Categoria: Politica (Pagina 4 di 4)

Un ravin ancreus, sensa vёdd-ne la fin (Un precipizio profondo, senza vederne la fine).

Ѐ una frase in piemontese, la mia prima, amata lingua, con la quale manifesto l’ira, che non più contenuta, diventa “funesta”, quando le situazioni e gli eventi che ci coinvolgono sono pessimi, non provocati da noi ma imposti e subiti da cause esterne, contrarie alla nostra volontà, al buon senso.

La vecchiezza, in fondo, è il bene dell’uomo, quando egli conserva una buona memoria del tempo passato, degli accadimenti sia positivi sia negativi vissuti nel corso della propria esistenza, l’età avanzata diventa uno strumento per commisurare, sulla bilancia della vita, l’esito finale.

La scuola salesiana ci ha indicato i percorsi da seguire: il lavoro, lo studio, il dovere, l’onestà, la volontà e la determinazione nel perseguire gli obiettivi individuali e di gruppo, ma sempre nel rispetto delle regole e del prossimo. In fondo a tutto poi ci sono i “diritti”, se il tuo esercitare ha avuto ragione di pretenderli; ma solo a questi patti.

Erano le regole e la disciplina teutonica che impartiva Don Trivero attraverso il trillo del suo fischietto, con il quale scindeva i diversi momenti della giornata: la prima adunata al mattino e guai a tardare di un solo minuto, un momento di raccoglimento in chiesa, poi l’entrata a scuola, la ricreazione, il veloce rientro, il doposcuola e l’ultima adunata per il rientro a casa.

Se infliggeva una punizione o dava qualche benevolo scappellotto, avvisava in nota sul diario i genitori che firmavano rincarando la dose con sonori ceffoni.

Nel nostro tempo non c’è più tempo. Tutto è stravolto, sfalsato, finto: quale lavoro? Quale studio? Quale scuola? Che cosa sono il dovere, il rigore e l’onestà? Quali obiettivi da perseguire quando c’è un vuoto totale d’idee? Quali regole, se oramai sono ritenute inutili?

L’esito finale non può essere che il fallimento; non esistono panacee e nessun’altra possibilità.

La grande crisi reale per mancanza di lavoro è una questione venuta prepotentemente alla luce all’incirca nell’ultimo settennio, causa la caduta del PIL, uno spaventoso debito pubblico l’insolvenza dello stato nei confronti delle troppe imprese creditrici. Una vicenda che si è degradata negli ultimi venticinque anni circa, con continuo calo della produzione e del relativo mercato, il trasferimento, vendita e chiusura delle grandi e medie aziende poi l’invenzione della tragica parola “ristrutturazione”, che poi significa mobilità, licenziamenti, la C.I.G.

Un quadro molto dettagliato della situazione l’ha fatto Luciano Gallino in un suo libro che sotto riporto in copertina per il suo titolo molto eloquente. Un libro che tutti gli italiani dovrebbero leggere, in particolare i piemontesi.

L’Artigianato

Il mio riferimento sul mondo del lavoro lo rilevo dal settore artigiano, che è il polso reale dell’economia imprenditoriale; se la grande industria investe, lavora e produce, si muove anche l’artigianato, in caso contrario tutto rallenta e oramai troppo spesso, si ferma. Tuttavia questo settore, che è costituito da imprenditori che rischiano in proprio e sono a diretto contatto con il mercato, ha trovato, anche in questa grave crisi, risorse e alternative rapide ed efficaci, sono aspetti che la grande industria non può avere, proprio per la sua dimensione. Tuttavia il prezzo da pagare è stato, ed è carissimo per perdita dei posti di lavoro, chiusura d’imprese e troppi maestri artigiani anziani senza avere il valido ricambio.

Vedi tabella.

ANDAMENTO OCCUPATI NELL’ARTIGIANATO
 
Anni Imprese Autonomi Dipendenti Occupati Totale
2007 135.639 179.511 134.022 313.533
2008 136.501 181.099 133.243 314.342
2009 135.529 178.866 122.191 301.057
2010 135.355 176.995 119.563 296.558
2011 136.070 176.007 118.606 294.613
2012 133.000 173.000 114.516 287.516
2013 129.503 169.980 109.212 278.192
2014 126.142 157.572 115.211 272.783
2015 125.228 151.601 107.110 258.711
2016* 123.277 145.700 107.724 253.424

*elaborazione da ultimi dati Regione Piemonte Osservatorio dell’Artigianato 30/6/2016

 

L’andamento occupazionale di lavoratori autonomi e dipendenti nell’artigianato per gli anni 2007 – 2016 indicati nella tabella e nel grafico evidenzia una progressiva diminuzione; infatti dalle 313.533 unità lavorative del 2007 si scende a 253.424 del 2016, con una perdita complessiva di 60.109 posti di lavoro; mentre nell’anno scorso si è registrato un calo di 5.287 occupati.

 

Cassa integrazione in deroga

A seguito delle intese tra Regione Piemonte/INPS/Parti sociali, la Cig in deroga è stata estesa a tutti i settori, incluso quello artigiano, con la finalità di contribuire al superamento dell’emergenza occupazionale derivante dalla crisi economica che ha interessato tutti i comparti produttivi del Piemonte. Le domande di Cig in deroga al 30 novembre 2016 sono state 3.531 di cui 2.547 presentate da imprese artigiane. I lavoratori coinvolti complessivamente sono 10.177 di cui 5.290 dipendenti d’imprese artigiane. Le ore di Cig in deroga, per il periodo preso in esame, relativamente al comparto artigiano, si attestano a 1.893.288 sul totale di 3.659.164

La diminuzione dell’utilizzo della Cig in deroga negli anni 2014 – 2015 -2016 è dovuta anche al fatto che le regole di fruizione della stessa sono mutate, prevedendo nel 2014 il finanziamento per 11 mensilità, nel 2015 per 5 mensilità e nel 2016 per 3 mensilità.

DOMANDE CIG IN DEROGA 2016
Tipologia aziendale Domande Lavoratori Ore CIG
 Artigiane 2.547 5.290 1.893.288
 Non artigiane non cassa integr. 792 2.569 933.238
 Non artigiane cassa integr. 14 561 219.716
Altre 178 1757 612922
TOTALE 3.531 10.177 3.659.164

*elaborazione dati Regione Piemonte Osservatorio Mercato del Lavoro al mese di novembre 2016

 

Come accade da molto tempo, il settore artigianato è, come si dice, “l’ultima ruota del carro” per i vari governi succedutesi in passato ma mai come nell’ultimo settennio, pur contribuendo per l’11% al PIL. Tuttavia il settore opera come meglio può nella speranza che cambi il clima politico verso una vera libertà d’impresa.

Sugli sperperi in denaro della RAI, su immigrazione e Sanità pubblica.

Sempre e solo parole che mangiano parole, troppe e inutili come gli sperperi inverosimili e i costi spropositati in risorse e denaro pubblico della Rai TV nazionale (che tale non è) con spettacoli fantasmagorici e sciocchi, fatti per confondere i cittadini. Per i politici è indispensabile obliare gli abnormi errori perpetrati dai loro governi di sinistra per riempire spazio e tempo; confondere la gente con il calcio, le risate, le canzonette, i ridicoli film TV, i programmi boccaceschi, i quiz diseducativi, sciocchezze di ogni genere e per finire i canti delle sirene. In pochi anni il livello è sceso sotto zero; quasi mai all’ascolto la buona musica e il bel canto, come, ad esempio, ripresentare l’operetta, sconosciuta ai giovani. La televisione, oramai strumento di proprietà della sinistra, fa solo politica; una macchina mangiasoldi tutta da rifare. C’è da riflettere sull’ultima, pasticciata puntata della “PROF”, che nell’aula di una scuola, in modo neanche troppo sottinteso, la scolaresca rigorosamente multietnica, taccia italiani e piemontesi di razzismo, quando extracomunitari e africani li abbiamo ogni dove e molti di loro non sanno neppure perché sono qui.

