi in realtà è solo più “vissuta” dell’altro. Ma il gioco mentale è invero allettante e ci piace pensare e credere che il tempo è quello che noi vogliamo che sia, fluttuando nell’infinità misteriosa dello spazio cosmico.

Foto del 1951, all’oratorio e scuola Michele Rua; a Torino. Ragazzi liberi, spensierati e con un futuro, che, come il gioco delle “gamale”, oggi non c’è più.

10 dicembre 2021

Griboja

 

Oratorio e scuola Michele Rua

Oratorio e scuola Michele Rua, Torino – Bambini che giocano

 

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Il CAOS perfetto, l’alibi per una pessima politica
QUARTA PUNTATA – LA SCUOLA

La storia del sistema scolastico italiano parte dal 1861 con l’Unità d’Italia. Era stato riformato e uniformato in tutta Italia a quello piemontese, come previsto dalla legge Casati entrata in vigore appunto nel 1861, in risposta all’alto tasso di analfabetismo (circa il 75%dalla popolazione). La legge prevedeva la coscrizione obbligatoria, sostituendo la Chiesa Cattolica, l’unica, da secoli, a occuparsi dell’istruzione.

Nel primo dopoguerra, la scuola, per oltre sessant’anni è stata terreno di conquista politica dei partiti della sinistra, ovvero; il  P.C.I., simbolo storico dei comunisti, quindi P.D.S. poi D.S., costola del P.D.S. e altri marchi “mascherati” sotto diverse forme “vegetali”, la “Quercia e “l’Ulivo. Sono nomee di comodo, acquisite per mescolare le carte ma sono sempre gli stessi comunisti. L’occupazione di questo partito, durata molti decenni (particolarmente in Piemonte), ha operato secondo la loro dottrina di rigido livellamento dei programmi e pianificazione culturale.

Difficile da credere ma nella realtà è stata bellamente inserita in un modo soffuso nei programmi e a volte nei libri, una scuola di partito, applicando il suo sistema arcaico un po’ annacquato: il marxismo. Si è lavorato soprattutto a ritroso, con poca istruzione, il minimo necessario, abbassando la qualità dei programmi portandoli ai livelli dei primi anni ottanta, già in previsione di un allargamento delle maglie dell’accoglienza, permettendo un massiccio arrivo di extracomunitari illegali, in nome di un sostantivo tanto amato dai piemontesi: la “solidarietà”.

La sventatezza e l’incapacità di ministri e assessori crearono grande confusione nei programmi scolastici, causa l’inserimento di questi bambini stranieri, a volte analfabeti, stravolgendo programmi costituiti, rallentando e complicando il normale corso degli studi. Questo malessere era subito bollato dall’ottusità dei politici, quale “razzismo”, niente di più sbagliato.

Questa “istituzione” ha una storia. Perché tale è la Scuola;l’Istituzione più” per l’importanza che essa riveste in uno Stato che si autodefinisce “civile”. Istituzioni come la Giustizia, la Magistratura, il Parlamento, l’Università e molte altre, ognuna nella propria forma specifica.

Possiamo dividerla in due distinti sistemi sociali: “primitiva” e “complessa”.

Primitiva, se è una società governata da pochi eletti, con un capo che, in genere, è l’anziano della tribù o del villaggio. Non esiste nessuna tutela della salute, la quale è affidata a stregoni, maghi o sciamani; non vi sono scuole e i bambini assimilano i costumi e le credenze religiose vivendo in famiglia.

Quando gli agglomerati crescono, le comunità si amplificano e via, via con aree abitate sempre più ampie; le società d’individui diventano “complesse”, poiché s’incrementano aumentando di popolazione; il villaggio diventa un paese, il paese si trasforma in città, è tutto un fervore. La crescita stimola le idee, le iniziative creano lavoro e si aprono negozi, officine, laboratori di artigiani nei loro mestieri, e altre svariate attività. A questo punto cresce un’esigenza diversa. Si rivelano indispensabili i servizi essenziali, quali; l’ordine pubblico, il medico, un piccolo ospedale, la chiesa, e una scuola, perché i bambini imparino e s’istruiscano. È un continuo, intenso fermento operoso: è il progresso che avanza. S’incrementa l’agricoltura, il commercio. Poi arrivano le industrie, la ferrovia, i trasporti, gli operai specializzati, i tecnici, indi gli ingegneri, gli architetti, persone istruite, di cultura e la scuola deve rispondere a tutti questi figli, adeguarsi prontamente con insegnanti e professori più preparati; studiare richiede tempo e gli orari scolastici aumentano progressivamente.

Ecco che la scuola assume un ruolo fondamentale nella società come istituzione pubblica con la coscrizione obbligatoria imposta dalla legge Casati. Non bastano più le elementari, si aggiungono le medie, i licei, le università. Il suo ruolo prende corpo e si amplifica.

È il momento dell’assunzione di grandi impegni e responsabilità, il suo compito è di formare in modo adeguato gli allievi, prepararli a “entrare” in questa società complessa con le opportune conoscenze per rispondere alle nuove esigenze culturali e sociali in tutto il paese, non solo nelle grandi città ma anche nei piccoli comuni, nelle frazioni e per questo abbisogna di un’organizzazione capillare adeguata.

Si tratta di un compito irto di difficoltà, poiché il sistema era stato il medesimo che il Piemonte aveva adottato per l’unificazione della penisola, ovvero sul modello del Regno di Sardegna di stampo“Sabaudo”. Modello che aveva incontrato subito notevoli problemi d’applicazione per lo scontro con culture e consuetudini molto diverse nella penisola, perché la rigida disciplina d’insegnamento di derivazione militare, non trovava proseliti al Centro, soprattutto al Sud del paese.

Tuttavia questo modello, se confrontato all’oggi, aveva grosse lacune. « La scuola materna non esisteva, era affidata all’iniziativa privata; mentre la scuola elementare, destinata alle sole classi popolari, era poi stata gradualmente prolungata a  tre, a sei e finalmente a otto anni ma non dava accesso ad altri studi; il ginnasio-liceo di otto anni, cioè la scuola media secondaria, destinata alle classi dirigenti, iniziava a undici anni, con un esame d’ammissione e accoglieva ragazzi istruiti in famiglia e anche alunni della quinta classe della scuola elementare che, attraverso l’esame, avessero dimostrato di poter affrontare studi ulteriori. Il ginnasio-liceo dava accesso all’università. Soltanto nell’ultimo mezzo secolo il nostro sistema scolastico, attraverso una lunga serie di trasformazioni era diventato unitario, addirittura unico da sei a dodici anni e si era poi articolato in modo da soddisfare tutte le esigenze moderne d’istruzione ». (Tratto da l’introduzione di Raffaele Laporta, dal volume  la “Storia della scuola” di Saverio Santamaita, ediz. Bruno Mondadori).  

Ma le società “complesse” costano, perché i servizi costano e occorre investire molto denaro nella scuola, perché essa possa guardare lontano e lo Stato deve essere pronto per operare insieme a politici intelligenti e ben preparati. Non dimentichiamo che nella storia istituzionale della scuola si riflette uno spaccato della storia italiana, che con fatica cercava di acquisire la coscienza di essere uno Stato.

Tuttavia, col tempo, lo sviluppo crea benessere ma nascono anche differenze che creano attriti fra le classi sociali. Inizia un periodo storico di conflitti in nome di un antipatico sostantivo: il “classismo”. Esso genera divisioni nella politica, subito la sinistra coglie il clima di tensione e interviene attraverso il sindacalismo che fa suo lo slogan: “lotte sociali”. Per le scuole italiane inizia un lungo periodo in cui l’istruzione, intesa come “sapere” cede il passo al grigiore della mediocrità.

Una data importante è il 31 maggio 1974, quando il Presidente della Repubblica Mariano Rumor emana i “decreti delegati”, che prevedevano l’entrata dei genitori nella gestione dell’organizzazione scolastica, anche nei programmi di studio. Il dibattito politico, aveva segnalato la necessità, nella scuola, di una più ampia gestione, democratica e condivisa. Sono stati questi decreti la causa del tracollo della scuola, intesa quale fonte d’istruzione seria. Subito i cambiamenti arrivarono; in ogni scuola si predisponeva un’aula atta alla bisogna. In realtà la funzione di questo locale era di una sede decentrata del P.C. che affiancava le Circoscrizioni della città.

Dopo una lunga battaglia, i comunisti avevano vinto ancora una volta.

Causa il virus Covid 19, la scuola ha viaggiato a ritroso ritornando nel pieno degli anni ’70, quando gli insegnanti regalavano il sei (6) di Stato; tutti promossi. Inoltre, tenendo conto delle attuali, precarie condizioni di salute, da quegli anni a oggi la scuola è ancora peggiorata. All’uscita dalla guerra i programmi scolastici del regime sono stati cambiati ma gli insegnanti sono rimasti, come sono rimaste le tracce lasciate dalle immagini del Duce e del Re sui muri. Tuttavia, contava docenti non di primo pelo, usciti da una dittatura ma culturalmente preparati all’insegnamento. Il sottoscritto nel’44 aveva sei anni e frequentavo la 1° elementare; rammento ancora i loro insegnamenti e quando li rivedo nelle foto provo un po’ di nostalgia.

Ricordo ai corti di memoria, che da circa sessant’anni, con la “nuova” Repubblica, i comunisti hanno fatto molta strada, per cui, nelle scuole di ogni ordine e grado, si è insegnato con docenti preparati con un modello d’istruzione prodotto da una sinistra di stampo “comunista” mirato a un livellamento; ossia di pianificazione verso il basso, (istruzione ma non troppo, insegna il partito), quindi abbiamo almeno due generazioni nutrite con questi principi e in costoro vige la cultura di gruppo. Niente competizione nella scuola, nella vita, nel lavoro, nello sport e il calcio è l’optimum, quindi, niente meritocrazia, la promozione è garantita, accesso alla vita senza ostacoli, problemi vari discussi in gruppo; sembra tutto facile, come fosse un gioco, lo è stato per anni; ma la realtà che si presenta oggi non è così, occorre volgere lo sguardo altrove e per i giovani capaci è meglio la fuga.

Intanto un altro dramma colpisce la scuola: lo “jus soli”, subito accolto dalle sinistre italiane.

(Ius soli (in latino «diritto del suolo») è un’espressione giuridica che indica l’acquisizione della cittadinanza di un dato Paese come conseguenza del fatto giuridico di essere nati sul suo territorio indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori). (Da Wikipedia).

Giuseppe De Lorenzo ci informa, con un vecchio, ma sempre attuale articolo del 28/09/2017 dal titolo; Lo spot allo ius nel libro di scuola:“Immigrati sono indispensabili”, da un libro dell’Editore Loescher di Torino, che è stato adottato da alcuni istituti italiani di scuole medie. Scrive De Lorenzo nella sua indagine:

«In questi anni infatti pare vada di moda sponsorizzare l’immigrazione sin dalla pubertà. Volete un esempio? Eccovi serviti. Prendete la collana “Zoom. Geografia da vicino” edito dalla Loescher Editore di Torino. I tomi scritti a tre mani da Luca Brandi, Guido Corradi e Monica Morazzoni vengono proposti per le scuole secondarie di primo grado (tradotto dal burocratichese: le medie). In prima si studia “Dall’Italia all’Europa”, in seconda “L’Europa: Stati e istituzioni” e in terza “I continenti extraeuropei”. Nulla da dire sulla qualità del prodotto. Sembra tutto nella norma, eppure sfogliandolo pagina dopo pagina si arriva a scoprire che presenta gli stranieri come una “indispensabile” risorsa per il Belpaese e che sponsorizza, velatamente, l’approvazione dello ius soli.

Vi chiederete: perché un testo scolastico dovrebbe spiegare ad un bambino di 11 anni che l’immigrazione è cosa buona e giusta? Risposta logica: non c’è motivo. Eppure succede. Acquistando “Zoom. Geografia da vicino” per la prima media, infatti, i genitori ricevono a casa anche un piccolo tomo intitolato “In prima!”, una sorta d’introduzione allo studio della materia. Alle pagine 31 e 32 gli autori hanno inserito alcuni esercizi in cui l’ignaro studente può provare a mettere in pratica i consigli su “come leggere i testi non continui” (tradotto: le tabelle). Il brano proposto è stato estratto dalla pagina 182 del “tuo libro di geografia” e non elenca le province dell’Umbria o i confini della Lombardia, ma parla di migranti (perché? Mistero). “Oggi l’Italia è il quinto Paese europeo per numero di residenti stranieri”, si legge. E ancora: “Secondo i dati dell’ultimo censimento 2011 (…) gli stranieri residenti in Italia sono circa 4,5 milioni, il triplo di dieci anni prima”. Ma il meglio arriva alla pagina successiva. La tabella viene divisa in due: da una parte la foto di un barcone carico di disperati “al largo delle coste italiane” (incredibilmente chiamati col loro vero nome: “Immigrati clandestini”); dall’altra il paragrafo intitolato Una presenza indispensabile. Il contenuto è un inno al pensiero unico: “Ormai quindi l’Italia è terra d’immigrazione e gli immigrati sono una presenza indispensabile, soprattutto in alcuni settori lavorativi come l’edilizia, il lavoro domestico, l’assistenza a bambini e anziani”. Manca solo il classico ritornello del “ci pagano le pensioni” per chiudere il cerchio. Ma per ora meglio puntare sullo ius soli: “La convivenza tra italiani e stranieri – si legge infatti – non è sempre facile e non sempre la legge italiana favorisce l’integrazione”. Che brutta cosa, penseranno gli studenti. E come mai la coabitazione è così complessa? Per via dei reati commessi dagli stranieri? Macché. Tutta colpa dell’assenza dello ius soli. “Ad esempio – spiegano gli autori agli ignari pargoletti – i figli di stranieri nati in Italia continuano a non aver diritto alla cittadinanza italiana, anche se vivono nel nostro Paese da sempre”. Molto commovente e di certo convincente per alunni che ancora non hanno sviluppato senso critico».

