Voglio ricordare un piemontese che non è un re, un principe, un duca di antiche nobiltà, un comandante o un generale con il petto coperto da decine di medaglie e mostrine dorate, che non sempre significano valore in battaglia; è un semplice soldato, un vero eroe dimenticato: il “Soldato Giovanni Poggio”.
Il soldato Giovanni Poggio
… onest popol!
sousten l’unità d’Italia
sempre guidà
da chi l’ha savula fè.
« Casa Savoia »…
Giovanni Poggio
Masio è uno di quei straordinari luoghi piemontesi unici per la generosa, fertile terra; colline da vino robusto e genuino al pari della sua gente. Tuttavia questo piccolo paese è anche altro.
Nella piazzetta del Municipio c’é un monumento che alla prima occhiata può apparire strano, mutilato. La lunga l’epigrafe scolpita sul piedestallo chiarisce l’equivoco e rivela che il mezzo busto sul quale appoggia è effettivamente mutilato delle braccia.
Si tratta del soldato Giovanni Poggio, artigliere medaglia d’oro della campagna del 1860, conosciuto come “l’uomo senza braccia”.
Il monumento è opera dello scultore Attilio Gartman, l’epigrafe, dettata da Paolo Boselli ci racconta:
Giovanni Poggio
eroico artigliere
nelle guerre per l’Italia, in Crimea nel 1859 nel 1860
compiendo prodigi di valore, prode fra i prodi del Re e di Garibaldi,
nell’espugnazione di Capua, propugnacolo borbonico, perdette ambo le braccia.
Onorato della medaglia d’oro mostrò la serenità dei forti
e militare decoro nelle angustie della vita nobilmente povera
allietata e sorretta dalla consorte Camilla Fossati con vigile devota opera d’amore
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Nacque in Masio il 4 agosto 1830, morì in Torino il 5 dicembre 1910
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Questo ricordo a segno di gloria ad esempio di meravigliose gesta
vollero il popolo di Masio, amici, ammiratori.
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Sono frasi e parole che hanno un sentore epico e oggi possono apparire un po’ retoriche, esse evocano un Piemonte storicamente oramai lontanissimo, ma nel quale gli alti valori morali e il forte senso dello Stato dei suoi uomini educati al rigido codice del dovere e dell’onore, hanno contribuito in modo determinante alla formazione dell’Unità d’Italia. Al fianco di Pietro Micca, Enrico Toti, Salvo D’Acquisto e molti altri, anche Giovanni Poggio è uno di questi uomini e la sua vita avventurosa testimonia le gesta di questo valoroso soldato. E’ nostro dovere ricordarlo come militare e come uomo, cresciuto e formato in quell’ambiente particolare qual era la sua straordinaria famiglia.
Giovanni Poggio nasce il 4 agosto 1830, in quel di Masio, piccolo paese sulla sponda destra del Tanaro, è l’ultimo di quattro figli: Paolo, Carlo, Giuseppe e Giovanni appunto. Il padre Francesco è anch’egli nativo di Masio, che presiederà per un certo tempo come Sindaco (Masio è stata anche la residenza estiva preferita di Urbano Rattazzi). La madre, Francesca Maria Guasco, è nativa di Solero ed apparteneva ad una famiglia di antichi patrioti. Dotata anche lei di profondi sentimenti patriottici, durante i tremendi anni delle cospirazioni risorgimentali fu attivissima e non esitò a ospitare in casa sua il cospiratore e martire alessandrino Andrea Vochieri. Maria Guasco è la sorella di Carlo Guasco, magistrato e giovane liberale, convinto assertore di un’Italia libera, amico di Silvio Pellico, Breme, Borsieri, Giovanni Plana e anche di Stendhal, il quale era ammirato dal patriottismo e dal coraggio di questa straordinaria famiglia.
I figli di Francesco e Francesca non erano da meno, tre erano davvero teste calde: Paolo, Giuseppe e Giovanni. Carlo, pare fosse il più tranquillo, era un ottimo funzionario delle ferrovie dello stato. Paolo, professore, si fece prete, ma questo non gli impedì nel 1870 di issare, primo fra tutti e in abito talare, la bandiera italiana sull’edificio dell’Università di Torino incitando gli studenti con parole di fuoco. Giuseppe, nel 1848 fuggì con Giovanni, il fratello minore, per arruolarsi insieme e combattere, ma a causa della loro giovane età furono rispediti a casa. Giuseppe, che era geometra, in seguito lasciò il suo lavoro e partì per l’America in cerca d’avventura. Fece diversi mestieri, fra i quali l’armatore. Ritornò nel 1870 per ripartire dopo poco tempo per la Francia verso nuove avventure, ma non fece mai più ritorno e non se ne seppe più nulla. Giovanni, militò un breve periodo come volontario nelle file di Garibaldi e nel 1851, al suo turno di leva, entrò nell’esercito regolare e assegnato al reggimento artiglieri come cannoniere di seconda classe con il numero di matricola 2304. Già nello stesso anno si distinse meritandosi la promozione a cannoniere di prima classe, giusto in tempo per partire per la guerra di Crimea con il Corpo di spedizione comandato dal Generale Alfonso Ferrero La Marmora.
Soldato valoroso e spericolato scampò alle pallottole per rischiare di morire affetto da colera in un letto d’ospedale. Guarì miracolosamente e il 30 maggio 1856 fu collocato in congedo.
