Il prof. Ratto apre il suo articolo-intervista del 15 dicembre 2017 sulla scuola italiana con una premessa tutt’altro che insolita: cosa insegna davvero ai ragazzi e di cosa dovrebbe invece insegnare.
Una frase di poche parole ma che evidenzia l’annoso problema (la scuola) che continua a persistere e peggiorare nel tempo e cosa si dovrebbe fare per risolverlo. Un condizionale che si dovrebbe estendere alle troppe promesse politiche rimaste incompiute, che hanno causato con la latitanza e l’incapacità dei governi, l’attuale fallimentare situazione italiana.
Già a partire dal 1934 viene introdotta nella scuola la pratica e la cultura militare obbligatoria dagli 8 ai 21 anni, quale “educazione allo spirito agonistico e guerriero” per allevare una gioventù sana, virile, gagliarda, mentre l’attenzione all’igiene e alla salute per perfezionare la stirpe italiana si concretizza nelle azioni della mutualità scolastica. Seguono i programmi d’istruzione militare e paramilitare che diventano materia scolastica, comprendendo lo studio della storia, geografia e delle belle lettere. Inoltre diventa obbligatorio, per piccoli e grandi il sabato fascista.
Non si tratta di un plauso alla scuola fascista, tutta impregnata di politica, deificazione e fedeltà prima al Duce, poi al re. Vivevo a Torino e negli anni 1944/45 frequentavo la 1° e 2° elementare (sono nato nel ’38). Nelle scuole le loro immagini erano state rimosse, tuttavia le tracce nitide sui muri erano rimaste, come pure, dopo oltre un ventennio, nei metodi d’insegnamento dei vari docenti. Nella nuova Italia repubblicana, spiravano venti di libertà per una scuola non più politica; nuovi programmi di studio, più istruzione, serietà e puntualità, con le attività ginniche quotidiane che erano rimaste materia obbligatoria.
Dopo le macerie c’erano: volontà di ricostruzione e rinnovamento, lavoro per gli adulti e per noi ragazzi, lo studio in un futuro di pace. Purtroppo, come in molte malattie mal curate, poco dopo sono arrivate le ricadute, sempre più gravi, dell’antico male che s’incattivisce infettando il corpo.
Sino all’inizio degli anni ’70 tutto era sembrato funzionare, scuola compresa, in quanto, seguendo nostro figlio (nato ne ’68), eravamo costantemente informati. Nel luglio del 1973 viene emanata la legge che istituisce i Decreti Delegati sul riordinamento dell’organizzazione della scuola, legge poi entrata in vigore nel 1974. Nell’abbondante modulistica il giudizio era entusiasta: “I decreti delegati del 1974 costituiscono la risposta legislativa alle contestazioni studentesche clamorosamente culminate nel 1968 e ai nuovi atteggiamenti degli intellettuali democratici e progressisti che, assumendo la convinzione che i fermenti innovativi trovano corrispondenza nella mutata situazione sociale, economica e culturale, avvertono come non più rinviabile l’attuazione di una scuola diversa, orientativa e promozionale al posto di quella selettiva contestata a gran voce dagli studenti in tutte le piazze e le scuole d’Italia” .
Inoltre questa legge prevedeva la partecipazione dei genitori, paritaria con gli insegnanti, alla formazione dei programmi.
Il linguaggio usato nella propaganda era di chiara ispirazione marxista, meglio dire del sindacato comunista, che usava sostantivi quali; democratici, progressisti, proletariato, sottoproletariato ecc..
Partecipavo a questi incontri, che all’inizio trattavano argomenti pratici, in particolare la qualità e vivibilità degli edifici attraverso il miglioramento delle aule, ovvero: imbiancatura, pavimentazione, infissi, servizi igienici e altro. Sui programmi d’insegnamento, insieme a pochi altri genitori mancanti d’esperienza sull’argomento, si ascoltava, ritenendo un compito specifico del Preside e degli insegnanti discutere sulle materie di studio, mentre altri genitori, oramai investiti nel ruolo, intervenivano sui metodi d’insegnamento con sciocchezze e proposte impossibili, prese, ognuno, a misura del proprio figlio o figlia.
Era chiara la non pertinenza di questo ruolo dei genitori; le riunioni a volte caotiche avevano provocato delusione e disinteresse, per cui molti, me compreso, avevano deciso di non più partecipare. Inoltre gli stessi insegnanti dimostravano con palesi atteggiamenti la loro militanza politica (la lettura del giornale l’UNITÀ durante i compiti in classe e le ripetute riunioni politiche nella sala professori), la scarsa puntualità, superficialità nell’insegnamento e l’andirivieni degli stessi insegnanti dentro e fuori dall’aula.