Si sta iniziando a pagare lo scotto della colpevole sottovalutazione del problema immigrazione extracomunitaria a livello sanitario.

Un problema enorme per la disastrata sanità pubblica, oramai inerme di fronte di migliaia d’immigrati africani che entrano in Italia senza nessun controllo medico, mentre i nostri figli e nipoti sono costretti a digerire cocktail di vaccini vari, purtroppo resi necessari per premunirsi dalle infezioni.

Da un’intervista al Dott. Alfredo Guarino sul “Corriere del mezzogiorno” di Napoli del settembre 2017; l’argomento è la poca attenzione rivolta ai casi di malaria e tubercolosi.

Il fatto della bambina di 4 anni morta di malaria a Trento, ha scatenato preoccupazioni e paure per il contagio di questa pericolosa malattia creduta scomparsa.

Il dott. Guarino, specialista di malattie infettive nell’ospedale di Napoli, spiega che nella sua lunga carriera ha visto migliaia di bambini colpiti da queste malattie infettive, e che oramai dobbiamo fare l’abitudine ed essere preparati di fronte  a queste masse d’individui che arrivano da aree a rischio. Il problema è serio, per cui la situazione che si è rapidamente creata, va affrontata in modo radicale per evitare il contagio. Tuttavia il medico afferma che c’è un altro dato preoccupante: Ho visto più casi di tubercolosi negli ultimi due anni nel mio reparto, di quanti abbia registrato nei trent’anni precedenti; e spiega che in Francia tutti si vaccinano contro la tubercolosi; purtroppo in Italia la soluzione sarebbe bocciata in partenza. I pazienti affetti da queste malattie infettive sono da curare, aspetto molto difficile, in particolare per i bambini che vivono nei campi Rom, perché questi sono migranti senza una dimora stabile. E racconta la storia di un bambino Rom affetto da tubercolosi,  che il medico voleva curare e gli aveva chiesto dove abitasse per portare le medicine. Il bambino aveva dato un’indicazione approssimativa del campo, che poi il medico non era riuscito a trovare. In seguito aveva poi saputo che il ragazzino era morto.

L’immigrazione africana oramai ha altri interessi; si è trasformata nella nuova cultura economica post-industriale italiana; un affare probabilmente redditizio, molto pubblicizzato e sponsorizzato dalla TV nazionale mediante decine di sedicenti associazioni che chiedono continuamente denaro.

Del fenomeno migrazione s’interessano anche le più grandi banche d’affari del mondo.

 

Zero Hedge 22 agosto 2017

Un nuovo studio appena pubblicato da Goldman Sachs potrebbe adesso aggiungere ancora più benzina al fuoco: in esso si legge che, esattamente come denunciato da Roma, l’Italia è il paese meno adatto ad assorbire i migranti. Ciò si deduce sulla base di tre indici di integrazione: (1) integrazione economica; (2) integrazione sociale; e (3) efficacia delle politiche.

Non sarà una novità per i lettori abituali, ma la Goldman espone il problema in questi termini:

“I flussi migratori verso l’Europa sono in evoluzione, e i paesi non hanno tutti la stessa capacità di integrare i nuovi arrivati. I migranti che attraversano il Mediterraneo provengono in misura sempre maggiore dall’Africa sub-sahariana piuttosto che dalle zone di guerra del Medio Oriente. I paesi di destinazione sono sempre più l’Italia e la Spagna, mentre i flussi attraverso Grecia e Balcani occidentali verso la Germania si sono ridotti, soprattutto a seguito dell’accordo UE-Turchia e l’imposizione di controlli più stringenti alle frontiere.”

Su quest’aggrovigliata situazione una buona parte di responsabilità è da attribuire alla Cancelliera Dr. Angela Merkel per la sua esplicita, quanto improvvida dichiarazione fatta sul finire del 2015 alla TV tedesca; nel suo intervento si era espressa con queste parole: «…siamo ricchi, quindi possiamo accogliere questi emigranti…». E arrivarono a migliaia.

Non era ben chiaro se a essere ricchi, si riferiva alla Germania o all’Europa, comunque il governo italiano e la chiesa si erano lanciati subito a tutta velocità nell’accoglienza sfrenata senza minimamente curarsi della quantità da accogliere e sistemare e soprattutto chiedere, in qualche modo, un parere ai cittadini, anche in questo caso, scavalcati.

Il governo, in quest’affare, aveva intravisto delle convenienze politiche e non solo: sull’acquisizione di numerosi, facili voti e nel frattempo forti contributi europei da incassare sulle spalle di questa povera gente e guai all’Austria che voleva fermarli; subito Gentiloni si era unito alle minacce contro la stessa Austria. Circa un paio di mesi prima delle votazioni in Germania questi toni minacciosi della fanfara di governo italiana e del Papa si erano alquanto abbassati, riconoscendo utile un rallentamento e maggior rigore alle frontiere ma i madornali errori erano già stati fatti.

 

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Illegalità, menzogne, incapacità e autoritarismo fatte regole dal Governo, nell’arringa di chi? Un incantatore?


C’è un video che gira nel Web e ci mostra un intervento deciso e sanguigno di un generale dei carabinieri che racconta fatti a lui successi e attacca con veemenza i governi degli ultimi quattro anni più o meno tecnici ma molto politici, definendoli (con ragione) anticostituzionali e illegali sotto ogni punto di vista. Spiega con molta chiarezza e quasi arringa contro un parlamento abusivamente occupato da una pletora d’individui composta da voltagabbana, mestieranti, mercanti e traditori che agiscono in nome di un regime autoritario instaurato illegalmente, in disprezzo di ogni regola. Il generale denuncia (con ragione) l’immobilismo, le complicità e collusioni di tutto l’apparato dei dirigenti pubblici di vario grado con il partito di maggioranza e non solo.

Purtroppo, noi cittadini un po’ allocchi, la situazione la conosciamo fin troppo bene e la viviamo quotidianamente, sprecando parole, invettive e arrabbiature che si rivelano inutili contro un parlamento senza opposizione, che approva sempre tutto, facendo il solito “teatrino d’avanguardia”.

Tuttavia bisogna ammettere una diffusa indifferenza, resa, rassegnazione, immobilismo, rifiuto all’azione e appiattimento di buona parte dei cittadini che sembrano non essere italiani ma appartenenti ad un altro paese: il paese dei balocchi.

In conclusione nasce un dubbio; quest’uomo, nel suo ruolo di generale, inserito nei quadri militari, quindi importante uomo di potere, come ha dato seguito alle tante, furenti parole? Perché? E dopo le parole, con quali fatti concreti?

O anche costui fa il suo lavoro di cerimoniere incantatore che sa elargire bene e in abbondanza solo chiacchiere? Forse c’è qualcosa che ci sfugge.

Carlo Ellena

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Articolo apparso sull’album “TOPOLINO” dell’11 novembre 1979, pag. 157.