Se questi sono gli editori che producono “cultura”, ebbene, preferiamo le lezioni di un anziano capo tribù africano…

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Il CAOS perfetto, l’alibi per una pessima politica
TERZA PUNTATA – IL FEDERALISMO DI ASSAGO

In questo articolo viene presentato il progetto del Federalismo di Assago. Il tema del Federalismo è già stato trattato in questo blog con altri due articoli di approfondimento: Italia, timida voglia di autonomia e Italia, timida voglia di autonomia – APPROFONDIMENTO

Un progetto serio dimenticato: Il Federalismo di Assago. (tratto da Wikipedia).

Il decalogo di Assago è un documento redatto da Gianfranco Miglio con il contributo dei collaboratori della Fondazione Salvatori, presentato al secondo congresso della Lega Nord il 12 dicembre 1993 (che si svolse, appunto, ad Assago). Esso è costituito da una serie di punti atti al superamento della Repubblica italiana e la sua rifondazione su basi federali.

Il testo

Art. 1 – L’Unione Italiana è la libera associazione della Repubblica Federale del Nord, della Repubblica Federale dell’Etruria e della Repubblica Federale del Sud. All’Unione aderiscono le attuali Regioni autonome di Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige e del Friuli-Venezia Giulia.

Art. 2 – Nessun vincolo è posto alla circolazione ed all’attività dei cittadini delle Repubbliche Federali sul territorio dell’Unione. Tale libertà può essere limitata soltanto per motivi di giustizia penale.

Art. 3 – Le Repubbliche Federali sono costituite dalle attuali Regioni, sia a Statuto ordinario che speciale; le Regioni a Statuto ordinario gestiscono le stesse competenze attualmente attribuite alle Regioni a Statuto speciale. Plebisciti definiranno l’area rispettiva delle tre Repubbliche Federali.

Art. 4 – Ogni Repubblica Federale conserva il diritto di stabilire e modificare il proprio ordinamento interno; ma in ogni caso la funzione esecutiva è svolta da un Governo presieduto da un Governatore eletto direttamente dai cittadini della Repubblica stessa.

Art. 5 – La Dieta provvisoria di ogni Repubblica Federale è composta da cento membri, tratti a sorte fra i consiglieri regionali eletti nell’ambito della Repubblica medesima. Secondo la Costituzione definitiva la Dieta sarà eletta direttamente dai cittadini. Le Diete riunite formano l’Assemblea Politica dell’Unione. La funzione legislativa spetta esclusivamente ad un altro Collegio rappresentativo, formato da 200 membri, eletti da tutti i cittadini dell’Unione e articolato in una pluralità di corpi e competenze speciale.

Art. 6 – Il governo dell’Unione spetta ad un Primo Ministro, eletto direttamente dai cittadini dell’Unione stessa. Egli esercita le sue funzioni coadiuvato e controllato da un Direttorio da lui presieduto e composto dai Governatori delle tre Repubbliche Federali e dal responsabile del Governo di una delle cinque Regioni che per prime hanno sperimentato un’autonomia avanzata, cioè quelle indicate come Regioni a Statuto Speciale, che ruotano in tale funzione. Le decisioni relative al settore economico e finanziario, e altre materie indicate tassativamente dalla Costituzione definitiva, devono essere prese dal Direttorio all’unanimità.

Art. 7 – Il Governo dell’Unione è competente per la politica estera e le relazioni internazionali, per 1a difesa estrema dell’Unione, per l’ordinamento superiore della Giustizia, per la moneta e il credito, per i programmi economici generali e le azioni di riequilibrio. Tutte le altre materie spettano alle Repubbliche Federali ed alle loro articolazioni. Il Primo Ministro nomina e dimette i Ministri i quali agiscono come suoi diretti collaboratori; la loro collegialità non riveste alcun rilievo istituzionale. Il primo Ministro può essere deposto dal voto qualificato dell’Assemblea Politica dell’Unione.

Art. 8 – Il sistema fiscale finanzia con tributi municipali le spese dei Municipi medesimi. Il gettito degli altri tributi viene ripartito fra le Repubbliche Federali in funzione del luogo dove la ricchezza è stata prodotta o scambiata, fatte salve la quota necessaria per il finanziamento dell’Unione e la quota destinata a finalità di redistribuzione territoriale della ricchezza.

Art. 9 – Nei bilanci annuali e pluriennali dell’Unione delle Repubbliche Federali deve essere stabilito il limite massimo raggiungibile dalla pressione tributaria e dal ricorso al credito sotto qualsiasi forma. Le spese dell’Unione, delle Repubbliche Federali, delle Regioni e degli Enti territoriali minori e di altri soggetti pubblici, non possono in alcun momento eccedere il 50% del prodotto interno lordo annuale dell’Unione. La Sezione economica della Corte Costituzionale è incaricata di vegliare sul rispetto di questa norma e di prendere provvedimenti anche di carattere sostitutivo.

Art. 10 – Le Istituzioni e le norme previste dalla Costituzione promulgata il 27 dicembre 1947, che non siano incompatibili con la presente Costituzione Federale provvisoria, continuano ad avere vigore, fino all’approvazione, con Referendum Popolare, della Costituzione Federale definitiva.

Conseguenze politiche

Il progetto venne fatto proprio dalla Lega Nord solo marginalmente: il segretario federale, Umberto Bossi, preferì infatti seguire una politica di contrattazione con lo stato centrale che mirasse al rafforzamento delle autonomie regionali.

Nel 1994 il professore lasciò il partito, non condividendone le scelte politiche. Nonostante ciò, moltissimi militanti e sostenitori leghisti continuarono a provare grande simpatia e ammirazione per il professore e per le sue teorie.

Il 12 dicembre 1993, il sottoscritto era presente alla presentazione del “Modello di Costituzione Federale per gli Italiani”. Un progetto per una nuova Italia non voluto da forze con radici oscure.

Modello di Costituzione Federale per gli Italiani

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SECONDA PUNTATA – LE AZIENDE E IL COMUNISMO IN ITALIA

Il tutto “italiano” improvvisamente. Una grossolana falsità in sole tre righe.

Il prodotto “tutto italiano”, come si affanna a comunicare la solita TV nei suoi spot pubblicitari, non esiste, non c’è; è sufficiente entrare in un supermercato o in una ferramenta per rendersene conto. Un’antica massima dice che la “menzogna ripetuta all’infinito si trasforma in realtà”.

Le aziende italiane un tempo prime nel mondo, oggi schiacciate o vendute.

Dopo oltre un trentennio di sistematica persecuzione sindacale alle imprese e l’incontrollato trapasso di molti nostri gioielli industriali a gruppi stranieri, i quali, attraverso le frequenti “ristrutturazioni”(che in genere prevedevano il taglio degli occupati) e ridotto le commesse al settore delle piccole, medie imprese e artigianato, hanno avuto, quale unico risultato finale un forte calo occupazionale (sempre contenuto dalla C.I.G.) e in molti casi, con la svendita dell’azienda da parte dei nuovi proprietari che, talvolta, prima di fuggire, tentano di appropriarsi del prezioso marchio.

Storia del partito comunista bolscevico

Tuttavia vanno riconosciute le colpe anche ai figli eredi di grandi industrie e a manager incapaci, senza una visione del futuro che, in definitiva, con la complicità della politica, hanno trasformato l’Italia in una colonia industriale. Dobbiamo inoltre ammettere che alcuni grandi vecchi dell’industria non hanno trovato degni eredi e tantomeno manager capaci di gestire saggiamente le loro aziende. Due generazioni cresciute comodamente sotto l’ombrello dei padri fondatori, che alla loro scomparsa, in breve tempo, hanno preferito vendere a stranieri ingordi i gioielli di famiglia creati con enormi fatiche. E i sindacati? Costatando i risultati è meglio stendere un nero manto pietoso su costoro. “Nel nostro secolo, un paese che non possegga una grande industria manifatturiera, l’industria in senso stretto, rischia di diventare una sorta di colonia, subordinata alle esigenze economiche, sociali e politiche di altri paesi che tali industrie posseggono”. (Luciano Gallino). Ed è proprio quello che è accaduto.

La politica nei miti del comunismo italiano. Il Piemonte: ma com’è potuto accadere tutto questo? Lo vediamo in un breve excursus.

Nel 1946, il libro (di ben 500 pagine) di cui vedete la copertina, circolava in tutte le sedi del P.C. torinese, negli stabilimenti FIAT e in tutte le fabbriche e officine metal/meccaniche. Per gli operai era la bibbia che in quegli anni imperava.

 Il simbolo storico del Partito Comunista Italiano.

Soprattutto il primo dopoguerra è stato un’importante scuola di vita per quella generazione che la guerra l’ha vissuta. La molla che ha fatto scattare questa voglia di rinascita è stata la fine della dittatura e la riacquistata libertà. Il denaro del piano Marshall ha dato un notevole aiuto ma ha fare il salto di qualità sono state le idee, capacità di realizzarle e la grande voglia di riscatto del popolo italiano. Sino alla metà degli anni sessanta la macchina piemontese produceva lavoro a pieno ritmo e il “doppio lavoro” aveva creato benessere diffuso. Ricordo come fosse ieri il 6 maggio 1961, all’inaugurazione dell’esposizione internazionale per il centenario dell’unità d’Italia, quando noi alpini sciatori del “Battaglione Aosta”, in tuta bianca, sfilavamo orgogliosi in “ordine chiuso” di fronte al presidente Gronchi e ai vari ospiti europei e americani, allibiti e ammirati dal “miracolo economico italiano” operato in appena un decennio. Oggi ricordiamo quel giorno con in bocca l’amaro fiele della delusione nel vedere com’è ridotta l’Italia, senza nemmeno un esercito di leva da mostrare al paese i suoi giovani pronti alla difesa della patria. Oggi abbiamo si un esercito ma di disoccupati nullafacenti.

 

Simbolo del P.C.I

Dopo questo flash nostalgico riprendo la parabola “italiana” sul “lavoro” (ricordo che questo sostantivo va inteso quale attività produttiva in cambio di un compenso), soprattutto piemontese e torinese, luogo in cui si sono svolte le più cruente battaglie politiche, con morti e feriti.

Dopo quel periodo di grande fermento lavorativo arrivano gli “anni di piombo”, del 1967/68/69; in cui le battaglie sindacali e il partito comunista raggiungono il parossismo e la pura violenza con l’occupazione delle fabbriche, in particolare negli stabilimenti FIAT, dove il P.C. spadroneggia con i suoi sindacalisti,inneggiando allo sciopero.

Simbolo delle Brigate Rosse

Intanto nel 1969 nasce “Lotta continua” da una scissione all’interno del Movimento operai-studenti di Torino. L.C. è un movimento di orientamento comunista che trasforma la lotta in una sorta di guerriglia urbana, a volte in contrasto con il P.C.. Il movimento conta due giovani militanti morti; Walter Rossi, caduto durante scontri a Roma con dei neofascisti e il 1° ottobre 1977, durante una manifestazione antifascista, organizzata a Torino per denunciare l’assassinio di Roma, un gruppo di militanti incendia un bar ritenuto ritrovo di militanti di destra; nel rogo resta ferito Roberto Crescenzio, che morirà due giorni dopo per le gravi ustioni riportate.

Il braccio con pugno, simbolo di Lotta Continua.

Poi arrivano gli anni 1975/76/77, periodo che s’incrocia con il terrorismo assassino delle “Brigate Rosse”. In questi anni Torino era diventata un caposaldo comunista e il centro operativo della guerriglia più spietata da parte dei brigatisti. Costoro colpivano a morte avvocati coinvolti nei loro processi e poliziotti del N.a.t.(Nucleo antiterrorismo).

Il 28 aprile 1977 un nucleo armato di tre uomini e una donna uccidono il presidente dell’ordine degli avvocati Fulvio Croce;  il 16 novembre del 1977 colpiscono ancora con l’attentato mortale al   vice-direttore della STAMPA Carlo Casalegno, gambizzato e morto dopo 13 giorni di agonia. Continua la catena di uccisioni a Torino; il 10 marzo 1978, alla fermata del tram di Corso Belgio, a pochi passi da casa sua è ucciso a colpi di mitra e pistola il maresciallo Rosario Berardi. Il Berardi, in precedenza, aveva fatto parte del N.a.t., nucleo antiterrorismo torinese e impegnato nelle inchieste contro gruppi eversivi neofascisti quali Ordine Nero e Ordine Nuovo; era stato ucciso per vendetta o era per colpire lo Stato?

Ancora “Le Brigate Rosse” rapiscono Aldo Moro a Roma, poi ritrovato ucciso nella bagagliera di un’auto il 9 maggio 1978 dopo 55 giorni di prigionia.

Qualche opportuna informazione sul Piemonte rosso.

È stata la Regione che ha costituito da casa a una miriade di movimenti (circa un centinaio), quasi tutti con ideologie di estrema sinistra, comunismo, marxismo, operaismo, altri con queste dottrine un po’ altalenanti. Ne mostro alcuni, i più conosciuti. (Tratti da Wikipedia e Feedback).

Simbolo Terza Posizione

Terza Posizione
Immagine tratta da it.wikipedia.org

 

Partito Marxista, Leninista Italiano

Partito Marxista, Leninista Italiano
Immagine tratta da it.wikipedia.org

 

P.C. Internazionalista

P.C. Internazionalista
Immagine tratta da it.wikipedia.org

 

Partiti di sinistra comunista

Partiti di sinistra comunista
Immagine tratta da ilpartitocomunista.it

 

Uno slogan di Potere Operaio
Immagine tratta da www.starwalls.it

Questa “mostra” è all’insegna dei simboli politici di una Torino “comunista”.