Abbiamo seguito nostro figlio alle scuole medie e al liceo scientifico Albert Einstein di Torino, il quale, per un certo tempo, è stato sede degli studenti aderenti della F.G.C. (Federazione Giovanile Comunista), che protestando da esagitati, organizzavano picchetti all’entrata della scuola. Il tutto fintanto che un preside, duro e inflessibile, metteva le cose a posto informando i genitori della situazione e a considerare seriamente il comportamento dei loro figli, oppure l’espulsione. Da tenere conto che questo bravo preside aveva anche ricevuto pesanti minacce dagli studenti.
L’avvento dei Decreti Delegati, fortemente voluti dall’area dell’estrema sinistra, hanno assestato un colpo mortale alla macchina pubblica dell’istruzione, della quale oramai padroni assoluti, dominavano incontrastati.
Usare il sostantivo neoliberismo nella scuola obbligatoria di stato, lo ritengo non appropriato, poiché si riferisce a un sistema di economia in contrapposizione alla dottrina socialista, è invece giusta l’espressione usata dal prof. Ratto scrivendo che: l’istruzione pubblica ha subito una trasformazione in logica aziendale.
Tuttavia, la situazione esposta dal prof. Ratto è tristemente condivisibile sotto ogni punto di vista ma il protrarsi negli anni di questo spaventoso declino, com’è potuto succedere nella più totale indifferenza e “il comodo lasciar fare” di tutti gli’insegnanti, presidi e dirigenti scolastici?
È iniziata con le lotte sindacali del ’68 la degenerazione dei valori, promossa dalla visione politica di estrema sinistra mirata al livellamento verso il basso della scuola e che in essa ha trovato l’abbondante terreno fertile necessario: i ragazzi.
Un illuminante articolo del 28/09/2017, di Giuseppe De Lorenzo, denuncia come la politica s’insinua, strisciante e velenosa nelle scuole, attraverso una sorta di “spot allo ius soli: gli ”immigrati sono indispensabili”. Precisa il De Lorenzo: “oggi è di moda sponsorizzare l’immigrazione sin dalla pubertà. Si tratta della collana “Zoom. Geografia da vicino” Edizioni dalla Loescher di Torino, ed è proposto alle scuole medie. Sfogliando attentamente uno dei volumi si scopre che presenta gli stranieri come una “indispensabile” risorsa per il Bel Paese e sponsorizza, velatamente, l’approvazione dello jus soli. Una foto del libro di testo circola tra alcuni genitori del Veronese e del Vicentino. Almeno due istituti di Verona lo hanno adottato, come la scuola “A. Manzoni” dell’istituto comprensivo “Golosine” e la “Salgari” del “Candidavid-Palazzina”. A Vicenza invece Alex Cioni del Comitato “Prima noi” ha denunciato”l’indirizzo culturale e poi politico che si vuole dare ai giovani studenti in una fase della loro crescita educativa particolarmente delicata”.
La disistruzione, nella scuola e l’assoggettamento della popolazione a questo sistema politico del “tutto facile e senza fatica”, che elimina la selezione, la meritocrazia, l’individualismo, in nome di un livellamento pianificato dell’individuo pensante a robot, ha il germe della pazzia in un mondo in cui tutto è naturale competizione.
Oggi vediamo i risultati con il concretizzarsi dell’assurdo: “l’istituzionalizzazione” della povertà. Intanto molte scuole pubbliche sono ridotte a luoghi di perdizione, niente istruzione, niente sport, solo il calcio, che non è sport, poiché è violenza e malcostume; niente educazione al lavoro mentre le aziende chiudono, falliscono, o sono vendute a manager incapaci o stranieri; laureati, studenti, tecnici, pensionati e chi ha la minima possibilità fugge da questo paese che vive il suo declino fra presidi, cortei di protesta, processioni, feste e canti in un clima d’altri tempi dove l’orologio si è fermato nel 1968, nel cortile della FIAT MIRAFIORI di Torino.
La chiusa del prof. Ratto all’attuale situazione è significativa nell’aspetto fondamentale: “La cultura sta nella domanda, non nella risposta”. Voi vi meritate una scuola così, una scuola che in qualche modo vi chiami in causa, che vi faccia sentire vivi e che riesca a produrre in voi la felicità e la capacità di realizzare se stessi”. È un sano ottimismo, intanto oggi è sfacelo e proseguire su questa strada vuol dire davvero che i giovani in questo paese non hanno un futuro. Forse nasceranno liberi ma cresceranno servi e moriranno schiavi.
Carlo Ellena