Sfogliare i vecchi album “TOPOLINO”della collezione di mia moglie, è un’operazione che affronto sempre con piacere e molta curiosità; sono una vera miniera di notizie talvolta strabilianti. Questa, che la mia attenta consorte ha trovato, è veramente stucchevole e se vista oggi, dopo ben 38 anni, ci mostra, dietro l’apparente semplicità dell’informazione, un paese che si è pietrificato già negli anni ‘70. Mi spiego meglio.
Tanto per essere chiari, reputo una vera fortuna che il ponte non sia stato costruito (a totale dispiacere di Berlusconi), tuttavia mettendo in conto che la fase di studio era iniziata nel lontano 1959; una montagna di denaro per un pugno di polvere. Sui motivi e il perché credo sia meglio non approfondire, non solo sullo sperpero di denaro pubblico ma anche su fatti e misfatti di dubbia trasparenza, comunque il fatto si rivela un pretesto più che sufficiente per osservare con occhio critico i soliti disastri italiani di varia natura che oggi si ripetono periodicamente, non come, ma molto peggio di quarant’anni fa.
Ponti e cavalcavia autostradali crollati, incendi dolosi in Sicilia, che ha ben 9 (nove) zone a rischio come a Napoli, sul Vesuvio. Gli incendiari, pur se colti sul fatto, condannati e incarcerati; dopo qualche mese, a volte anche solo per pochi giorni, per una strana magia ritornano in libertà. Una giustizia invero bizzarra, nevvero?
La mappa degli incendi in Italia conta circa 20 aree in pericolo costante e ancora; disastri ambientali e geologici un po’ in tutta Italia, dovuti all’assenza di controlli e manutenzione; abusi immobiliari vergognosamente impuniti sulle coste più belle del sud-Italia, a Matrice si vive ancora tra le macerie, le quali ricordano ai cittadini le promesse mancate dello Stato; la sanità al collasso, giustizia inesistente, la scuola pubblica trasformata in contenitore d’impieghi politici, dove si evidenzia la carenza d’insegnamento per l’assenza di programmi almeno decenti o a livello europeo.
Una vera e propria “dis-istruzione”, pianificata e caparbiamente voluta attraverso una perfetta organizzazione che implementava e implementa tuttora anche il mondo del lavoro in generale. Sindacalizzazione dei cittadini-lavoratori e attraverso formule arcaiche del partito comunista italiano, l’estensione massiccia della cultura del diritto; ovvero diritto alla scuola, con meno studio, diritto al lavoro, allo sciopero (circa cinquemila ore perse nel 2016) alle ferie, alla casa e quant’altro. Questa sorta di sotto-politica di basso livello del ”tutto facile” ha inculcato in molti giovani l’idea che il lavoro sia una seccatura solo in parte necessaria, un’idea che può funzionare sinché sono in vita i “finanziatori”, ovvero, genitori e nonni.
Con la presa di potere capillare dell’elefantiaco apparato pubblico, dell’informazione (La RAI) e naturalmente dell’ISTAT che gonfia a sproposito i vari dati e percentuali, il paese può dirsi paralizzato già dai primi anni ’80. Un convinto demagogo comunista quale Corradino Mineo, parlando di lavoro in un telegiornale di qualche tempo fa, commentava convinto la consolidata vittoria della nuova Italia improduttiva con la folgorante frase che suonava all’incirca così;“…oramai siamo in piena era post-industriale…”, tuttavia senza spiegare che forma di lavoro dare, nella nuova era x, ai milioni di disoccupati creati dalla sparizione delle “maledette” industrie passate di moda, come se fossero un tipo di pettinatura o un paio di pantaloni.
Ѐ importante precisare che i comunisti italiani e la chiesa hanno sempre lavorato bene insieme (da questo connubio è nato il catto-comunismo, si veda l’attuale pontefice, prodigo a spargere benedizioni e lanciare anatemi ma nel suo reame non entrano extracomunitari).
I Patti Lateranensi del 1929 con la nascita dello Stato della Città del Vaticano, erano stati in qualche modo accettati anche da una buona parte dell’antifascismo.
Già nell’agosto del 1938 c’era stato un incontro in Svizzera tra un monsignore di Curia e due esponenti del Partito Comunista in esilio; costoro rassicurarono il monsignore che non avrebbero messo in discussione il trattato ma solo il Concordato. È evidente una fattiva collaborazione di ben lunga data.
Tutto questo mette in luce, se ancora c’era bisogno, un fattore inequivocabile; il comunismo è un cancro per l’umanità e dove governa genera soltanto povertà e ottuso stratalismo improntato all’inefficienza e al clientelismo. Gli italiani e in particolare i piemontesi, dovrebbero metterlo in conto.
Il potere d’acquisto della Lira era aggiornato dall’ISTAT, che funzionava e rendeva visibili i coefficienti di rivalutazione. Con l’Euro (una vera e propria rapina per le tasche degli italiani) rimane un calcolo empirico, ce ne rendiamo conto nella spesa giornaliera delle derrate alimentari, l’unico sicuro riferimento poiché costantemente soggette a ritocchi sempre al rialzo. Un aspetto molto negativo per l’economia delle normali famiglie ma che al ciarpame politico che ci governa neppure passa per la testa.
Per circa sessant’anni le parcelle di libertà concessa agli italiani dai vecchi governi formati dai partiti tradizionali, hanno permesso alle famiglie un discreto benessere, frutto di duro lavoro e pesanti sacrifici per risparmiare qualche soldo. Oggi queste “riserve” si assottigliano, talvolta sono ridotte all’osso, tuttavia si rivelano indispensabili per figli e nipoti, in buona misura disoccupati e non avvezzi a risolvere i problemi che si trovano ad affrontare; con quale risultato? Questi giovani se ne vanno all’estero e non solo in Europa. Una perdita incalcolabile, di sicuro non rimpiazzata da extracomunitari o altri immigrati senza arte né parte e che sono da mantenere a spese dei cittadini.
La cecità, arroganza e totale assenza di diplomazia del segretario comunista signor Renzi e del suo compare signor Gentiloni, supportati dalla loro variopinta maggioranza composta di traditori, partitini voltagabbana e dal vecchio presidente della Repubblica Napolitano, che è il vero burattinaio, non ha limiti. Costui, è il degno compagno che nei suoi due mandati ha comunistizzato il paese, collaborando attivamente a impoverirlo attraverso una statalizzazione del lavoro, sterilizzandolo e burocratizzando all’esasperazione le pratiche all’iniziativa privata imprenditoriale e artigiana, che ha come logica conseguenza la fuga in massa delle imprese. È un problema già illustrato in precedenti articoli.
L’UE dei burocrati, non dei popoli, oramai allo sbando, sta marciando sull’orlo del baratro; “l’affaire extracomunitari”, trattato come faccenda di pertinenza delle sole oligarchie politiche e dai potentati economici non solo europei e in disprezzo di ogni norma democratica, hanno tenuto all’oscuro i cittadini dell’Unione sul sistema usato per dare libera circolazione ai migranti all’interno dell’UE. Un metodo truffaldino simile a quello adottato per il referendum sulla Costituzione Europea, già respinto nel 2005 dai francesi e olandesi e ripresentato nel giugno del 2008 mascherato come Trattato di Lisbona-alleggerito e respinto poi dall’Irlanda (unico paese ad aver previsto una consultazione popolare).
Al Consiglio Europeo del 2008 si era trovato, con vari maneggi, un accordo e l’1 dicembre 2009 entrava in vigore il Trattato di Lisbona cancellando il risultato del referendum. Questo nuovo Trattato modificava completamente quello sull’Unione Europea e il Trattato che istituiva la Comunità Europea. I cittadini europei e il loro voto democratico era stato completamente ignorato e superato.
La UE e in particolare i governi italiani che si sono succeduti, non importa di quale partito politico, hanno sottovalutato culturalmente e politicamente la questione extracomunitari, gli africani in particolare. L’enorme problema è stato affrontato male, in modo troppo superficiale, sottovalutando l’impatto con culture molto diverse e con almeno vent’anni di ritardo. Quale che sia la conclusione, presto o tardi saranno i cittadini a decidere democraticamente la sorte delle ottuse e arroganti oligarchie politico-economiche; è il naturale ciclo storico di rivalsa dei popoli inascoltati in paesi a sistema democratico.
Sulla vicenda del libero passaggio alle frontiere di extracomunitari o migranti, pesa un complicato groviglio di Accordi, Trattati, Convenzioni, tutti realizzati all’oscuro dei cittadini europei che protestando con ragione per l’improvvisa invasione a casa loro di questa povera gente, sono tacciati in modo scandaloso di populismo e xenofobia.