L’enorme base operaia di Torino, in quegli anni poderosa città industriale unica in Italia, era stato il facile obiettivo su cui  mirare tutte le proteste e le cruente lotte sindacali/politiche del P.C e dei gruppi della sinistra estrema (periodo che va circa dalla metà degli anni ’60, ai primi anni ’80).

Il “lavoro operaio” si era trasformato in un’interpretazione filosofico/politica dei comunisti, del P.C. e dei movimenti di estrema sinistra italiani.

Costoro non vengono mai sconfitti, sono come un dolce veleno che uccide. La battaglia è quasi impossibile, perché devono essere annientati, ma anche così, qualche virus letale resta.

Serve un’opposizione durissima, aspetto che non si coglie nell’attuale, parolaia e inconcludente.

Il basso livello di scolarità imposto in quegli anni e una divulgazione capillare nelle fabbriche delle ideologie marxiste, sono i motivi che hanno prodotto i peggiori guasti nel sistema economico e nel mondo del lavoro in generale. Celebre una frase di Karl Marx I comunisti possono riassumere le loro teorie in questa proposta: abolizione della proprietà privata.” — Karl Marx.

Marx mostra con  agghiacciante chiarezza l’idea catastrofica del suo concetto politico.

La monarchia in Italia nata torinese/piemontese, ha prodotto, per logica condizione, disposizioni e leggi monarchiche relative al lavoro, d’altra parte era l’assolutismo di quel tempo, quale le altre monarchie europee. Monarchia e soprattutto il fascismo hanno variato questa “condizione”.

In periodo fascista la prima “Carta del Lavoro” è varata nel 1927. Si tratta di una derivazione della “Carta di Carnaro” del 1920, creata dall’interventismo dei “Fasci rivoluzionari di sinistra” e dalla quale furono escluse tutte le istanze democratiche/libertarie, poi riprese successivamente dalla Repubblica Sociale Italiana (R.S.I.). Si rivelavano già i primi palpiti di una sinistra latente, viva.

Dopo laboriose trattative, anche da parte dell’antifascismo i Patti erano accettati e l’11 febbraio 1929 si firmavano gli accordi fra Stato e Chiesa detti “Patti Lateranensi”. Si compongono di due parti: la prima è il Trattato Internazionale con Roma capitale e riconosciuta la sovranità dello Stato della Città del Vaticano. La seconda parte è costituita dal “Concordato” che regola i rapporti fra Chiesa e Regno d’Italia.

“Nell’agosto del 1938, c’era stato un incontro in Svizzera tra un monsignore della Curia e due esponenti del Partito comunista in esilio; questi ultimi rassicuravano l’interlocutore che non avrebbero messo in discussione il trattato ma solo il concordato. Posizione, che nel 1943, sarebbe stata riconfermata dal comunista Giorgio Amendola al direttore dell’Osservatore Romano”.

La destra storica, trasformatasi nel 1882 nel Partito Liberale Costituzionale (P.L.C) è stato uno schieramento politico che ha governato ininterrottamente l’Italia dal 1849 al 1876.

La destra storica aveva dato alla neonata Italia, un’economia basata sul libero scambio. Un altro grave problema che affliggeva il paese, la difformità legislativa lungo la penisola, era stato risolto mediante l’accentramento dei poteri (accantonando i progetti di autonomie locali proposti da Marco Minghetti), estendendo la legislazione piemontese a tutta la penisola e dislocandovi in modo capillare le prefetture come strumento di governo.

Un aspetto politico da tener conto ma che dal dopoguerra non desta più stupore; con la nuova Repubblica, la Chiesa con il Partito comunista ha avuto costantemente uno stretto rapporto per la formula che li accomunava; per la Chiesa si usa la terminologia “potere temporale”, per il P.C. “potere indiscriminato”. Sono e rimangono due rovine per l’Italia.

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Il CAOS perfetto, l’alibi per una pessima politica
PRIMA PUNTATA – LA PANDEMIA

Edward Lorenz, matematico-metereologo, a seguito dei suoi studi, aveva coniato una metafora, diventata poi un’espressione di uso comune: “l’effetto farfalla”. In parole semplici spiega come un avvenimento di piccole dimensioni può diventare causa scatenante di un evento di enorme portata, esempio: “il battito delle ali di una farfalla a Parigi può scatenare un uragano in Messico o a Pechino”, è il senso della rivoluzionaria teoria del caos di Lorenz.

Spiega Lorenz: «L’effetto farfalla aveva un nome tecnico: dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali…essa aveva un posto nel folklore:

Per colpa di un chiodo si perse lo zoccolo;

per colpa di uno zoccolo si perse il cavallo;

per colpa di un cavallo si perse il cavaliere;

per colpa di un cavaliere si perse la battaglia;

per colpa di una battaglia si perse il regno!

«Nella scienza, come nella vita, è ben noto che una catena di eventi può avere un punto di crisi in cui piccoli mutamenti sono suscettibili di ingrandirsi a dismisura. Ma il caos significava che tali punti erano dappertutto. Erano onnipresenti».

Prendo a prestito la metafora, quale termine di confronto, per dare un senso causale agli accadimenti che stiamo tragicamente vivendo, infatti, c’è una sorta di analogia con il “caso” Italia, ovvero; da un invisibile virus, alla pandemia.

Orbene, l’uragano di Lorenz può arrivare, ad esempio in Messico e colpire indifferentemente la baraccopoli messicana, costituita da abitazioni fatiscenti, senza servizi e assistenza sanitaria e fare disastri con distruzioni e morte, o una città ben costruita, organizzata e in grado di sopportare la violenza dell’uragano, quindi fare danni minori.

Il parallelo è sintomatico. Il nostro virus Covid 19 è oramai pandemia, semplicemente perché sono mancati o mancano i servizi essenziali e le strutture della Sanità pubblica attuale sono fatiscenti; tutto è affidato al caso e al volontariato, non siamo in grado di affrontare con decenza neppure la minima urgenza. La Sanità (come la scuola) è da decenni preda esclusiva delle sinistre, impegnate solo ad assegnare stipendi ai loro militanti e non posti di lavoro seri. Operazione che definisco: semina indisturbata della clientela politica. Questo sostantivo, pandemia, che sommata al mòlok dei disastri italiani perpetrati in tutti i settori della vita civile, nella politica, nel lavoro, nella TV pubblica, nel cinema, nello sport, ovvero il calcio, l’unico gioco concepito erroneamente sport; sono oramai endemici per il paese.

Manca un controllo efficiente del sistema geologico del paese, delle strade, dei ponti, ogni opera pubblica supporta le mafie o è opera di sfruttamento clientelare, tutto in funzione alle politiche della sinistra che non ha, ripeto non ha neppure una traccia d’idea costruttiva sulle politiche del lavoro d’iniziativa privata, non pubblica.

Il “sistema paese” è crollato di fronte a un assolutismo di Stato che, alla buonora, non è più possibile chiamarlo Stato; un potere “padrone di ogni cosa, delle risorse economiche, delle istituzioni, degli uomini e persino delle idee”. La democrazia, ormai defunta, è sostituita da una sorta di, totalitarismo all’italiana indefinibile che non è neppure bolscevismo. Non è possibile  formulare, un’ipotesi, tracciare una linea definibile nei folli comportamenti di questo governo.

Siamo quasi alla pari con la baraccopoli messicana: ci troviamo nel bel mezzo di un uragano che sta facendo terra bruciata dietro di sé. Imputabili sono i governi precedenti ma è quest’ultimo, del corrivo signor Conte che, amministratore della “bella” Italia, impone, con la sua maggioranza, una sorta di regime atipico che legifera senza controlli, divorando ogni risorsa materiale, finanziaria, scolastico/educativa, umana, disprezzando in modo offensivo la stessa identità storica degli italiani negando al popolo stesso persino la sua sovranità costituzionale. Tutto è svanito, perso, semplicemente perché non c’è stata, volutamente o meno, la capacità ma soprattutto un progetto per costruire uomini colti, intelligenti, politici d’esperienza, capaci e volonterosi. Manca il senso patrio, il voler bene al proprio paese, persa la sacralità del senso di appartenenza che, da oltre sessant’anni, la scuola e tanto meno in famiglia, nessuno ha più insegnato.

 

La R.A.I. ( circa 1700 dipendenti) degli italiani del Sud.  

Altro tema; la TV (nazionale?) spende miliardi di parole nel tentativo di coprire, mascherare il fallimento italiano. I commentatori RAI costretti a leggere bollettini precompilati, mentre mediocri cantanti, comici e attori, un vero esercito di comparse asservite e pagate dalla TV di Stato, ciarlano instancabili nel loro linguaggio italo/romanesco di una volgarità tale che mostra a quale grado di decadenza si è giunti.

L’uso e l’abuso senza ritegno della televisione politica nel condurre tutta l’operazione COVID 19, evidenzia in primis, un’azione mirata a far propaganda pro domo sua e di seguito per impartire a ritmo serrato una miriade di “melliflui” consigli bonari, trattando i cittadini quali semianalfabeti e imbecilli. Lo stile è elementare ma diretto, sottilmente insinuante, che crea panico, fatto con tale glaciale premeditazione da escludere ogni dubbio agli ingenui benpensanti.

Inoltre rivolgo l’attenzione a una questione di equa parità; tenendo conto di quanto il governo predica l’italianità, si ricordi che la R.A.I. è una struttura nazionale, ovvero italiana e non a solo uso e consumo del Sud e Napoli non è la capitale d’Italia.

Comunque, come ben si sa, tutte le reti RAI sono monocolore (vecchio termine adottato da Fanfani), vale a dire, rosse, del P.D. Una conquista di quel partito acquisita col tempo senza il minino ostacolo, mentre le opposizioni, forse, erano in altre faccende affaccendate.

Gli italiani devono svegliarsi dal torpore che li avvolge; aprite gli occhi; canti, balli, giochi dai balconi, sono cose di altri tempi, oggi non servono. Cerchiamo di essere adulti maturi.

Sono oramai tre mesi che dal piccolo schermo continua l’implacabile, assordante richiesta di denaro rivolta ai cittadini per “aiutare” centinaia di fantomatici enti, associazioni, fondazioni create all’uopo, persino la protezione civile e la storica Croce Rossa. Crescono in media di due o tre la settimana e su questo fatto sarebbe urgente fare un’indagine governativa. L’arrogante millanteria dei governanti ha oramai raggiunto livelli indecenti, dimostrando, alla parte onesta del paese, chi sono costoro ai quali il signor Mattarella, ribaltando con un colpo gobbo il risultato delle votazioni politiche, ha ridato il potere. I cospicui prestiti europei in miliardi, arrivati o da arrivare servirebbero alla nostra disastrata Sanità. Non abbiamo più nessuna fiducia in questa Europa, tuttavia speriamo che sia almeno attenta alla strada che prenderanno i fondi, poiché abbiamo sentore che verranno bruciati in un battito di ciglia per finanziare mafie ingorde, associazioni, e pagare stipendi a personale mal gestito e già in esubero. Ricordo par pari, l’esecrabile “diritto di cittadinanza” una legge ignobile per lo sperpero insensato di denaro distribuito a piene mani e senza opportuni controlli nel “mucchio” e non a chi lo merita veramente e ne abbisogna.

Intanto la TV insiste; non uscite, state in casa, è la filastrocca scritta e parlata che continua martellante. Abbiamo persino letto e sentito una dichiarazione in TV di questo Papa comunista. Nelle sue omelie ha aggiunto una preghiera per il governo. A questo punto, dovrebbe spiegare ai suoi credenti se quest’atto ha un significato “politico” o religioso. Lo spieghi pubblicamente a tutti.

 

Virus Covid 19

Questa epidemia, codificata Covid 19 e iniziata con il 1° caso il 21 febbraio 2020, è stata affrontata dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, con l’autorità di cui si è proditoriamente impossessato, in modo disorganico, caotico; ordina, comanda a parole e azioni, delibera severe direttive, decreti, protocolli, leggi e chissà cos’altro sta preparando. Tuttavia, con arguzia ha prontamente capito che il virus è un’occasione unica per consolidare il suo potere in modo indefinito e con qualsiasi mezzo, può farlo, perché nessuno lo contrasta.

Qual è la costante preoccupazione di costui per gli italiani? Le ferie, le vacanze, il turismo.  Settori di tutto riguardo ma occupano il campo dei “servizi”, che significa “non produttivi”. Il cittadino deve spendere per usufruirne, poca attenzione invece a chi produce e crea profitti ossia: alle aziende, alle imprese, all’artigianato, alle fabbriche superstiti. Gli aiuti in denaro, in questo triste periodo, sono indispensabili, ogni giorno si parla di soldi, piogge di miliardi; vedremo dove andranno a finire, se arrivano. Tuttavia per il futuro serve ben altro; il governo deve tutelare le aziende ma non ha la capacità, tanto meno l’esperienza di farlo, perché servono persone di idee liberali, che mancano.

L’insufficiente conoscenza della realtà presuppone a un processo cognitivo di tutte le attività produttive del lavoro; un ribaltamento dei rapporti tra Stato e aziende; un’equa tassazione, finalmente una riforma seria del sindacato, non politico ma rivolto a una vera tutela dei lavoratori. In fin dei conti il “settore servizi”; turismo, servizi alla persona ecc. sono di grande importanza fintanto che c’è un cliente che guadagna e spende. Oggi abbiamo un esempio; con la crisi, concausa il virus, si produce poco o nulla e si spende poco o nulla. I numeri non mentono; “La matematica non è un’opinione”, è sempre una “costante matematica”. Urge ritornare al “libero arbitrio”.