In quel periodo turbolento le campagne di guerra infuriano e il 26 marzo 1859 è richiamato come artigliere combattendo sino all’11 dicembre dello stesso anno. Rimane a casa per poco tempo; il 12 marzo 1860 è richiamato nuovamente sotto le armi per la terza volta è assegnato alla 4° batteria del 3° Reggimento Artiglieria da piazza. Partecipa alle campagne di guerra che nel 1860 hanno teatro di operazioni prima nelle Marche e nell’Umbria e poi nell’Italia meridionale, quando, dopo la caduta della piazzaforte di Ancona e la totale disfatta dell’Esercito franco-pontificio, l’Esercito piemontese al comando di Vittorio Emanuele II accorre in aiuto ai “Mille” Garibaldini impegnati contro le truppe del Borbone Francesco II. Tali truppe, travolte dai piemontesi, sono scacciate da Marsala a Calatafimi, poi a Palermo, Milazzo e Messina, la Calabria sino a Napoli, sulle rive del Volturno. Qui Giovanni Poggio dimostra in più occasioni la sua tempra di valoroso soldato, sino al compimento del suo tragico destino.
Ѐ il 1° Ottobre 1860, il Poggio si trova come capo-pezzo del cannone posto sulla strada che porta verso la fortezza di Capua, in un sito molto esposto alla fucileria borbonica. La provvidenziale placca della cintura lo salva da una palla nemica che altrimenti gli sarebbe penetrata nel ventre, restando comunque leggermente ferito. Rimane tenacemente al suo posto, rifiutando all’ordine di fare fuoco con le sue artiglierie puntate verso le truppe borboniche che avrebbero sicuramente colpito una colonna garibaldina impegnata nel combattimento a corta distanza. Il 25 Ottobre si trova sotto Sant’Angelo e non riuscendo il tiro efficace insiste con forza per lo spostamento delle artiglierie su un’altura vicina.
Questa azione, che permette un valido aggiustamento del tiro, costringe i borboni a una disastrosa ritirata. Nel frattempo gli è assegnata la medaglia d’argento al valor militare. In un altro frangente, contravvenendo a un ordine del suo Capitano Emilio Savio, attraversa a nuoto il Volturno per spiare le batterie nemiche; le informazioni date al suo ritorno inducono i nostri ad abbandonare precipitosamente il posto rivelatosi troppo pericoloso.
Il fatto culminante, tragico, avviene il 2 Novembre 1860, quando al mattino ha inizio il bombardamento di Capua. Il Poggio ha l’incarico del puntamento, la distribuzione della polvere e delle cariche. Il nemico investe la postazione dei nostri con un fuoco infernale. Ripetutamente il Poggio si reca volontariamente, sotto il fuoco incrociato dell’artiglieria nemica, a verificare il tiro sul terrazzo sovrastante la sua batteria e il tenente Persi, che ha permesso con riluttanza queste pericolose verifiche, nell’ulteriore intensificarsi del fuoco, gli proibisce altre uscite. Il Poggio vedendo il precipitare della situazione e i compagni titubanti, disobbedendo all’ordine si precipita per le scale verso il terrazzo urlando: «Dove gli altri non vanno Poggio va». Poco dopo una granata gli asporta il braccio destro e quasi subito un altro colpo gli tronca il sinistro, con le ultime forze si trascina in fondo alla scala stramazzando sfinito. Rapidamente soccorso, gli vengono amputate entrambe le braccia sopra il gomito. Gli sorregge il capo la signora Jesse White Mario (vedova di Alberto Mario), infermiera garibaldina e ardente sostenitrice dell’Unità d’Italia. Lo assiste giorno e notte all’ospedale di Napoli la Marchesa Anna Pallavicino Trivulzio, moglie del martire dello Spielberg Giorgio Pallavicino Trivulzio. Gli fa anche visita Re Vittorio Emanuele II, il quale con parole di encomio gli conferisce la medaglia d’oro al valor militare.
Ritornato finalmente a Masio, dopo qualche tempo il Poggio sposa Camilla Fossati, che conosceva fin da bambina e da questo felice matrimonio nascono ben dieci figli. In seguito trasferitosi a Torino, conosce e frequenta in questa città Edmondo De Amicis, il quale gli dedica un bozzetto sulla sua vita. A Torino, Giovanni Poggio muore all’età di 80 anni, il giorno di Santa Barbara e i funerali vengono fatti a spese dello stesso Comune.
Il berretto e il panciotto di Giovanni Poggio sono conservati al Museo di Artiglieria di Torino.
Le città di Torino e Alessandria gli intitolarono due Vie.
Pinerolo gli dedicò la sezione degli Artiglieri.
Un interessante libro del 1963 della “Collection Stendhalienne” di Albert Maquet dal titolo “Deux amis italiens de Stendhal – Giovanni Plana et Carlo Guasco”, ci racconta appunto di Carlo Guasco, Avv. Sost. Procuratore Generale del Re a Torino irriducibile potriota e carbonaro, fratello di Francesca Maria Guasco, madre del nostro Giovanni Poggio, le cui imprese sono ricordate nel libro.
Luglio 2019
Carlo Ellena
Bibliografia:
-“Il soldato Poggio” di Edmondo De Amicis.
-Traduzione in italiano su “Epoche”n° 1 e n° 2 dell’anno 1963 del libro”Deux – amis italiens de Stendhal – Giovanni Plana et Carlo Guasco”.
-“IL Popolo d’Italia” del 1 Gennaio 1923.
-Estratto dalla ”Rivista di Storia, Arte, Archeologia della Provincia di Alessandria” del 1930 di Lorenzo Mina su “Poggio Cav. Giovanni 1830 – 1910