Le oligarchie e i magnati oramai padroni dell’Europa si sono trasformati in mercanti umani nel nuovo schiavismo di marchio europeo, pontificando la loro abbietta solidarietà quale opera benefica, supportati inoltre da un pontefice catto-comunista; un povero prete non in grado di svolgere a dovere la sua importante funzione politico-religiosa.
Il presidente italiano (o chi per lui) dell’INPS ha dichiarato apertamente al telegiornale che gli extracomunitari “sono indispensabili per le casse dell’INPS”, anche in questo caso senza spiegare il perché. Comunque emerge abbastanza chiaramente da parte del governo e dei suoi affiliati una sorta di disprezzo per gli italiani sempre menzionati nei loro discorsi; in realtà tutti gli sforzi sono mirati “all’affare extracomunitari”; un impegno preoccupante e pericoloso e gli italiani tutti devono stare molto attenti al prosieguo degli avvenimenti; stiamo perdendo la nostra cultura e la nostra storia, ed è quello che le oligarchie vogliono a tutti i costi. Ci stanno vendendo.
Molti anni fa, in un convegno sulla Letteratura della Negritudine, avevo conosciuto il prof. Lunanga; uno scrittore zairese molto attento ai problemi della nuova letteratura negroafricana. Egli mi aveva mostrato un interessante articolo da lui scritto nel 1987 sulla rivista SEGNI & FORME dal titolo ”Sulla Negritudine dopo una generazione letteraria”.
Scrive Lunanga: La Negritudine è stata e continua ad essere la ricerca dell’identità politico-socio-culturale dell’uomo di colore. La sua quintessenza straripa di così tanti valori da ricordare di continuo a ogni popolo la giusta lotta per i suoi diritti irrinunciabili. Questo problema non nasce da noi. Non è un’emanazione o un’invenzione del popolo nero. È invece un diritto universale uguale in tutto e per tutto a quello che ispirò la carta delle Nazioni Unite per il riconoscimento dei diritti dell’uomo. In questo contesto e fino a questo punto gli sforzi della Negritudine si sono rivelati lodevoli. Ma il nostro piccolo contributo, che si somma alle critiche già esistenti, studia in particolare il comportamento dei “padri” della Negritudine, lo mette a confronto con quello dei loro fratelli “non occidentali” e, per finire, riporta le conseguenze sorte sul piano letterario. “ Il negro sottoprodotto umano incosciente e tarato”, questa l’esclamazione del famoso poeta W.E.B. Du Bois in Le anime nere, a denuncia dello scandalo americano d’inizio secolo. E cosa dire di una crisi tra uomini in generale, uomini e basta, senza uno sguardo alla loro pelle? Leopold Sèdar Senghor e i suoi seguaci hanno combattuto questa battaglia a Parigi. Denunciare la situazione di oppressione dei neri, mendicanti, deboli, non umani e prendere coscienza del “proprio io” sono tutti atteggiamenti di sfida. Preso atto dell’esigenza in “questa” epoca di uscire allo scoperto ad ogni costo, i poeti di colore anno iniziato a condannare apertamente il comportamento ambiguo dell’occidente, la sua politica civilizzatrice, il suo piano di omogeneizzazione culturale, i pregiudizi per tanto tempo spacciati, in una sola parola; le ingiustizie legalizzate. Questo linguaggio è giunto a un punto tale da convincere il giovane poeta intellettuale nero a recuperare la sua uguaglianza col bianco. Tesi questa, senza dubbio condividibile, constatando chiaramente, ancora oggi, alla fine del secondo millenio, quanto l’uomo bianco si guardi bene dal considerare il nero pari a lui. Ora la nostra delusione è profonda perché, nonostante le grida lancinanti di ieri e più che mai di oggi, lo sfruttamento disumano guadagna ancora terreno.
La letteratura africana è sempre stata una letteratura impegnata. Una letteratura di battaglia, di un conflitto che chiede un sistema di abolizione di cose, la rivoluzione radicale, l’emancipazione. Senghor ha ben presentato il ritratto infantile ma severo del negro che deve tutti i giorni imparare dai suoi maestri. “Noi siamo- così diceva- dei grandi bambini”. E ci domandiamo ora se abbiamo forse finito di apprendere da questi maestri e se questi continueranno in eterno a considerarci dei “bambini”. Chi dunque ci darà questa risposta e quando? La Negritudine non può essere separata neppure dai fattori economici, politici e sociali. Cosi come forte è stata l’oppressione, dura oppressione, così non potrà che essere efficace l’azione. E queste voci non hanno mancato di attirare l’attenzione di qualche europeo. Sartre Frobenius ed altri, ad esempio, ne sono stati colpiti.
Il loro contributo non è certo passato inosservato. Molti esperti europei hanno così cercato di convincere l’opinione pubblica che il modello europeo, o comunque occidentale, non è l’unica via d’uscita.
Lo stesso comunismo ha avuto l’opportunità d’attirarsi l’attenzione e la simpatia dei popoli già colonizzati. Ci fu allora un’esplosione letteraria senza precedenti. Il popolo negro sciolse la sua lingua e parlò dicendo tutto ciò che aveva chiuso nel cuore. Le diramazioni raggiunsero tutti i filoni letterari; dalla poesia al romanzo, dal romanzo al teatro, dal teatro al saggio critico e via di seguito. Allora certi bianchi erano curiosi di sapere come si poteva esprimere una “scimmia”; la”scimmia così ne approfittò.
I padri della Negritudine non erano che un piccolo gruppo di giovani studenti emigrati. Con le radici del movimento potevano resistere, essendo i suoi germogli solo formati da una minoranza con un futuro politico. Finiti gli studi questi pionieri si sarebbero inevitabilmente seduti sui posti già occupati dai colonizzatori. E che ne sarebbe stato della realtà africana, forse che loro la conoscevano, forse che avrebbero saputo gestire il futuro dei loro popoli? Fu allora che nacque il nero dramma del continente nero, dramma cupo, dramma che ha la sua origine quando questi intellettuali, oramai non più africani prendono in mano le sorti dei loro paesi. E l’astuto colonizzatore da parte sua affida loro il potere volentieri, perché vede in loro traumi futuri ed incapacità ben note. Ed essi diventano delle pedine, dei burattini, delle semplici comparse.
Ci si accorse di sbagliare nel credere che l’elite era “ciò che vi è di meglio nella società africana”. Fu così che questi furono chiamati “maestri evoluti” e gli si attribuirono onorificenze quando, al contrario, erano loro i neri ignoranti, “i buoni stupidi”. Gli uomini dalla “pelle nera e la maschera bianca” di Fanon. Una cosa è certa; questi intellettuali “parigini” sarebbero vissuti meglio a Parigi che in un qualsiasi villaggio africano. L’esempio di Senghor è illuminante. Questo nostro saccente intellettuale infatti, è si africano ma certo solo di pelle e non di cultura. Così, da un lato, è respinto da chi l’ha formato e dall’altro, da chi lo deve formare. Doppiamente sradicato, questo intellettuale malato di corruzione è diventato talmente ibrido e spersonalizzato da invocare a gran voce una personalità. Ed è perciò che chi è privo d’identità, chi s’è perso e non sa ritrovarsi, chi non si conosce non potrà mai rivendicare qualcosa di valido. In definitiva, osserviamo ora, infatti, che il negro sfrutta il negro.
Questi prodotti europei hanno sempre rappresentato un grave pericolo per la promozione culturale dell’Africa. E come se non bastasse, si sentono pure investiti da debiti morali.
La letteratura africana è chiamata a un’etica imparziale che le assicuri un attivo sviluppo nel tempo e nello spazio. Bisogna così combattere non la razza bianca ma il gioco meschino europeo sullo sviluppo del Terzo Mondo del quale sono efficaci complici certe conoscenze africane. Alcune fra queste sono ancora quegli “intellettuali parigini” che parlavano con una tale povertà di sentimenti, solo per i vantaggi materiali cui aspiravano.
Finché si continuerà a sperare su un’elite prodotta in Europa, le sorti del continente nero saranno sempre più drammatiche. Un africano, preoccupato del suo sviluppo totale deve avere fiducia in se stesso. È dimostrato in modo chiaro e netto che non sono gli africani a essere venuti a sviluppare l’Europa; no di certo. Così non saranno neppure gli stranieri che verranno a risvegliare un’Africa sonnolenta, pigra e traditrice.
Riportiamo le nostre speranze nell’attuale fiorente generazione letteraria del Terzo Mondo.
Ma essa deve per forza parlare, se non vuole sparire, come ci ammonisce bene il congolese Sony Labou Tansi.
Una chiara, lucida analisi di Lunanga che precorre i tempi. Ci troviamo con l’UE confusa, divisa e un’Italia indebitata, con governi incapaci e senza idee, tanto meno sulla politica estera, che si accinge (da sola?) a fare che cosa per una nostra ex colonia quale la Libia? È un ricorso storico?
C.E.