Questo governo di pericolosi apprendisti, barricati dietro uno statalismo accentratore, poi  tradotto in un assolutismo sovrastatale dei poteri finanziari europei che dominano quelli nazionali oramai inerti. Deve cambiare totalmente politica nei comportamenti, oppure andarsene, altrimenti sparire velocemente, prima che succeda l’irrimediabile disastro.

 

Sulla normativa delle vituperate “seconde case”, dove il caos è perfetto.

Ma il signor Conte, forse, non conosce nulla della variegata compagine italiana con la quale ha a che fare, ed ecco che arrivano le prime “cantonate” a partire dall’encomiabile coraggio della presidente della Regione Calabria Jole Santelli; una donna eccezionale. Un’iniziativa che l’Italia delle Regioni dovrebbe imitare fin da subito ma non credo lo farà. La signora Jole pare rischi l’incriminazione, perché la disobbedienza è reato (un reato per sopravvivere?) e magari incarcerata in una delle celle svuotate dai capi mafia liberati dal pietoso e solidale governo.

Le “seconde case”, (oggi è un tipo mercato immobiliare a deficere) sono l’indicatore del benessere, quando l’utilizzo è rifugio vacanziero. Tuttavia molte di esse (cascine con orti e terreni) sono frutto di eredità di famiglia, la quale deve operare una costante, costosa manutenzione, fatta, in genere dagli anziani, perché i giovani preferiscono impegni meno gravosi e faticosi, per cui, questo tipo di “seconde case” si trasforma in un peso. L’abbandono forzato, anche parziale imposto dall’imperversare del virus, è dannoso e purtroppo, con i casi di razzie dei ladri costituiscono un doppio danno. Questa proibizione obbligatoria, fatta con buona intenzione ma imposta “nel mucchio”, come usa fare questo governo, ha provocato diseguaglianze, notevoli costi e disagi; oltre all’abbandono delle coltivazioni si aggiunge il ladrocinio perpetrato da ignoti.

Che fine ha fatto il mercato immobiliare? Non ha più mercato, un altro settore allo sbando perché non ha più regole, sogghignano gli speculatori e sono molte le agenzie (quelle superstiti) che sopravvivono grazie alla gestione degli affitti.

 

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L’Italia è ancora uno Stato? Quale?

1) Stato del Vaticano

Monarchia miliardaria catto/comunista, governata da un re-prete, capo della chiesa cattolica, detto “papa”, il quale dall’alto dell’Empireo in cui risiede invia a piene mani benedizioni gratuite alla plebe terrena in preghiera. Costui, non sborsa un euro, non paga le tasse, lancia anatemi agli italiani ingenerosi e razzisti, fa proclami a favore degli extra-comunitari, che la sua chiesa accetta ma non in Vaticano, bensì in altri luoghi e a spese degli italiani. Viaggia gratis non su aerei di linea ma a servizio solo suo e del suo seguito, come si addice a un re, ed è risaputo che (il suo Stato) è luogo delle peggiori nefandezze che l’essere umano possa immaginare. Eppure costui è venerato da eserciti di credenti. Esiste una succursale in terra che applichi la giustizia divina? No; per cui sarebbe tempo che il suo Dio ne creasse una, anche piccolina e si preoccupasse, alla buon’ora, in nome dell’anzidetta giustizia, di portare la chiesa cattolica a fare ammenda dei suoi peccati mortali e prendere finalmente la via della penitenza e avviarsi verso sentenze di tribunali terreni bisognosi di verità e giustizia (non divina).

Firma dei patti lateranensi
Immagine tratta da http://www.artspecialday.com

Il 7 giugno 1929, entrarono in vigore i Patti Lateranensi, firmati l’11 febbraio dello stesso anno da Mussolini, in nome dello stato fascista e la Santa Sede, retta da Papa Pio XI e negoziati dal cardinale Pietro Gasparri . Nasceva così lo Stato di Città del Vaticano.
Non è più rinviabile la decisione di rivedere in toto questi Patti, ormai desueti e il punto terzo del Concordato, che ancora nel “nuovo” Concordato del 1984, su patti scritti e non scritti, persiste come un male incurabile, il “potere temporale” della Santa Sede. Sarebbe da ripresentare il programma di Cavour, salvo lievissimi aggiustamenti sulla divisione fra Stato e chiesa, ovvero ”più Stato e meno chiesa”. La proposta di Cavour prevedeva una politica ecclesiastica rivoluzionaria per l’Europa del suo tempo. Egli poneva al centro della questione la fine dell’interferenza della chiesa negli affari di Stato (il celebre motto: libera chiesa in libero Stato), libertà religiosa e un insegnamento scolastico più aperto, più “liberale”, con meno vincoli religiosi. Com’è ancora ai giorni nostri: che la Santa Sede tolga finalmente le mani dallo Stato italiano.
Per quanto riguarda il catto-comunismo papista d’Italia, il connubio politico fra comunismo e chiesa ha una lunga storia. In un luogo segreto della Svizzera, c’era stato già nel 1938, un incontro fra due esuli del partito comunista con un monsignore della Curia. Costoro rassicuravano il religioso che i Patti non erano da rivedere; solo il Concordato era in discussione. A parte i successivi accadimenti, nel 1938 i comunisti e la chiesa già mestavano per i propri interessi; loro concordavano tutto, ecco il motivo per cui sapevano già tutto “prima”… degli altri ingenui. (Leggere il Concilio di Verona).

 

1184 – Il Concilio di Verona istituisce L’INQUISIZIONE per gli eretici.

Di tutte le invenzioni della chiesa cattolica, questa è quella più immensamente lontana sia dallo spirito e dalla lettera del vangelo sia da ogni minimo spirito umanitario. Si tratta di una bolla pontificia promulgata da papa Lucio III in occasione del Sinodo o Concilio di Verona appunto nel 1184, nel quale, in un apposito decreto, si prevedeva di combattere senza alcuna pietà l’eresia. Il decreto venne poi ripresentato nel 1215, nel Concilio Lateranense IV. Era sufficiente un semplice sospetto o una spiata per essere messi sotto processo; chi era a conoscenza di un’eresia, anche solo presunta e non la denunciasse, era considerato responsabile e posto anch’egli sotto processo come l’eretico.

Il Concilio di Verona
Immagine tratta da http://cristianesimo.it

Da questa data, per oltre 5 secoli, la storia della chiesa cattolica sarà una storia criminale, fatta di ossessiva ricerca del potere, di intrighi politici ed economici, di stermini, di torture, di roghi, di repressione di ogni atteggiamento di sia pur vaga opposizione, ma soprattutto la religione sarà usata per sfruttare le istintive paure dell’uomo e per sottomettere la gente semplice ed umile.

 

 

 

Qualche ragguaglio sull’accoglienza dei migranti da parte del mecenate mercante di schiavi: il “ Santo Padre Francesco”. Segue un articolo scritto quasi due anni fa ma ancora attuale e in peggioramento.

Migranti, la Cei predica accoglienza (ma la fa a spese dello Stato italiano)

di Giuseppe De Lorenzo , articolo del 07 agosto 2017 uscito su Il Giornale

Oltre 23mila migranti ospitati dalla chiesa, ma solo 4mila sono pagati con fondi ecclesiastici, il 79% lo paga il governo italiano.
Il segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, lo ha detto in tutte le salse: bisogna accogliere i migranti. Posizione legittima, per carità. Ma a spese di chi? Già, perché a conti fatti lo slancio caritatevole della Chiesa non lo sostengono le casse del Vaticano, Ma gli italiani.
A documentarlo sono i dati dell’ultimo rapporto della Caritas sulla “Protezione internazionale in Italia”: a giugno 2016, il 17% degli stranieri accolti nel Belpaese erano presi in carico dalla Cei. Mica male. Anche perché di questi 23.201 immigrati che risultano nelle strutture religiose, solo 4.929 mangiano grazie a fondi ecclesiastici o donazioni. I restanti 18.272 (il 79%) la Chiesa li accoglie sì, ma usando i soldi dello Stato.
Difficile fornire una somma precisa. Galantino ad aprile li quantificava in 150 milioni di euro all’anno. Il Def (Documento di economia e finanza) parla invece di 1,8 miliardi dati alle confessioni religiose, principalmente la Chiesa, alla voce “Missione 27”. Capitolo che l’Ufficio bilancio del Senato cita in cima alle spese per l’accoglienza.
A far man bassa di appalti sono le diocesi e la Caritas. L’ente della Cei compare come aggiudicatario in almeno 26 diverse prefetture attraverso le sue diramazioni locali o le fondazioni direttamente controllate. Sondrio, Latina, Pavia, Terni e via dicendo per un importo ben oltre i 30 milioni di euro l’anno. I dati risalgono a tutto il 2016: tra le più ricche la Caritas di Udine, con i suoi 2,7 milioni di euro. Poi la Mondo Nuovo Caritas di La Spezia (1,7 milioni) e infine quella di Firenze (664mila euro). Un capitolo a parte lo merita Cremona, città che ha dato i natali a Monsignor Gian Carlo Perego, direttore Generale di Migrantes (l’ufficio per le migrazioni della Cei). Qui la Chiesa ha fatto bottino pieno: oltre 3 milioni di euro alla diocesi cittadina e 1,6 milioni assegnati alla gemella di Crema. L’attuale vescovo di Ferrara, soprannominato “il prelato dei profughi”, quando guidava la Caritas cremonese lasciò in eredità la cooperativa “Servizi per l’accoglienza” degli immigrati. Coop che ovviamente non si è fatta sfuggire 1,2 milioni di euro di finanziamento nel circuito Cas e altri 2,4 milioni per la rete Sprar 2014/2016 da spartire con altre due associazioni.

Emergenza migranti: stato e chiesa
Immagine tratta da https://www.freeskipper.it

“La Chiesa accolga gratis i migranti”, ha chiesto più volte Matteo Salvini invitando i vescovi a dichiararsi pure ospitali, ma senza pesare sui contribuenti. Parole al vento. E così per capire il variegato mondo cristiano nella gestione dell’immigrazione, bisogna pensare al sistema solare: al centro la Caritas (che di solito si occupa solo di coordinare) e tutt’intorno un’immensa galassia di organizzazioni più o meno collegate. Vicine al sole ruotano decine di cooperative nate in seno alle diocesi e operative su suo mandato. Spiccano tra le altre la Diakonia onlus di Bergamo, che ha incassato 8,1 milioni. Oppure la Intrecci Coop di Milano, con i suoi 1,2 milioni di euro per l’accoglienza straordinaria a Varese. Dove non arriva la curia ci pensano i seminari, le parrocchie, gli ordini religiosi e le fondazioni. Come la “Madonna dei bambini del villaggio del ragazzo”, che l’anno scorso ha festeggiato l’assegnazione di 1,5 milioni di euro.
A poca distanza dal cuore del sistema si posizionano invece centinaia di associazioni che si richiamano a vario titolo alla dottrina sociale della Chiesa. Qualche esempio? Tra un coro dello Zecchino d’Oro e l’altro, la Antoniano onlus di Bologna ha accolto pure un piccolo gruppo di migranti. E con il sottofondo del “Piccolo coro” si è vista liquidare 129mila euro in un anno. Alla faccia di Topo Gigio. E ancora la cooperativa Edu-Care di Torino (2,6 milioni assegnati), la San Benedetto al Porto di Genova (fondata dal prete “rosso” Don Gallo), le Acli e via dicendo. L’elenco è sconfinato.
Papa Francesco l’ha detto chiaramente: “Chi non accoglie non è cristiano e non entrerà nel regno dei cieli”. Molti fedeli si sono adeguati, facendo il possibile per non perdere un posticino in Paradiso. E così si sono attivate pure una lunga serie di grandi cooperative bianche, gli ultimi tasselli che completato il puzzle. Al banchetto caritatevole partecipano tutte, dalle coop citate nelle carte di Mafia Capitale fino ad arrivare alla diffusa rete delle Misericordie d’Italia. La sezione più famosa è quella che gestisce il Cara di Isola di Capo Rizzuto, finito nella bufera con l’accusa di collegamenti con la mafia e trattamenti inumani verso i migranti. Ma le maglie della Venerabile Confraternita sono fitte e le sue affiliate non si fermano in Calabria. Alcune sezioni controllano diversi Cas tra Arezzo, Firenze, Ascoli, Pisa (e non solo). In Toscana l’introito complessivo per il 2016 è succulento: 6,2 milioni di euro. E pensare che nel vademecum dei vescovi c’è scritto che l’ospitalità può essere anche “un gesto gratuito”. Alcuni non devono essersene accorti.
Oggi, i vescovi con il Papa in testa, chiedono pubblicamente perdono per le loro nefandezze come se avessero rubato la cioccolata. Quest’esercito di togati in vesti multicolori, una mascherata propiziatoria giusto in tempo di carnevale, è uno spettacolo pietoso, Costoro, immersi nel loro illimitato potere temporale, terreno, non si rendono nemmeno lontanamente conto di cosa sono colpevoli; colpe quali l’idolatria, le menzogne, le ruberie, le violenze, i tradimenti, il tutto collusi con lo Stato e consumate per millenni.
No! Nessun perdono, non basterà mai la cenere di tutto il mondo per coprire le loro teste.

 

2) Lo Stato della Mafia e la Mafia di o dello Stato

Potentissime (concorrono con la chiesa), non si sa la data della loro nascita, tanto è millenaria, è insita nel DNA italiano, prospera in particolare negli Stati del SUD d’Italia ed è indistruttibile, immortale.