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Orbàn in scia a Trump: lancia la sfida Soros e le sue Ong per di diritti civili

Dal partito di maggioranza ungherese, Fidesz, sono partiti attacchi al miliardario di origine ebraica e al ruolo delle Organizzazioni non governative. Poi la marcia indietro da parte delle alte cariche del governo, ma resta la volontà di introdurre regole più severe “per capire chi vuole influenzarci dall’estero”

di ANDREA TARQUINI

15 gennaio 2017

Il miliardario George Soros BUDAPEST – Che cosa sta succedendo nei rapporti tra l’Ungheria e il miliardario Gyorgy Soros, di origini ungheresi ebraiche? Janos Lazar, il ministro in carica come alter ego e gestore personale dell’attività del popolare premier magiaro Viktor Orbàn, fa marcia indietro e smentisce la validità di durissime dichiarazioni contro Soros esternate da alti esponenti della Fidesz, il partito di maggioranza. Ma il conflitto è aperto. Sovranità nazionale contro presunte minacce del capitale cosmopolita, definizione che nella comunità ebraica mondiale, anche a livello di calcoli di affari e finanza, evoca memorie legate al 1933-1945. E non si sa né come finirà né quali ripercussioni avrà sui mercati.

Andiamo nell’ordine. Prima Szilard Németh, vicepresidente della Fidesz (appunto il partito di governo, dominato da Orbàn leader carismatico incontrastato, e partito membro del Partito popolare europeo) ha detto che Budapest vuole “usare tutti i mezzi legali per spazzare via tutte le ONG fondate da Soros o a lui legate, che servono il capitalismo globale e sostengono la ‘political correctness’ sopra le teste dei governi nazionali”. Contemporaneamente, ONG, oppositori e voci critiche a Budapest avvertivano: “Il premier Orbàn vuol cogliere l’occasione dell’insediamento di Donald Trump a nuovo presidente degli Stati Uniti d’America per una nuova stretta sui diritti civili e contro le ONG”.

Poi Janos Lazar ha gettato acqua sul fuoco. Ma solo in parte. Ha infatti dichiarato: “Non è vero che programmiamo di spazzare via le attività di Soros dal nostro paese, quelle dichiarazioni sono opinioni personali di chi le ha rese. Però il premier è deciso a introdurre regole più severe sulle attività delle organizzazioni non governative (ONG appunto) nel nostro paese, per sapere e capire, in nome dell’interesse e della sovranità nazionali, quali interessi quelle ONG servano: l’Ungheria ha diritto di sapere chi vuole influenzare la sua vita politica dall’estero”.

I legislatori ungheresi, quindi i parlamentari nell’enorme, maestoso Orszaghàz (Parlamento nazionale) in riva al Danubio dove la Fidesz e i suoi alleati minori hanno la maggioranza e forte è la rappresentanza di Jobbik, la destra radicale, dovrebbero presto preparare leggi per tradurre in pratica l’intenzione annunciata di restringere gli spazi delle ONG approfittando dell’èra Trump, riferisce la Bloomberg citando l’agenda dei lavori del Parlamento magiaro. Sempre secondo la stessa fonte, l’accesso al potere di Trump, a detta della Fidesz, offre una chance in questo senso.

La storia è singolare e ha radici lontane. Gyorgy Soros, da decenni, da ben prima della caduta dell'”Impero del Male” sovietico e del Muro di Berlino, ha sostenuto di tasca sua, per scelta, i movimenti per i diritti civili nella sua Ungheria natale e nel resto dell’Europa occupata. Da lui personalmente Orbàn, quando era giovane e coraggioso dissidente liberal e globalista perseguitato dalla dittatura comunista, e dopo, ricevette finanziamenti-donazione come borsa di studio per apprendere scienze politiche e arte di governo al meglio in prestigiose università anglosassoni.

Mostrare o negare Gratitudine e Memoria è scelta personale. Per Trump come per Orbàn, che è stato il primo capo dell’esecutivo di un paese dell’Unione europea a congratularsi in corsa con il presidente eletto usa per la sua vittoria. Il premier ungherese, che da anni ignorava le critiche della Ue e dell’amministrazione Obama per una presunta violazione dei valori costitutivi del mondo libero e per le sue dichiarate intenzioni di costruire un sistema di “democrazia illiberale”, citando egli stesso come esempi da seguire Russia, Cina e Turchia, aveva dichiarato al sito 888.hu nel dicembre scorso che Soros sarebbe stato “spremuto via da ogni paese europeo” e che ogni ONG sarebbe stata esaminata a fondo per vedere quali interessi rappresenta. “L’anno prossimo (il 2017 appena iniziato, ndr) sarà il momento per spremere via Soros e i poteri che egli simbolizza”, avrebbe detto il premier secondo la fonte citata. Poi appunto è venuto lo statement del numero due del suo partito, Szilard Németh, secondo il sito HirTv citato da Reuters: “Soros vuole introdurre in Ungheria il grande capitale globale e la political correctness con esso collegata…queste organizzazioni devono essere respinte con ogni mezzo disponibile, e penso che debbano essere spazzate via, e adesso credo che le condizioni internazionali siano quelle giuste in questo senso con l’elezione del nuovo presidente americano”. Poi Janos Lazar ha frenato e minimizzato. I problemi e i dissapori restano.

Le esternazioni dei governanti di maggioranza ungheresi, riconosciamolo, sono precise e puntuali. Anche Trump in persona ha accusato Soros di essere parte “di una struttura globale di potere responsabile di decisioni economiche che hanno derubato la nostra classe operaia, esurpato il nostro paese della sua ricchezza e messo tutti questi soldi nelle tasche di poche grandi corporations ed entità politiche”. E nella propaganda online Trump ha mostrato Soros insieme alla presidente della Federal Reserve, Janet Yellen, e del Ceo di Goldman Sachs group, Lloyd Blankfein. Tutti e tre ebrei. La ‘Anti-Defamation league’ ha replicato che questi sono metodi usati da decenni dagli antisemiti.
Odore di antisemitismo appena celato come strumento di creazione del consenso: vecchia storia in Europa, e gli ambienti delle comunità ebraiche temono che con l’elezione di Trump il metodo riacquisti ‘appeal’ insieme ad altre tendenze. Del resto, in questo senso l’Ungheria a rileggere la sua Storia non è che possa proprio vantare la migliore patente d’innocenza. Certo, il governo Orbàn ha sempre condannato e combattuto con forza ogni forma di antisemitismo, e si sforza di mantenere rapporti corretti con l’àncora importante e numerosa comunità ebraica ungherese. D’altra parte, è inevitabile che un certo linguaggio sul “capitalismo globale” e “antinazionale” quasi evochi discorsi e scritti di Joseph Goebbels. Parallelamente, secondo gli osservatori, è inevitabile osservare la riabilitazione a tappe (in corso in Ungheria) dell’èra del dittatore ammiraglio e reggente Miklòs Horthy. Ammiraglio d’un paese senza mare, reggente d’una monarchia distrutta. Miklòs Horthy, ex ammiraglio della marina asburgica, fu proclamato reggente dell’Ungheria divenuta nazione dopo la fine dell’impero austroungarico quando nel 1919 da capo militare e leader delle forze ‘bianche’ vinse con gli aiuti militari delle potenze occidentali la guerra civile contro i ‘rossi’ della dittatoriale ‘Repubblica sovietica’ comunista ungherese guidata nel dopo-prima guerra mondiale da Béla Kun.

Horthy entrò vittorioso a Budapest col suo cavallo bianco, ‘ora dovrò purtroppo governare qui a Judapest’, disse secondo citazioni dei suoi attendenti di campo presenti in libri di storia. Nel 1920 introdusse le prime leggi razziali contro gli ebrei, quando Mussolini e Hitler erano ancora ‘precari’. Durante la seconda guerra mondiale, l’Ungheria da lui guidata fu il più importante alleato militare del Terzo Reich nell’Operazione Barbarossa (1941, attacco tedesco alla Russia sovietica cui Winston Churchill rispose in corsa inondando l’Urss di forniture di aerei Spitfire, Hurricane e altri del miglior livello d’eccellenza d’allora, dispositivi elettronici di spionaggio, altre modernissime armi britanniche e battaglioni di consiglieri militari e d’intelligence e così salvandola), nella repressione antipartigiana in Jugoslavia e Slovacchia, poi nell’Olocausto. Oggi nei libri di testo scolastici ungheresi l’unico periodo nero della nazione dalla sua indipendenza sono i decenni sotto la dittatura comunista impostale da Stalin dopo il 1945, non l’èra Horthy. Messaggio apparente: Horthy, via, aveva lati buoni da riconsiderare, Soros è il cattivo cosmopolita. Dimmi chi citi decenni dopo, e ti dirò chi sei. Così l’Era Trump comincia nella splendida Budapest, parte del cuore d’Europa.

Giovedì 4 maggio 2017

Ma chi è George Soros?

È un miliardario e filantropo che per la sua attività politica è diventato lo spauracchio di tutti i complottisti di destra (e non solo)

(Wiktor Dabkowski/picture-alliance/dpa/AP Images)

George Soros è uno dei trenta uomini più ricchi del mondo, un filantropo che ha donato centinaia di milioni di dollari a Ong che si occupano di diritti umani e che si è spesso impegnato in politica, finanziando il Partito Democratico statunitense e i suoi candidati alla presidenza, come fanno molti altri miliardari americani. La risposta alla domanda nel titolo potrebbe esaurirsi qui, se non fosse che  Soros è anche un’altra cosa: la “bestia nera” dei complottisti di tutto il mondo.

Uno sguardo rapido alla sezione “Conspiracy” del sito Reddit, dove solo negli ultimi sei mesi sono state aperte 800 discussioni su Soros, restituisce un’idea abbastanza chiara dell’opinione che molti hanno del miliardario americano: «È un burattino miliardario della famiglia Rothschild che destabilizza intere nazioni finanziando programmi destinati alla “giustizia sociale” e corrompendo politici»; «È un tizio che vuole distruggere tutto ciò che c’è di bello nel mondo e non credo di aver mai sentito una buona ragione sul perché voglia farlo. Vorrei che questa fosse un’iperbole»; «Se non vado errato è il cugino del diavolo. In sostanza, finanzia ogni causa spregevole a cui puoi pensare e lo fa in nome del denaro e dell’influenza globale».

Soros è particolarmente detestato dai conservatori statunitensi per via delle sue idee progressiste, ma negli ultimi anni la sua persona ha iniziato a diventare famigerata anche tra gli esponenti della destra radicale italiana. Soros – che è ebreo, particolare citato sgradevolmente spesso nelle varie teorie del complotto – di recente è accusato soprattutto di essere la mente di un bizzarro piano che sembra uscito da un romanzo di fantascienza distopica: sostituire la popolazione italiana con immigrati da utilizzare come operai a basso costo. Questa strampalata cospirazione è stata sdoganata anche dai politici e dai media mainstream. Matteo Salvini, segretario della Lega Nord, ha parlato di questo complotto più volte, l’ultima proprio questa settimana: «Sono sempre più convinto che sia in corso un chiaro tentativo di sostituzione etnica di popoli con altri popoli: è semplicemente un’operazione economica e commerciale finanziata da gente come Soros. Per quanto mi riguarda metterei fuorilegge tutte le istituzioni finanziate anche con un solo euro da gente come Soros».

Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana noto per difendere spesso Vladimir Putin nei suoi articoli, accusa Soros di disegni occulti e recentemente ha scritto che vuole rovesciare la presidenza di Donald Trump. In televisione queste idee sono state rese popolari da personaggi come “Nessuno”, uno dei partecipanti fissi dello show “La Gabbia”, i cui testi sono scritti dal giornalista di Libero Francesco Borgonovo.

Quando il 3 maggio Soros ha incontrato il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri ha definito il miliardario americano un “cancro”.

La ragione per cui Soros è diventato il nemico di conservatori ed estremisti di destra di tutto il mondo ha probabilmente a che fare con le sue radici e la sua storia personale. Soros nacque nel 1930 da una famiglia di religione ebraica in Ungheria e sopravvisse – quasi per miracolo – alle feroci persecuzioni avvenute nel suo paese durante la Seconda guerra mondiale, tra le peggiori dopo quelle subite dalla Polonia. Nel 1947 si trasferì con la famiglia nel Regno Unito, dove si laureò alla London School of Economics, conseguendo anche un master in filosofia (Soros dice che le teorie di Karl Popper hanno molto influenzato il suo modo di investire). Dopo la laurea lavorò in numerose banche d’affari finché nel 1969 non decise di mettersi in proprio, creando un proprio fondo di investimento.