Mafia – Stato
Immagine tratta da https://irmaloredanagalgano.it

Vive anche e soprattutto di finanziamenti pubblici. È come un partito politico, un parassita che si nutre attraverso i diversi governi al potere, di qualsiasi colore essi siano. Sulle Mafie, in superficie, sappiamo tutto o quasi, ma nei secoli non è cambiato nulla, anzi è in continuo sviluppo. La TV esulta e incalza; è stata sgominata un’importante cosca mafiosa! Solo parole vuote, l’uomo non cambia, è corrotto fino al midollo. Si tratta solo di una questione di prezzo, l’abominio a questo punto neppure lo sfiora, purché abbia le tasche ben gonfie, inoltre si sente sicuro perché il “sistema” lo protegge.
Dobbiamo concludere che il sistema mafioso si rigenera in modo autonomo con la filo-genesi??

3) Uno Stato nello Stato: La Magistratura e l’In-giustizia

L’incultura, la disistruzione scolastica sistematica, la censura e il silenzio-strampa sempre più attento a chiudere le porte all’informazione, mantengono, per sistema, buona parte di questo paese allo stato feudale. L’esempio di Trieste è unico per il criminale silenzio su questa bella città ridotta a una discarica di rifiuti dalla politica italiana corrotta che la governa. Due banche venete sono fallite, fine dei prestiti, dei mutui dei fidi, si parla di mille disoccupati. Come si è arrivati e questo?
Ladrocinio, banditismo e delinquenza comune dilagante in un clima di palese impunità, segnano il fallimento della Giustizia e della Magistratura; una Casta ebbra di potere, oramai soggetta a una sorta di arretratezza, come dire, professionale. Un connubio con il partito comunista (PD) che ha condotto per mano l’Italia verso un’irreversibile arretratezza.

L’architrave del potere
Immagine tratta da Il Corriere.it

La Magistratura ha esteso il suo dominio in qualsiasi settore del pubblico e del privato: economia e finanza, enti pubblici amministrativi e politici, istruzione, imprese, banche. Persino la corte costituzionale ne è in qualche modo interessata, essa interagisce con il sistema giudiziario, aspetto di cui ogni giorno ne subiamo le conseguenze. Ora è il turno della cultura e dell’università. Qualche anno fa, in un convegno a Bologna, Sabino Cassese commentava la deriva che stava prendendo il sistema universitario affermando che: «Qui rischiamo che i prossimi professori universitari li decideranno i giudici». La nefasta profezia si è rivelata vera, ma addirittura per difetto. Cassese si riferiva infatti al più che probabile fiume di ricorsi che sarebbero seguiti alla procedura di abilitazione. (cosa che si è puntualmente verificata; della serie: se non si possono più bocciare gli allievi, perché mai si dovrebbero bocciare i professori?). Da alcune considerazioni di Francesco Di Donato, prof. Ord. a Napoli- Fondazione Luigi Einaudi.

Vale la pena un breve commento sulla sporca faccenda Diciotti. Molti buoni italiani si sono chiesti (un po’ in ritardo): allora chi comanda (non governa) in Italia è la Magistratura non il Parlamento. L’anarchia domina il nostro paese; prima il procuratore di Catania, oggi i giudici, poi ci saranno altri, con i comunisti in prima fila: abbattere questo governo a tutti i costi.

Sono decenni che questo accade proprio in Italia; oramai un malato terminale che resiste con false speranze in attesa della fine.

Sulla scuola

Sulla scuola in generale, a partire dal 1962, con il sistema di pianificazione e l’avvento della scuola di massa, venivano emanati nel 1973/74 i “decreti delegati”, con l’esclusione delle università e in pratica lasciati nelle mani di CGIL, CISL, UIL che nel 1972 avevano stretto il patto federativo.
I propositi erano ambiziosi per la scuola ma in breve tempo la sinistra comunista se ne appropriava diventando uno strumento politico lasciato e gestito dai sindacati, che, ben presto, trasformarono le strutture scolastiche in sedi di partito. A tutt’oggi il metodo d’insegnamento è ancora peggiorato e lo costatiamo ogni qualvolta entriamo in una scuola. Il risultato è invero disastroso per l’inconsistenza dell’educazione civica, dell’istruzione e preparazione culturale (via gli esami, nessun bocciato, tutti promossi), che, con l’abolizione della meritocrazia e dello spirito di competizione, ci troviamo di fronte a giovani immaturi, inadatti ad affrontare il mondo del lavoro d’oggi duro, che pretende, che seleziona attentamente capacità e intelligenza, ancor più all’estero.

Qualche tempo fa Ernesto Galli della Loggia, in un editoriale del Corriere della Sera scriveva:  «Dagli anni ottanta i poteri dei ministri sono passati agli esperti, cancellando nei programmi ogni valenza formativa, così che per gli alunni l’insegnamento è stato insignificante… La classe politica del tempo è responsabile di questa “abdicazione”, che ha fatto venir meno l’apporto della scuola pubblica che le forze liberali avevano creato, al tempo dell’unità d’Italia, per sottrarre la formazione dei giovani dall’egemonia fin lì esercitata dalla religione, in particolare dalla “chiesa cattolica”. In mancanza di forti ideali dei partiti, questi stessi, hanno poi finito per lasciare spazio al sindacato, il solo potere che di lì in poi avrebbe dominato la scuola italiana. E dunque, nella grande crisi della politica, che, a partire dagli anni ottanta, ha annunciato e poi accompagnato massicciamente la globalizzazione – con la conseguente ritirata della politica stessa e dello Stato dalla società – l’istruzione è stata la prima trincea ad essere abbandonata».

Vignetta sulla situazione della scuola oggi
Immagine tratta dal Blog del Prof. MASSIMO ROSSI

Legge 4 agosto 1977, n. 517. La legge che ha sancito la fine dell’istruzione scolastica.

“Norme sulla valutazione degli alunni e sull’abolizione degli esami di riparazione nonché altre norme di modifica dell’ordinamento scolastico”

(Pubblicata nella G.U. 18 agosto 1977, n. 224)

Restando sull’argomento “scuola” in senso lato; se in quegli anni aveva perso ogni importanza la vera “istruzione”, aveva, al contrario preso forza, un altro tipo d’istruzione; quella alla quale mirava la sinistra politica, che “istruiva”, all’inizio, gli studenti con i principi pseudo-rivoluzionari del PC. Tuttavia molti fattori contribuirono a cambiare il corso degli avvenimenti, già nel giugno del 1975 erano emanati i cosiddetti “Decreti delegati” nelle scuole, una macchina ben oliata dal PC e studiata con astuta preveggenza. Nel giugno del 1976, in prossimità delle elezioni, la situazione sociale era drammatica: il terrorismo nero alimentava la strategia della tensione con sparatorie e stragi (Nel 74’ c’erano state Brescia e l’Italcus, dall’altra seminavano terrore le “Brigate Rosse” con sequestri, assassini e processi sommari). Nelle elezioni del giugno 1976 vinceva ancora la DC ma il PC, con un forte incremento di voti, dovuto al grande apporto dei diciottenni (con la legge del 7 marzo 1975 che abbassava a 18 anni la maggiore età), era sicuro di vincere e la delusione dei suoi militanti era stata cocente, rabbiosa. In breve tempo il suo potente apparato organizzativo si rimetteva in moto; crescevano e proliferavano gruppi e circoli politici di sinistra che si muovevano ben oltre la scuola, che era comunque, la preda più ambita, ossia, coltivare i ragazzi nel seme del comunismo (iniziazione in realtà attiva nelle scuole già nel ’68). Tuttavia alcuni di questi circoli erano in contrasto fra loro; a Torino i “Circoli del Proletariato Giovanile”, in contrasto con “Lotta Continua”, che era incline allo scontro e alla violenza, la “FGCI” ( Federazione Giovanile Comunista Italiana) che era entrata nei Licei. Alcuni di questi circoli, con militanti dalle teste calde che miravano allo scontro e alla violenza, erano in aperto contrasto con la forza governativa che frenava; il PC. La rottura definitiva di alcuni movimenti studenteschi con il PC era avvenuta il 17 febbraio 1977 con la contestazione in un comizio al sindacalista Lama protetto dalla polizia di Stato.

Intanto a fine gennaio 1977, a Torino il movimento studentesco si era già mobilitato contro la circolare Malfatti, che per gli studenti è un progetto che tende ad annullare una serie di conquiste ottenute nel ’69…” Il gruppo coordinatore era il Comitato di Agitazione; un “contenitore” di molti studenti che convivevano pur avendo idee politiche diverse. Secondo i ben informati il movimento universitario, era una sorta “tripartito” politico composto da Lotta Continua, Circoli del Proletariato Giovanile, e Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI).

17/02/1977- Lama contestato dagli studenti a Roma
Immagine tratta da https://www.lametasociale.it

La componente Lotta Continua torinese era ben organizzata, con una politica chiara, determinata, aggressiva e contava un numero notevole di militanti attivi. Accusata da La Stampa e da Rinascita di non avere idee chiare se non essere ben determinati a distruggere l’Università, Lotta Continua rispondeva con un articolo sul suo giornale il 17 gennaio 1977. Lo scritto usciva per puro caso il giorno stesso della contestazione a Lama da parte degli studenti e studentesse de La Sapienza di Roma che manifestavano contro la riforma Malfatti, ma intendevano inoltre spiegare che il movimento aveva altre prospettive ben più motivate sul diffuso disagio sociale. Ecco che il cerchio si allargava, abbracciando ampi contenuti politici, dichiarando la propria autonomia ben oltre la scuola, “…nel senso che gli studenti partecipano alla lotta, a partire dalla propria situazione all’interno e fuori dall’Università e questo costituisce la base irrinunciabile di ogni confronto politico…”

Il 18 marzo 1977 il movimento dei Circoli del Proletariato Giovanile di Torino distribuiva un volantino in cui erano scritti gli obiettivi che il movimento intendeva perseguire e dai quali erano chiare le intenzioni di cosa ci si doveva aspettare:

                 «Noi abbiamo fatto le autoriduzioni nei cinema pagando solo ciò che potevamo e abbiamo deciso di occupare dei locali per trovarci, per discutere, per divertirci, perché non abbiamo ville al mare o in montagna […] I giornali borghesi ci accusano di essere provocatori e violenti per dividerci dagli operai delle fabbriche […] usano i carri armati per fermare i nostri cortei, quando sparano nella schiena del compagno Lorusso, quando si preparano con la complicità astensionistica del PCI a togliere le libertà costituzionali, quando parlano delle nostre sedi come covi pericolosi…»

La lotta per un’università che fosse effettivamente accessibile a tutti e strumento di crescita sociale, politica e culturale dei giovani, doveva necessariamente collegarsi a quella del lavoro.

Il comitato di Agitazione di Palazzo Nuovo di Torino specificava i punti del progetto di riforma dell’università con il quale tutti i partiti avrebbero dovuto confrontarsi. Era tutta una serie di richieste ben documentate in 8 punti, in cui l’ottavo chiedeva: l’elettività di tutti componenti degli organi di governo accademici in un corpo elettorale e presenza maggioritaria degli studenti e del corpo non docente.

 

Nelle proposte del movimento era chiara l’intenzione di unirsi ad altre forme di lotta operaie.

                « Questo movimento esploso così inaspettatamente nelle università, ha legami sotterranei profondi con i nuovi bisogni maturati all’interno della crisi. Quei giornali che parlano tanto del ’68, più che al vecchio movimento studentesco, dovrebbero forse guardare al femminismo e al movimento dei giovani; capirebbero meglio alcune tematiche rispetto al modo di fare politica e di esprimersi di questo movimento. Su questo terreno è  possibile ricercare un rapporto con tutti quei movimenti di massa che si oppongono all’attuale gestione politica e ideologica della crisi capitalistica; dai lavoratori precari, ai giovani che si organizzano contro la miseria, agli operai in lotta per una migliore condizione…»

Nelle università, nei licei e nelle scuole in generale, i movimenti politici si muovevano oramai con un’autonomia sorprendentemente spregiudicata. A Torino, il 4 febbraio 1977, all’Istituto Regina Margherita, gli studenti lavoratori attuavano il blocco delle lezioni per 3 giorni. Il 7 febbraio il preside chiedeva l’intervento della polizia per far entrare i “crumiri”. Per il 14 e il 15 febbraio era indetta una mobilitazione nazionale e il 16 un corteo di 15.000 studenti percorreva il centro della città. Un migliaio di giovani dei Circoli Proletari Giovanili bloccavano le strade intorno la stazione ferroviaria. Si era perso il senso della misura; i manifestanti volevano arrivare alla sede di Comunione e Liberazione e il Comune, che erano presidiati dalla FGCI la quale, con una sorta di servizio d’ordine, intendeva evitare violenze. In quest’occasione si consumava la frattura della FGCI con i Circoli Proletari e i movimenti di massa. Un’assemblea all’università chiudeva la giornata.

Immagine tratta da http://www.oggiscuola.com

Verso fine febbraio e i primi di marzo erano occupati il liceo Einstein, il VII Istituto, il magistrale Gramsci e altri istituti superiori.

La protesta entrava anche nelle fabbriche; cortei e violenze, contraddistinsero il 1977.

Il 19 febbraio gli studenti attuavano il blocco della didattica nelle scuole contro la circolare Malfatti, proseguivano in un confronto con il consiglio di fabbrica della Singer. Il 12 marzo, dopo l’assassinio di Francesco Lorusso a Bologna, in tutta Italia si svolgevano manifestazioni studentesche con scontri violentissimi. A Torino sfilavano in migliaia, anche a Ivrea più di mille studenti marciavano in centro città, portandosi minacciosi davanti ai cancelli della Montefibre e dell’Olivetti: per rompere immediatamente con i fatti l’isolamento in cui il governo delle astensioni (il PC), cerca di chiudere la lotta degli studenti e dei giovani.