Soros iniziò a emergere tra le migliaia di gestori di fondi di tutto il mondo nel 1992, quando durante la crisi della sterlina, il “mercoledì nero”, scommise contro la moneta britannica e vendette allo scoperto dieci miliardi di dollari di sterline. L’operazione di Soros contribuì in qualche misura al crollo della sterlina di quei giorni e gli fruttò un miliardo di dollari. Nello stesso periodo, Soros partecipò alla speculazione contro un’altra moneta: la lira italiana. Nel giro di pochi giorni, lira e sterlina uscirono dal Sistema monetario europeo (SME), un sistema che serviva ad ancorare le valute europee a dei cambi fissi le une con le altre. Durante la crisi, la lira venne svalutata di circa il 30 per cento. Soros venne criticato per essersi approfittato della situazione di difficoltà di Italia e Regno Unito. Soros ha risposto alle critiche dicendo di aver agito in base a informazioni a disposizione di chiunque e di essere stato soltanto uno dei numerosi finanzieri che all’epoca scommisero contro le valute europee. Queste non sono le uniche attività finanziarie controverse compiute da Soros. Nel 2006 fu condannato da un tribunale francese per un caso di insider trading (aveva utilizzato informazioni in suo possesso per trarne un indebito vantaggio). Parte delle critiche che riceve, deriva dalla sua attività di investimento, ma in questo Soros non è diverso da altre migliaia di investitori: quello che probabilmente lo distingue dagli altri è il fatto che si è spesso impegnato in politica.

A partire dalla fine degli anni Settanta, Soros ha speso centinaia di milioni di dollari per finanziare i movimenti democratici nei paesi del blocco comunista, come il sindacato polacco Solidarnosc. Nel 1984 fondò un’università in Ungheria che divenne uno dei centri di raccolta per l’opposizione democratica al regime comunista. Tra i giovani leader che furono aiutati da Soros c’era anche l’attuale primo ministro Victor Orbàn, che oggi è passato a posizioni di destra radicale e ha minacciato di chiudere l’università finanziata da Soros.

Tramite la sua Open Societies Foundation e il finanziamento di altre centinaia di organizzazioni, Soros ha esteso la sua attività filantropica e umanitaria in tutto il mondo. Molte delle Ong che ricevono i suoi finanziamenti si battono per valori progressisti, come diritti delle minoranze, delle donne e degli omosessuali; oppure a favore di una stampa libera e contro regimi corrotti. In alcuni casi le organizzazioni finanziate da Soros sono riuscite ad avere un impatto importante sulla storia dei loro paesi. Il caso più eclatante è probabilmente quello della Georgia, dove le ong e le associazioni locali della società civile, alcune sostenute proprio da Soros, hanno guidato la rivoluzione pacifica che ha portato alla fine della presidenza del leader sovietico Eduard Shevardnadze, che era al potere dal 1972. Un’associazione fondata da Soros è presente anche in Ucraina e fu creata prima della caduta dell’Unione Sovietica. All’epoca della rivoluzione del 2014, Soros si schierò apertamente con i leader europei, a favore delle proteste popolari e contro l’allora presidente filo-russo. Oggi le associazioni fondate o finanziate da Soros sono proibite in diversi paesi con regimi più o meno autoritari: dalla Russia alla Bielorussia, passando per Turkmenistan e Kazakistan. Dal 1979 a oggi Soros ha speso circa otto miliardi di dollari nelle sue iniziative civiche e politiche.

Per i critici complottisti, il suo obiettivo non è filantropico. L’interesse di Soros non sarebbe creare società pluralistiche anche nei paesi dove vigono regimi o culture repressive. Il suo vero scopo sarebbe imporre una visione monolitica del mondo che loro vedono come dannosa, fatta di economie capitalistiche e liberi scambi commerciali, libertà di costume e orientamento sessuale. Soros sarebbe un agente della “tirannia del politicamente corretto” e i suoi tentativi di combattere discriminazioni e repressione sarebbero in realtà una scusa per limitare la libertà di cittadini a favore di un “nuovo ordine mondiale”.

Il sito Vocativ ha raccontato in un recente articolo come si è creata questa immagine di Soros. Il passo più importante fu probabilmente una puntata del talk show del presentatore conservatore americano Bill O’Reilly, nell’aprile del 2007. Nel corso della puntata O’Reilly descrisse Soros come un pericoloso estremista di sinistra radicale che aveva l’obiettivo «unificare le politiche estere di tutti i paesi, legalizzare le droghe e l’eutanasia». I mezzi con cui Soros mirava a raggiungere questi obiettivi, disse O’Reilly, erano una complicata rete di fondazioni e ong. Tre anni dopo un altro presentatore conservatore, Glenn Beck, dedicò due puntate del suo show a rivelare il “piano ombra” di Soros, con cui il miliardario puntava a creare un unico governo mondiale per poi mettersene a capo.

Oggi, con l’elezione di Donald Trump, le teorie del complotto nei confronti di Soros hanno raggiunto l’apice della loro popolarità. Secondo personaggi ultracomplottisti come Alex Jones, capo del sito InfoWars, al momento è in corso uno scontro tra l’americanità genuina rappresentata da Donald Trump e un’oscura cabala di miliardari internazionali capeggiati da Soros e intenzionati a prendere il potere negli Stati Uniti. Il Daily Beast ha calcolato che, secondo InfoWars, soltanto nel 2017 Soros è già riuscito a portare sotto il suo controllo 183 organizzazioni e 12 individui diversi. Soros è accusato di condurre la sua campagna con mezzi scorretti, per esempio pagando le migliaia di manifestanti che hanno protestato negli ultimi mesi contro Trump. Come quasi tutte le altre accuse strampalate ricevute da Soros, anche questa si è rivelata falsa.

 

SU COSA GEORGE SOROS PUNTER À IN ITALIA

Informazione Consapevole maggio 04, 2017

L’articolo di Andrea Montanari, giornalista di Mf/Milano Finanza

Nonostante tutto l’Italia è considerato un mercato potenzialmente interessante per gli investimenti internazionali. Lo dimostra non solo il successo dell’aumento di capitale da 13 miliardi di Unicredit (la più rilevante ricapitalizzazione mai fatta nel Paese), ma anche l’interesse che da qualche mese sta mostrando uno dei guru della finanza americana. George Soros, secondo quanto appreso da fonti finanziarie e politiche qualificate da MF-Milano Finanza, ha messo nel mirino il mercato nazionale.

Il miliardario di origini ungheresi, 29° uomo più ricco al mondo per Forbes con un patrimonio di 25,2 miliardi di dollari, ha chiesto allo staff del suo gruppo d’investimento, e in particolare a Shanin Vallée, uno studio approfondito sull’Italia, non solo dal punto di vista finanziario, economico e industriale ma anche politico. Lo scopo? Valutare eventuali investimenti, diretti o indiretti, a medio-lungo termine, sul mercato locale. Soros del resto non solo opera a titolo personale o con la propria struttura, ma è fondatore di Quantum Group of funds e, soprattutto, advisor di Blackrock, uno dei colossi dell’investimento made in Usa, particolarmente esposto sull’Italia, avendo partecipazioni per quasi 2 miliardi nel sistema bancario (vedere MF-Milano Finanza dello scorso 22 aprile), ma anche nelle società quotate sul listino principale, a partire da Eni, Enel, Generali, Telecom Italia, Mediaset e così via.