Il 1° marzo era convocato un coordinamento degli studenti medi e universitari per dare una risposta alla sparatoria fascista contro gli studenti del liceo Mamiani di Roma e il giorno successivo si formava un corteo di 5000 studenti, fra i quali gruppi dei circoli proletari giovanili. Si dava alle fiamme la sede di Democrazia Nazionale ed era assaltato l’hotel “Suisse”, che sovente aveva ospitato convegni del MSI; nel frattempo c’erano stati altri tentativi di incendiare la sede di Comunione e Liberazione. Duri scontri erano successi fra gruppi della FGCI, Autonomi e giovani dei Circoli, durante i quali era stata ferita gravemente una studentessa dell’ala radicale dei Circoli.

Il 3 marzo era convocato di nuovo il coordinamento operai-studenti per organizzare la manifestazione prevista per il 5 marzo contro il “governo delle astensioni” e il Comitato di agitazione aveva deciso di formare un servizio d’ordine per impedire provocazioni.

Nella realtà dei fatti, il PC si sostituiva alla polizia, con il muto assenso della stessa e a questo punto, scattava l’azione violenta organizzata di circa 250 funzionari del PC, tra i quali, erano stati riconosciuti Giuliano Ferrara, Piero Fassino e parecchi altri. Una vera battaglia seguiva con un nutrito lancio di pietre, intanto, Bruno Mantelli, presente con altri due studenti, vedeva Giuliano Ferrara, proprio lui, che stava scaricando da un’auto manici di piccone mentre gli studenti si  avviavano in corteo verso l’Istituto Tecnico Avogadro per protestare contro l’aggressione. C’erano stati altri tafferugli con una decina di studenti feriti; ancora Bruno Mantelli ricorda che la polizia aveva lasciato «libera una via di deflusso verso l’uscita secondaria di Palazzo Nuovo su via Rossini, lasciando però mano libera a Ferrara di intervenire». Il giornale di “Lotta Continua” dell’8 marzo 1977 pubblicava, come prova, 4 foto in cui si vedeva chiaramente le “mazze” che venivano scaricate da un’auto FIAT in sosta  nei pressi di Palazzo Nuovo, le stesse impugnate dai funzionari del PC governativo nel tentativo di dividere lo schieramento degli studenti. 

I mesi di giugno e luglio furono caratterizzati da altre iniziative dure e provocatorie dei giovani e da studenti vicini all’Autonomia e ai circoli del Proletariato Giovanile che occuparono la mensa universitaria di via Principe Amedeo 47, adiacente a Palazzo Nuovo, chiedendo l’estensione del prezzo politico anche ai precari e ai disoccupati, mentre era riservato solo agli iscritti all’università.

Piero Fassino, parlamentare ex sindaco di Torino che a tutt’oggi pascola nei greggi del PD (exPC); un ex funzionario del PC, ovvero un incapace nullafacente che vive nel partito e di partito.

Giuliano Ferrara, un comunista intelligente che da anni dirige un giornale finanziato dal PC.

Due personaggi oscuri che hanno sempre preso e mai dato.

Nel 1983 (mio figlio frequentava il primo anno all’Einstein a Torino) i vari movimenti studenteschi si erano, in pratica, sgonfiati. Il PC, primo fomentatore di cortei e violenze, li aveva attaccati; abbandonati dai sindacati e dai capi e dirigenti di queste organizzazioni giovanili e movimenti di protesta oramai allo sbando, si erano dileguati. Questi loschi individui erano stati pronti a estraniarsi e darsi alla fuga per altri lidi; gente che aveva vigliaccamente creato un terreno colmo di rovine e poi lasciato ai soli militanti, studenti e altri che avevano, peraltro in buona fede, creduto in una nuova società, in una nuova scuola forse più giusta, più equa.

Il decennio violento 1969/79, dove il PC e la triplice sindacale (che ancora oggi imperversano) ne sono i maggiori responsabili, hanno portato in Italia disastri tali che ancora oggi e in futuro ne pagheremo gli altissimi costi materiali, morali, civili, educativi e la fuga della imprese, che con il tragico e ancora poco chiaro, assassinio di Aldo Moro, hanno aperto una ferita non rimarginabile a questo paese arretrato e illiberale.

a) Fonte per le informazioni e scritti in corsivo tratti dalla tesi di Alberto Pantaloni: “La dissoluzione di Lotta Continua nella Torino della seconda metà degli anni ‘70”. Univerità degli Studi di Firenze. Facoltà di lettere e Filosofia a.a. 2010-2011.

b) “IL PUZZLE MORO” di Giovanni Fasanella – Edizione Chiare Lettere di marzo 2018.

c) “Per una storia della scuola a Torino” a cura di Walter Pucci – Editore SEI Torino.

d) “Storia della scuola” -Dalla scuola al sistema formativo. Di Saverio Santamaita- Edit. Bruno Mondadori 1999.

Inserisco la prima pagina de LA STAMPA di Torino del 05/03/2019 che pubblica, all’interno, un lungo articolo sul programma PD del nuovo segretario signor Zingaretti. In sostanza si tratta di propositi di seconda mano; un rimestare vecchi principi e progetti mai applicati e che oggi “il partito” ripropone attraverso un uomo del PD per i suoi tesserati, non per tutti gli italiani. Un “piatto” riscaldato con il sentore di sola propaganda elettorale.

LA STAMPA, un giornale liberale con una grande storia, precipitato a far da stampella ad altri quotidiani sostenuti dalla facoltosa famiglia della sinistra italiana.

Prima pagina LA STAMPA del 05 marzo 2019

4) Il 4° Stato- La RAI del PD, azienda di sperperi del denaro pubblico

RAI – PD
Immagine tratta da http://www.finanzaonline.com

Potrebbe essere una potentissima macchina produttrice di cultura, arte, musica, canto, ad esempio riproporre seriamente l’operetta, il teatro e un importante supporto di conoscenze per studenti, giovani, ancora una scuola (purtroppo trascurata e negletta) d’artigianato d’arte e di tradizioni locali. Insomma, uno specchio per le bellezze non solo panoramiche del nostro paese ma un viaggio attraverso lo straordinario mosaico di lingue e tradizioni che l’Europa intera ci invidia. Ma per fare bene tutto questo servono uomini e donne con idee, non mercanti di parole vuote, gente che un’ottusa “casta” al comando da oltre un quarantennio ha collocato nei posti giusti solo per obbedire a “manager” allevati nei pollai dell’attuale generazione politica. Finanziamenti e sovvenzioni a pioggia a Enti fantasma, organismi pubblici creati su misura e partecipate che sfuggono dalle maglie degli ancor blandi controlli, se avvengono. Il tutto mirato a ben altro che all’oculatezza e all’efficienza ma un’allegra finanza a spese dei cittadini contribuenti. La RAI conta oltre 1500 “giornalisti” e un vero esercito di parassiti, presentatori mediocri senza il “mestiere”, volgari e parlanti non un buon italiano ma una sottolingua italo-romanesca.
Abbiamo visto (per fortuna nostra), solo a tratti lo scandaloso baccanale sanremese (con vecchie glorie che dovrebbero stare in salamoia), indegno a essere chiamato “festival”. Forse divertente per i soli attori urlanti sul palco e i vari intrattenitori ciarlieri, prodighi di una comicità banale, rumorosa, boccaccesca e volgare. Compartecipi della “festa” presentatori e presentatrici paludate ma dai comportamenti esacerbanti, mancanti di stile, ben lontani da quel savoir faire , accattivante degli indimenticabili Enzo Tortora, Corrado, l’inimitabile uomo dei quiz Buongiorno e l’abilità e il mestiere di Pippo Baudo. Tutti campioni di eleganza, buona educazione e veri padroni della magia del piccolo schermo.

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Nel totale caos elettorale, la palude Italia affonda nel mar Mediterraneo

Sono pensieri di un semplice cittadino, tralasciando dati statistici, false inchieste, menzogne vergognose, sondaggi truccati, grafici e percentuali gonfiate, che il cosiddetto uomo della strada non comprende ma non ne ha necessità, poiché egli  vive sulla sua pelle l’immane fatica quotidiana per la sopravvivenza.

Qual è in classifica l’attuale Repubblica Italiana? La 2°, la 3° o la 4°, abbiamo perso il conto. Sono ben 103 (centotre, incredibile, ma sarà finita? Ma 5 anni fa erano 219) i simboli presentati dai vari capi di partito. Pseudo politici che fingeranno di accapigliarsi per la scalata ai lauti stipendi, ai privilegi e la preziosa immunità. Quante facce nuove? Quasi nessuna, anche se molte di quelle nuove sono peggiori delle vecchie; e i programmi? Sono un comodo pretesto, un motivo per affrontare nelle piazze (come fanno i battitori da mercato) gli italiani. Sfrontatezza, impreparazione, nessuna visione politica della realtà e arroganza da intoccabili contraddistingue queste ultime generazioni di uomini politici. Costoro presentano programmi elettorali impossibili o copiati quasi di sana pianta da altri di triste memoria, mai realizzati dal punto più importante: il lavoro, quello vero, fatto con mani e cervello e non con parole, calcio, canzonette e banalità simili che da qualche decennio sono la cultura imperante del nostro paese.

 

Il difficile e disagiato rapporto con gli extracomunitari e la fuga da Torino

Prendiamo un esempio che fa testo per il percorso storico che ha seguito: il Piemonte, con Torino Capitale d’Italia, poi capitale industriale, capoluogo della Regione e fabbrica del lavoro per oltre un secolo a tutti gli italiani. La vecchia capitale ha subito, per volontà politiche di ultra-sinistra e in un tempo relativamente breve, la distruzione del suo apparato industriale. La bella Torino è ridotta, oggi, a una malfamata e puzzolente suburra composta da povera gente proveniente dai vari paesi africani e frotte di disoccupati-sfaccendati che non hanno patria. La decadenza della città non è casuale, è stata perseguita con manifesta volontà, sino a essere ridotta a Ente Regionale di carità e ricovero per disperati, mantenuti e coccolati, a scapito dei torinesi e piemontesi che, esasperati di essere, loro malgrado, i pagatori di questo “obbligo d’imposta”, o fuggono, o attendono che chissà, forse qualcosa cambi con le prossime votazioni politiche. Si tratta di una vera e propria fuga, che con questi ritmi, fra pochi anni Torino sarà un sottoprodotto africano; a questo punto ecco risuonare l’eco del fatidico “razzisti!”, dai falsi buonisti ma lo è esattamente al contrario e con cotanta arroganza per cui i piemontesi e torinesi emigrano. In buona parte sono pensionati, mentre molti giovani scelgono il Nord-Nord Est europeo ma anche oltre, per lavorare e trovata un’occupazione se ne vanno con la famiglia.

Alcuni giorni or sono, un amico settantacinquenne, recatosi in visita al Museo Egizio con alcuni parenti, mi ha raccontato un fatto inaudito cui è stato testimone. In coda alla biglietteria, li precedeva una coppia di africani, la quale, fra lo stupore dei presenti, pagava non due ma un solo biglietto, alla domanda dell’amico del perché di tale trattamento la laconica risposta sottotono era: “Disposizioni superiori”, ma non era finita, poiché l’amico chiedeva lo sconto applicato agli ultrasessantacinquenni la risposta era stata: “ Non c’è più, lo sconto è stato abolito”.

Lasciando a parte lo sconto, nella città di Torino il trattamento di favore riservato a questi stranieri è allargato anche nella Sanità e in molte altre strutture comunali di assistenza gratuite.

Il sistema ha un chiaro significato politico: che il cittadino è stato retrocesso in seconda, o terza classe nelle priorità rispetto agli extracomunitari. Non c’è stata mai una direttiva mirata a un sistema di regolamentazione all’entrata in Italia; tutti ma proprio tutti sono passati senza alcun controllo del flusso, tantomeno sanitario. Queste persone usufruiscono di vergognosi, quanto costosi privilegi che la città riserva loro, per cui il cittadino, che da vari anni subisce tali trattamenti e che nonostante il cambio di governo cittadino persistono, lo ripeto, se ne va per non più tornare.

 

La pessima scuola statale e i progetti della Regione Piemonte per le nuove famiglie piemontesi

Cambiare la scuola ritornando al passato.

L’Educazione civica – una materia troppo importante che deve essere ripresa in una legge e inserita com’era un tempo nei programmi scolastici. Materia che il benemerito On. Moro aveva reintrodotto nella scuola ma che dopo la sua morte è ben presto sparita.

La Costituzione italiana deve essere inclusa nell’Educazione Civica. È da seguire l’iniziativa adottata per gli studenti diciottenni nelle scuole di Cuneo d’introdurla nei programmi.

L’educazione sportiva è altrettanto fondamentale per insegnare ai giovani che non esiste solo il “calcio”; oggi non è più sport ma ricettacolo di violenza, volgarità, partite truccate e altri brogli. Lo sport agonistico autentico si può trovare nell’atletica leggera; inoltre fare sport non significa solo divertimento, poiché in questo attributo è insito lo sport stesso, esso è già, di per sé, divertimento e socialità. Mentre nelle scuole elementari torinesi, in modo astutamente perverso s’invitano i ragazzi alla solidarietà e all’accoglienza, non si fa scuola e non s’insegna affatto, si fa già politica dalla prima infanzia, a ragazzi di primo pelo, sfruttando la loro  ingenuità e capacità d’apprendimento. Ben altro trattamento è riservato agli stranieri; con il progetto Petrarca si sono avviati 300 (trecento) corsi di lingua italiana. Notizia tratta dal bollettino regionale d’informazione “Piemonte Newsletter”  n° 2 del 19 gennaio 2018.

Un declino a questo punto irreversibile per la città, che perde la parte migliore, per incamerare miseria e altro di molto peggio ma forse vi sono oscuri motivi che a noi, vecchi piemontesi educati al lavoro, paiono incomprensibili. Cosa realmente significa “innovazione sociale?”; spese improduttive per servizi inutili? Qual è il vero significato?

Riporto parte di un lungo, articolo sulle Politiche Sociali che tutti dovrebbero leggere, apparso sul periodico della Regione Piemonte “NOTIZIE” di Dicembre 2017, dal titolo “Welfare sì, ma con l’innovazione”. Nell’articolo ci paiono invece ben comprensibili alcuni Progetti Territoriali sui quali l’Assessore Ferrero afferma: “Questa prima misura mira a concepire le politiche sociali non come risposta emergenziale ai bisogni espressi dalla collettività ma come la creazione di un processo d’innovazione che consenta di generare un cambiamento nelle relazioni sociali e risponda ai nuovi bisogni ancora non soddisfatti dal mercato o crei risposte più soddisfacenti a bisogni esistenti”. Il bando di “Sperimentazione di azioni innovative di welfare territoriale”, pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte del 2 novembre 2017, è rivolto a raggruppamenti composti da soggetti pubblici e privati costituiti e costituenti composti dai seguenti beneficiari: le Ats (Associazioni temporanee di scopo composte da soggetti pubblici), gli enti gestori delle funzioni socio-assistenziali (Distretti della Coesione sociale) e uno o più enti del terzo settore o associazioni di volontariato con sede nel territorio piemontese. La definizione dei Progetti Territoriali e delle loro finalità avviene a livello territoriale nei 30 Distretti della Coesione sociale che devono essere oggetto di una pianificazione integrata che, definendo rapporti strategici, li porti ad essere incubatori di sviluppo locale, sfruttando la ricchezza e la varietà dei settori produttivi, del lavoro, culturali, sociali e ambientali presenti sui territori. L’assessora Gianna Pentenero afferma (tra altre cose) “che attraverso i Distretti si può, ad esempio, realizzare forme innovative di welfare per il contrasto alla povertà, interventi volti a favorire l’inclusione lavorativa di persone con fragilità e misure in grado di contrastare il disagio sociale”.

Attenzione; quest’articolo abbonda di parole ampollose, fumose, che servono per concludere, alla buon’ora, con una dichiarazione d’intenti molto chiara dell’assessora Monica Cerutti: L’opportunità offerta è quella di mettere in campo innovazione nell’ambito sociale che guardi alle trasformazioni della comunità piemontese, che non sono solo il generale invecchiamento, ma anche l’evoluzione delle famiglie, non più composte secondo il modello tradizionale e con una significativa presenza di persone di origine straniera”. La chiusa è determinante: “Il bando ha rappresentato la prima tappa del piano di sperimentazioni per l’innovazioni sociale, che si articola in cinque misure diverse attuate attraverso il Fondo Sociale Europeo e il Fondo Europeo di sviluppo regionale, stanziando risorse complessive per circa 20 (Venti) milioni di Euro. Tutte le azioni dovranno avere un minimo comun denominatore: stimolare progetti sui territori, che dimostrino sostenibilità e replicabilità per promuovere coesione e inclusione sociale”.

Non un commento sulla più grave crisi di lavoro del dopoguerra, si sostiene solo la “coesione e inclusione sociale”. Un Ente Regione che sperpera somme enormi di fondi europei con l’Europa complice, che ignora i cittadini, le loro giuste proteste, le paure per il futuro, ed elargisce milioni per una causa (l’accoglienza italiana agli extracomunitari) oramai già persa e che ha diviso profondamente l’Italia e questa improbabile Grande Patria europea.

Non s’illudano i piemontesi di avere dalla Regione (e dallo Stato) trattamenti migliori, tantomeno un’attenzione particolare per le aziende e il lavoro, non per risorse in denaro, quanto per l’eliminazione dell’elefantiaco apparato burocratico che scoraggia e frena l’efficienza delle imprese supersiti, del commercio e dell’artigianato, il quale ha perso la gran parte dei maestri di mestiere; gli anziani portatori d’esperienza e dell’eccellenza artigiana. Dall’articolo è ben chiaro che la Regione Piemonte è fortemente determinata non solo nell’accoglienza agli extracomunitari (dando loro i corsi d’italiano gratuiti) ma a inserirli sempre di più nel contesto sociale e questo è l’assurdo, nelle famiglie piemontesi, considerando gli stranieri un fatto acquisito, stabile, quali nuovi piemontesi.   

Se i cittadini se ne vanno, è per mancanza di lavoro, di tutela, di buona sanità, di giustizia quale valore etico-sociale e distributiva, si sentono abbandonati, al contrario di quanto è dato gratuitamente a questa gente non per solidarietà ma per turpi interessi politici di questa sinistra, che si abbassa a tutto pur di avere il voto.

Un demagogico e costoso progetto, senza una visione futura, che non salverebbe nulla ma porterebbe il paese, le cui famiglie sopravvivono grazie a ciò che resta dei loro risparmi e delle pensioni degli anziani, al fatale fallimento.

Sotto riporto la parte finale originale dell’articolo interessato.

“Welfare sì, ma con l’innovazione” dal giornale Regione Piemonte “NOTIZIE” del Dicembre 2017

 

(Ampliando l’argomento: quando mai si è chiesto o si è pensato di chiedere, attraverso una consultazione popolare, ai cittadini italiani ed europei, se erano d’accordo di accogliere, non solo un numero adeguato, ma migliaia e migliaia di extracomunitari? Mai, la fiumana di disperati è arrivata violenta, incontrollata, irrefrenabile. Questa è democrazia partecipativa? No, ignorando la democrazia, il passo verso forme di totalitarismo è breve. E non invochiamo il primo e vero Trattato di Schengen, che non centra nulla con l’accoglienza di extracomunitari).

La situazione è gravissima; giungere a questi livelli significa abuso di potere, pura insensatezza, scollamento dalla realtà culturale regionale, depauperazione di ogni valore morale, della stessa dignità di uomini liberi e della nostra memoria storica piemontese e umana. Folle è volere una omologazione improbabile, pericolosa per gli effetti negativi scatenanti e assumendosi, inoltre, responsabilità e ruoli politici che non spettano a niuno, tantomeno a un governo temporaneo della Regione, che enormi guasti ha prodotto, poiché fin già dalle prossime consultazioni italiane del 4 Marzo, molte cose potrebbero cambiare, compreso lo Status gerarchico, certamente non inossidabile, della Regione Piemonte.

 

Ancora sull’istruzione e gli extracomunitari

Ritorno su un punto dolente che duole sempre più, ed è la gravissima mancanza d’istruzione nelle scuole italiane, argomento già trattato ampiamente nel mio BLOG (stracanen.it), che tuttavia persiste come un male pernicioso oramai inguaribile.

Giorni addietro il conduttore di RAI 1 del mattino Franco di Mare, ha mostrato e commentato, con evidente disappunto, una scena tratta dal quiz serale “l’Eredità” condotto da Fabrizio Frizzi.

In verità il quiz è da cassare, si rivela sciocco, senza capo né coda, con domande disordinate da livello 1° elementare, alle quali, troppe volte, il concorrente o la concorrente non sanno rispondere o dicono fesserie del tipo: “In che anno è morto Hitler?” Sul monitor compaiono quattro date, di cui una giusta. Il o la concorrente medita, poi risponde con una risatina: “nel 1974”. Risposte di questo tenore sono anni che le vediamo e ascoltiamo, dando un’immagine pubblica negativa dell’ignoranza italiana e di un infimo livello culturale e d’istruzione in quale che sia la materia; geografia, storia, matematica, letteratura, scienze e via così. Tuttavia, sono invece quasi tutti bene informati su cantanti di musica leggera, canzonette varie e il calcio; comunque il quiz distribuisce denaro che qualche volta premia il o la concorrente che indovina la risposta giusta. A volte capitano concorrenti anche bravi ma purtroppo, sono molto rari.

Inoltre la trasmissione dimostra di considerarsi per pochi, ovvero; i partecipanti, scelti con molta cura, sono in prevalenza studenti o giovani laureati, gli altri più maturi, svolgono professioni “nobili” o occupati in impieghi pubblici e operatori in attività artistiche, rarissimi gl’imprenditori e artigiani. Non ricordo “umili” operai metalmeccanici, o di altro genere, forse, come partecipanti, farebbero sfigurare il quiz, condotto con molto garbo dal signor Frizzi, il quale, commentando una risposta su alcune verdure, aveva usato, chissà perché, l’aggettivo “umile” per un ortaggio come la rapa.

Il quiz, come altri prodotti televisivi frutto dalla nuova RAI al servizio del potere, è uno specchio fedele di com’è malridotta l’Italia in fatto di cultura e istruzione. Tuttavia non è tutta colpa degli italiani, è anche la politica messa in campo in decenni da un modello di sinistra; quella del “tutto facile”, che premia tutti, del diritto assoluto all’eguaglianza, tutti promossi, nella consolidata, utopica pianificazione culturale di chiaro stampo marxista: ovvero, cancellare la meritocrazia, che è discriminazione.

Chiudo l’argomento rilevando che questo flusso continuo d’individui extra-comunitari deve essere fermato a tutti i costi, basta parole. Fermiamo anche questa turpe, ignobile pubblicità sui bambini gravemente ammalati che troppe associazioni pseudo umanitarie sfruttano e mercanteggiano intoccabili, libere di agire. La politica della solidarietà che si beano d’imporci è fallace, non serve; la vera solidarietà va al cuore, non passa attraverso le tasche di politici millantatori e corrotti.

Oggi le scuole sono prematuramente multirazziali, frequentate da bambini e ragazzi che nella grande maggioranza parlano poco e male l’italiano, non conoscono nulla della nostra cultura, che nessuno insegna loro e c’é l’annoso, irrisolto problema della religione. Per tutto questo non sono stati approntati programmi scolastici che normalizzino una situazione che è nella più totale disorganizzazione.

Le politiche degli attuali governanti è “improvvisazione in tutto” e tutto il paese è nel caos più totale. Costoro tappano la bocca agli italiani con gli 80 Euro, opera della monarchica magniloquenza del reuccio signor Renzi e dei suoi compagni che ne fanno un vanto, sbandierandola ovunque. Un insulto vergognoso a un popolo lavoratore che merita tutt’altro rispetto, non la carità.

Urge definire strategie contro queste sinistre e i loro complici, esse non vanno solo sconfitte ma devono essere messe a tacere.

È in ballo il nostro futuro di piemontesi, lombardi, veneti, romagnoli, abruzzesi, emiliani, napoletani, calabresi, siciliani, sardi e così tutt’insieme, ma nella salvaguardia delle nostre diversità in questo straordinario mosaico di culture che fanno unica questa penisola. Italiani, si, ma nel rispetto e la tutela delle nostre lingue, tradizioni e costumi.

 

Il bullismo

Bullismo. Immagine dal Web

 

Sinonimo oramai desueto ma ancora usato in politica per sottovalutare la delinquenza minorile che si trasforma in criminale, con giudici avvezzi a un facile buonismo nel giudicare i colpevoli; le leggi italiane sono rimaste all’epoca della “monelleria”. Usare il “pugno duro” è il minimo che si possa fare nell’attuale, grave situazione di disoccupazione che aggiunta ai migranti crea malavita. Una situazione che ha creato una diffusa sfiducia, è la totale assenza dello Stato nel salvaguardare e proteggere i cittadini, i quali, imbelli di fronte ai delinquenti, se si difendono e sparano, vanno in galera. È invero “l’Ingiustizia applicata”; una nuova laurea. Tutto il macchinoso apparato della giustizia è oramai al collasso, ed è pubblicamente riconosciuto che la troppa, inutile burocrazia blocca i processi per anni ma che nessuno vi ha posto, o non ha voluto porvi, rimedio.

Si tratta di una situazione ingarbugliata, che può avere un’origine bivalente, ovvero: l’errore catastrofico di valutazione nell’abolire il servizio militare di leva, che ha prodotto milioni di giovani, i quali, liberi da quel vincolo, hanno occupato grandi spazi vuoti nelle comunità, in un tempo relativamente breve. E la conseguenza diretta di quell’errore si è rivelata ben presto negativa e fatale per loro e per la società in cui vivono. Il troppo tempo libero senza una gran voglia di impiegarlo con dovizia, pochi controlli e soldi in tasca da spendere; il passo è breve per cedere a  tentazioni e sensazioni proibite e facilmente si arriva alla droga leggera, poi a quella pesante e per molti l’ultimo viaggio. Un’altra terribile piaga sociale che travolge le famiglie.

È imperativo occupare i giovani; si deve ritornare al Servizio militare di leva o a un periodo di Addestramento militare obbligatorio. Una rigida disciplina, conoscenza e pratica delle armi saranno salutari, preparando i giovani a essere buoni cittadini. L’Art. 52 della Costituzione Italiana recita: “La difesa della patria è sacro dovere del cittadino” e prosegue; Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalle legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici. Ecco perché è importante lo studio della Costituzione, che va riproposto a partire dalle scuole.

“Quando c’era una sentinella armata ai confini del paese”

 

Se finalmente apriamo gli occhi, ci ritroviamo in una società malata, che ha smarrito i valori identitari genuini, contagiando genitori, figli e nipoti, in un paese con governanti arretrati, inadeguati, impreparati a riceverli, che li rifiuta, togliendo loro il lavoro, l’istruzione, e la fiducia nel futuro. Tutto è provvisorio, non ci si sposa e non si hanno figli in questo clima d’insicurezza, ecco la scottante verità. Una situazione, di cui la stessa classe politica ne è stata la nefasta e feconda matrice, provocando disastri inimmaginabili in queste nuove generazioni, causando guasti che per porvi rimedio non basteranno molti decenni, ma occorre la ferma volontà di cambiare.

In questo terribile periodo storico di confusione d’idee e di ruoli, un’Europa per nulla “europea” langue, mentre nel resto del mondo avanzano le economie di grandi Stati liberi e meno liberi che mantengono alta l’efficienza dei loro eserciti, poiché essi garantiscono la pace. L’Italia, ardente europeista, sopravvive soltanto quale serbatoio europeo di migranti. Sottomessa senza avere alcun titolo a discutere progetti e decisioni è ancora la piccola Italia che mendica contributi in denaro e fa incauti debiti per non fallire, al prezzo di essere servile e sollecita a tenere aperti i suoi confini.

C’è un libro di poco più di cento pagine che tutti gli italiani ma soprattutto i nostri politici dovrebbero leggere: “IL PACIFISMO NON BASTA” di Lord Lothian, editore IL MULINO.

 

Federazione degli Stati Uniti d’Italia

Un’idea sempre viva e attuale che salverebbe il paese è il progetto di una Federazione di Stati liberi e indipendenti: gli Stati Uniti d’Italia; potrebbe essere una forza dirompente in questa Europa macilenta. In basso è la copertina del libro di 110 pagine di Marcello Pacini e pubblicato nell’Aprile del 1994. Uno studio attento e compiuto su un programma che esaminava a fondo le due scelte: Stato Federale o Stato Unitario.

“Scelta federale e unità nazionale” di Marcello Pacini

 

In quel  periodo storico la Lega Nord, con una strenua e incisiva battaglia politica, aveva portato lo scompiglio nel tremebondo e pietrificato mondo politico italiano. La lega di Bossi percorreva l’Italia da capo a fondo come un ciclone, ponendo le basi per la Lega Centro e la Lega Sud. Nascevano giornali e ovunque esplodeva l’idea del federalismo. La Fondazione Giovanni Agnelli, aveva preso a quattro mani quest’idea e in due anni di convegni, dibattiti e ricerche, aveva raccolto le riflessioni che hanno dato origine ha questo interessante volume. I quotidiani illustravano il progetto e i giornalisti discutevano e scrivevano. Senza dubbio era stato un passo che preludeva a un evento straordinario; una vera rivoluzione nell’assetto politico della Repubblica Italiana. Ma…; quando in Italia si parla di cambiamenti politici, c’è sempre un “ma”; una congiunzione grande come un palazzo, sempre e dovunque presente quando anche solo si sfiora l’assetto politico statuale italiano, per cui si deve rivoluzionare tutto per non cambiare nulla, come ben affermava a suo tempo, il Nobile siciliano Principe Salina. Con la Lega Nord, in seguito, purtroppo, ci si è arenati e persi nella sabbia del deserto per cause più o meno accettabili che richiederebbero uno spreco inutile di carta e parole. Oggi si possono ben vedere e costatare in ogni ambito della vita dei cittadini piemontesi e italiani i risultati delle lungimiranti politiche delle sinistre che si autodefiniscono “progressiste”, ovvero, nella più fedele applicazione del pensiero espresso dal nobile Principe Salina.

Parlare di federalismo oggi, a questa categoria di politici è come credere nella magia o nei maghi; ma è un madornale errore, poiché mai dal dopoguerra la situazione generale del paese è stata così seria, per quanto si è deteriorata. Una realtà che nessuno di costoro neppure si sogna di mettere in chiaro, tantomeno la maggioranza del nostro governo che presenta riprese impossibili, inesistenti, inventate per convenienze politiche su basi astratte e elettorali. Sono menzogne costruite con la complicità di un’Europa distratta, chiusa nelle proprie crisi politiche, in maggioranze di governo frutto di estenuanti trattative. Tuttavia la Germania sopporta gli scossoni perché ha un’economia solida, ed è soprattutto, uno Stato federale, ben organizzato e decentrato, con cittadini che lavorano e producono come ogni buon tedesco sa e deve fare.

L’Europa Unita si è fermata allorquando non ha saputo costituirsi in una vera Federazione Europea; imputabili in buona parte gli “stati nazionali”, pacifisti a oltranza come l’Italia, in quanto “società chiuse”.

«Lo stato nazionale è la forma compiutamente sviluppata della società chiusa, Si ritrova così una verità elementare: la pace comporta la negazione di uno degli aspetti fondamentali che la storia ha sinora sempre presentato: “la società chiusa”, ovvero, la divisione politica del genere umano. Questa negazione è determinata, il che significa anche storicamente accertabile. Per passare dalla situazione governata dalla guerra a quella governata dalla pace bisogna eliminare i rapporti di forza tra gli stati e sostituirli con rapporti pienamente giuridici; bisogna cioè sviluppare sulla base della negazione del nazionalismo, il federalismo». (Da “Il pacifismo non basta”). Quindi l’Italia vuole “l’uovo e la gallina”. Sempre più accentramento dei poteri, non negazione del nazionalismo e nessuna divisione dei poteri.

“Il federalismo? Dopo il Duemila” da la Repubblica del 29 Ottobre 1994

 

“Un buon federalismo con i piedi per terra” da la Repubblica dell’anno 1994

 

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La drammatica situazione dell’attuale scuola italiana

Il prof. Ratto apre il suo articolo-intervista del 15 dicembre 2017 sulla scuola italiana con una premessa tutt’altro che insolita: cosa insegna davvero ai ragazzi e di cosa dovrebbe invece insegnare.

Una frase di poche parole ma che evidenzia l’annoso problema (la scuola) che continua a persistere e peggiorare nel tempo e cosa si dovrebbe fare per risolverlo. Un condizionale che si dovrebbe estendere alle troppe promesse politiche rimaste incompiute, che hanno causato con la latitanza e l’incapacità dei governi, l’attuale fallimentare situazione italiana.

Già a partire dal 1934 viene introdotta nella scuola la pratica e la cultura militare obbligatoria dagli 8 ai 21 anni, quale “educazione allo spirito agonistico e guerriero” per allevare una gioventù sana, virile, gagliarda, mentre l’attenzione all’igiene e alla salute per perfezionare la stirpe italiana si concretizza nelle azioni della mutualità scolastica. Seguono i programmi d’istruzione militare e paramilitare che diventano materia scolastica, comprendendo lo studio della storia, geografia e delle belle lettere. Inoltre diventa obbligatorio, per piccoli e grandi il sabato fascista.

Non si tratta di un plauso alla scuola fascista, tutta impregnata di politica, deificazione e fedeltà prima al Duce, poi al re. Vivevo a Torino e negli anni 1944/45 frequentavo la 1° e 2° elementare (sono nato nel ’38). Nelle scuole le loro immagini erano state rimosse, tuttavia le tracce nitide sui muri erano rimaste, come pure, dopo oltre un ventennio, nei metodi d’insegnamento dei vari docenti. Nella nuova Italia repubblicana, spiravano venti di libertà per una scuola non più politica; nuovi programmi di studio, più istruzione, serietà e puntualità, con le attività ginniche quotidiane che erano rimaste materia obbligatoria.

Dopo le macerie c’erano: volontà di ricostruzione e rinnovamento, lavoro per gli adulti e per noi ragazzi, lo studio in un futuro di pace. Purtroppo, come in molte malattie mal curate, poco dopo sono arrivate le ricadute, sempre più gravi, dell’antico male che s’incattivisce infettando il corpo.

Sino all’inizio degli anni ’70 tutto era sembrato funzionare, scuola compresa, in quanto, seguendo nostro figlio (nato ne ’68), eravamo costantemente informati.  Nel luglio del 1973 viene emanata la legge che istituisce i Decreti Delegati sul riordinamento dell’organizzazione della scuola, legge poi entrata in vigore nel 1974. Nell’abbondante modulistica il giudizio era entusiasta: “I decreti delegati del 1974 costituiscono la risposta legislativa alle contestazioni studentesche clamorosamente culminate nel 1968 e ai nuovi atteggiamenti degli intellettuali democratici e progressisti che, assumendo la convinzione che i fermenti innovativi trovano corrispondenza nella mutata situazione sociale, economica e culturale, avvertono come non più rinviabile l’attuazione di una scuola diversa, orientativa e promozionale al posto di quella selettiva contestata a gran voce dagli studenti in tutte le piazze e le scuole d’Italia” .

Inoltre questa legge prevedeva la partecipazione dei genitori, paritaria con gli insegnanti, alla formazione dei programmi.

Il linguaggio usato nella propaganda era di chiara ispirazione marxista, meglio dire del sindacato comunista, che usava sostantivi quali; democratici, progressisti, proletariato, sottoproletariato ecc..

Partecipavo a questi incontri, che all’inizio trattavano argomenti pratici, in particolare la qualità e vivibilità degli edifici attraverso il miglioramento delle aule, ovvero: imbiancatura, pavimentazione, infissi, servizi igienici e altro. Sui programmi d’insegnamento, insieme a pochi altri genitori mancanti d’esperienza sull’argomento, si ascoltava, ritenendo un compito specifico del Preside e degli insegnanti discutere sulle materie di studio, mentre altri genitori, oramai investiti nel ruolo, intervenivano sui metodi d’insegnamento con sciocchezze e proposte impossibili, prese, ognuno, a misura del proprio figlio o figlia.

Era chiara la non pertinenza di questo ruolo dei genitori; le riunioni a volte caotiche avevano provocato delusione e disinteresse, per cui molti, me compreso, avevano deciso di non più partecipare. Inoltre gli stessi insegnanti dimostravano con palesi atteggiamenti la loro militanza politica (la lettura del giornale l’UNITÀ durante i compiti in classe e le ripetute riunioni politiche nella sala professori), la scarsa puntualità, superficialità nell’insegnamento e l’andirivieni degli stessi insegnanti dentro e fuori dall’aula.

Abbiamo seguito nostro figlio alle scuole medie e al liceo scientifico Albert Einstein di Torino, il quale, per un certo tempo, è stato sede degli studenti aderenti della F.G.C. (Federazione Giovanile Comunista), che protestando da esagitati, organizzavano picchetti all’entrata della scuola. Il tutto fintanto che un preside, duro e inflessibile, metteva le cose a posto informando i genitori della situazione e a considerare seriamente il comportamento dei loro figli, oppure l’espulsione. Da tenere conto che questo bravo preside aveva anche ricevuto pesanti minacce dagli studenti.

L’avvento dei Decreti Delegati, fortemente voluti dall’area dell’estrema sinistra, hanno assestato un colpo mortale alla macchina pubblica dell’istruzione, della quale oramai padroni assoluti, dominavano incontrastati.

Usare il sostantivo neoliberismo nella scuola obbligatoria di stato, lo ritengo non appropriato, poiché si riferisce a un sistema di economia in contrapposizione alla dottrina socialista, è invece giusta l’espressione usata dal prof. Ratto scrivendo che: l’istruzione pubblica ha subito una trasformazione in logica aziendale.

Tuttavia, la situazione esposta dal prof. Ratto è tristemente condivisibile sotto ogni punto di vista ma il protrarsi negli anni di questo spaventoso declino, com’è potuto succedere nella più totale indifferenza e “il comodo lasciar fare” di tutti gli’insegnanti, presidi e dirigenti scolastici?

È iniziata con le lotte sindacali del ’68 la degenerazione dei valori, promossa dalla visione politica di estrema sinistra mirata al livellamento verso il basso della scuola e che in essa ha trovato l’abbondante terreno fertile necessario: i ragazzi.

Un illuminante articolo del 28/09/2017, di Giuseppe De Lorenzo, denuncia come la politica s’insinua, strisciante e velenosa nelle scuole, attraverso una sorta dispot allo ius soli: gli ”immigrati sono indispensabili”. Precisa il De Lorenzo: “oggi è di moda sponsorizzare l’immigrazione sin dalla pubertà. Si tratta della collana “Zoom. Geografia da vicino” Edizioni dalla Loescher di Torino, ed è proposto alle scuole medie. Sfogliando attentamente uno dei volumi si scopre che presenta gli stranieri come una “indispensabile” risorsa per il Bel Paese e sponsorizza, velatamente, l’approvazione dello jus soli. Una foto del libro di testo circola tra alcuni genitori del Veronese e del Vicentino. Almeno due istituti di Verona lo hanno adottato, come la scuola “A. Manzoni” dell’istituto comprensivo “Golosine” e la “Salgari” del “Candidavid-Palazzina”. A Vicenza invece Alex Cioni del Comitato “Prima noi” ha denunciato”l’indirizzo culturale e poi politico che si vuole dare ai giovani studenti in una fase della loro crescita educativa particolarmente delicata”.

La disistruzione, nella scuola e l’assoggettamento della popolazione a questo sistema politico del “tutto facile e senza fatica”, che elimina la selezione, la meritocrazia, l’individualismo, in nome di un livellamento pianificato dell’individuo pensante a robot, ha il germe della pazzia in un mondo in cui tutto è naturale competizione.

Oggi vediamo i risultati con il concretizzarsi dell’assurdo: “l’istituzionalizzazione” della povertà. Intanto molte scuole pubbliche sono ridotte a luoghi di perdizione, niente istruzione, niente sport, solo il calcio, che non è sport, poiché è violenza e malcostume; niente educazione al lavoro mentre le aziende chiudono, falliscono, o sono vendute a manager incapaci o stranieri; laureati, studenti, tecnici, pensionati e chi ha la minima possibilità fugge da questo paese che vive il suo declino fra presidi, cortei di protesta, processioni, feste e canti in un clima d’altri tempi dove l’orologio si è fermato nel 1968, nel cortile della FIAT MIRAFIORI di Torino.

La chiusa del prof. Ratto all’attuale situazione è significativa nell’aspetto fondamentale: “La cultura sta nella domanda, non nella risposta”. Voi vi meritate una scuola così, una scuola che in qualche modo vi chiami in causa, che vi faccia sentire vivi e che riesca a produrre in voi la felicità e la capacità di realizzare se stessi”. È un sano ottimismo, intanto oggi è sfacelo e proseguire su questa strada vuol dire davvero che i giovani in questo paese non hanno un futuro. Forse nasceranno liberi ma cresceranno servi e moriranno schiavi.

 Carlo Ellena

 

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