Ma come mai tutto questo interesse per l’Italia da parte di uno degli uomini che all’età di 87 anni è ancora tra i più attivi su scala globale? È ipotizzabile che siano diversi i fattori che hanno spinto Soros a voler studiare il mercato. Ovviamente una componente è quella di natura politica, vista l’instabilità degli ultimi anni (dal 2011 si sono susseguiti i governi Monti, Letta, Renzi e, ora, Gentiloni) e l’ipotesi di una tornata elettorale nel prossimo autunno è ancora tutta da definire e valutare. A ciò si sommano le condizioni economiche del Paese e il conflittuale rapporto con l’Unione europea sul tema del debito pubblico e del rispetto dei parametri. Senza trascurare il fatto che la vulnerabilità del sistema industriale nazionale ha permesso a tanti gruppi di portata globale di fare acquisizioni a prezzi a volte vantaggiosi.

Non va poi trascurato il tema dei crediti deteriorati (350 miliardi lordi), il cui ammontare è tra i più alti del Vecchio Continente, che sta attirando l’attenzione dei fondi speculativi e non solo di quelli di grandi dimensioni. Non per nulla, Soros è anche ricordato come lo speculatore che il 16 settembre del 1992 costrinse la Banca d’Inghilterra a svalutare la sterlina, guadagnando in un sol colpo 1,1 miliardi di dollari. Mosse che vennero ripetute sempre nello stesso periodo anche in Italia quando vendette le lire allo scoperto comprando dollari, obbligando Bankitalia ad attingere 48 miliardi di dollari dalle riserve per sostenere il cambio, portando a una svalutazione della moneta locale del 30% e alla conseguente estromissione della lira dal sistema monetario europeo.

Ovviamente, Soros non sta operando in prima persona in questa analisi del sistema-Paese. Ha dato l’incarico, come già accennato, a Shanin Vallée, dal maggio 2015 senior economist per il Soros Fund e in precedenza consigliere economico del ministero dell’Economia francese ma soprattutto, dal giugno del 2012, advisor economico dell’ex presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy. Vallée, che sta studiando per un Ph. D. all’Istituto europeo della London School of Economics, è stato anche ricercatore per Bruegel, il comitato di analisi delle politiche economiche nato a Bruxelles nel 2005 e presieduto all’inizio dall’ex premier italiano Mario Monti.

Il fidato consulente di Soros, basato a Roma, sarebbe sul punto di completare il suo articolato report sul mercato italiano dopo averne fatto uno sul sistema bancario (con focus su Unicredit, Mps e le banche venete) dopo aver avuto contatti diretti con parte del governo Gentiloni.

(Articolo pubblicato sul quotidiano Mf/Milano Finanza diretto da Pierluigi Magnaschi)

http://formiche.net/2017/05/03/george-soros-scruta-investire-italia/

Ecco su cosa George Soros punterà in Italia Reviewed by Informazione Consapevole

 

COME GEORGE SOROS, DA SOLO, HA CREATO LA CRISI EUROPEA DEI RIFUGIATI, E PERCHE’.

(Tyler Durden – Zero Hedge Jul 9 2016)

Di David Garland e Stephen McBride, Gallet/Galland Research

George Soros è di nuovo in gioco in  borsa. L’85 enne attivista, politico e filantropo ha conquistato i titoli di testa del post-Brexit, affermando che l’evento avrebbe scatenato una crisi nei mercati finanziari. Ma lui non ne è stato, neanche stavolta, colpito.

Era come sempre dalla parte giusta della barricata, vendendo allo scoperto azioni della preoccupata Deutsche Bank e scommentendo contro la S&P con una quota “put option” da 2,1 milioni sul SPDR S&P 500 ETF.
E ancor più interessante, di recente Soros ha ceduto una posizione di 264 milioni di  $ nella Barrick Gold (la più grande compagnia mineraria aurea ndt.), il cui valore di borsa è schizzato ad un più 14% nel post-Brexit. Oltre a questo affare, Soros ha venduto le sue quote in molte delle sue tradizionali proprietà.

George Soros aveva da poco annunciato che sarebbe di nuovo tornato in pista.

Ritiratosi prima nel 2000, l’unica altra volta in cui fece pubblicamente rientro nei mercati fu nel 2007, piazzando una serie di scommesse al ribasso sull’industria immobiliare USA; alla fine si portò così a casa un gruzzoletto di oltre 1 miliardo di $.

Sin dagli anni ’80, Soros si è attivamente dedicato ad un programma globalista; egli porta avanti tale progetto con la sua Open Society Foundation (OSF).

Che cos’è questo programma globalista, e da dove nasce?

Gli inizi oscuri

Il seme globalista fu impiantato nel giovane George da suo padre Tivadar, un avvocato ebreo che fu un forte promulgatore dell’esperanto. L’esperanto è una lingua creata nel 1887 da L.L.Zamenhof, un oculista polacco, allo scopo di “trascendere i confini nazionali” e “superare la naturale indifferenza dell’umanità”.

Tivadar insegnò l’esperanto al giovane George e lo obbligò a parlarlo in casa. Nel 1936, quando Hitler ospitava le olimpiadi a Berlino, Tivadar si fece cambiare il cognome da Schwarz in Soros, una parola che in esperanto significa “crescerò”, “mi innalzerò”.

George Soros, che nacque e crebbe a Budapest, Ungheria, beneficiò molto della decisione del padre.

Secondo quanto riportato, nel 1944 il quattordicenne George andò a lavorare per gli invasori nazisti. Si dice che fino alla fine della guerra lavorò con un ufficiale del governo, aiutandolo a confiscare i beni presso la popolazione ebrea locale.

In una intervista al talk show 60 minutes, Soros descrisse gli anni dell’occupazione tedesca come: “Il momento più felice della mia vita”.

L’avventura di Soros nella finanza.

Quando la guerra finì, Soros si spostò a Londra e nel 1947 si iscrisse alla Scuola Londinese di Economia, dove studiò sotto Karl Popper, il filosofo austro-britannico che fu uno dei primi sostenitori della “Società Aperta”.

Poi Soros lavorò presso numerose banche commerciali londinesi, prima di spostarsi a New York nel 1963. Nel 1970 fondò il Soros Fund Management (società finanziaria, ndt) e nel 1973 creò il fondo Quantum, in collaborazione con il finanziere Jim Rogers.

Il fondo spuntò rendimenti di oltre il 30% annuo, cementando la reputazione di Soros e ponendolo in una posizione di potere – posizione che continua tuttora a utilizzare per portare avanti il programma dei suoi mentori.

Le speculazioni monetarie che hanno creato le crisi in Gran Bretagna e in Asia

Negli anni 90 Soros iniziò una serie di pesanti scommesse sulle valute nazionali. La prima fu nel 1992, quando vendette allo scoperto la sterlina, facendo in un sol giorno più di 1 miliardo di dollari di guadagno.

La successiva grande speculazione ebbe luogo nel 1997. Questa volta Soros scelse il baht thailandese e, con un volume molto pesante di vendite allo scoperto, distrusse il rapporto prezzo/guadagno del baht col dollaro, dando il via alla crisi finanziaria asiatica.

Gli sforzi “umanitari”

Oggi, il patrimonio di Soros è di 23 miliardi di $. Da quando nel 2000 si è spostato nelle retrovie della sua compagnia, il Soros Fund Management, Soros si è dedicato alle sue attività filantropiche, che porta avanti grazie alla Open Society Foundation, che fondò nel 1993.

Quindi, cosa e a chi dona, e quali cause sostiene?

Tra gli anni 80 e 90, Soros usò la sua incredibile ricchezza per finanziare rivoluzioni in dozzine di paesi europei, inclusi la Cecoslovacchia, la Croazia e la Jugoslavia. Per far questo, incanalò il denaro verso partiti i politici all’opposizione, le case editrici e i media indipendenti di queste nazioni.

Se ti chiedi perchè Soros si interessò a questi affari nazionali, parte della risposta può risiedere nel fatto che, durante e dopo il caos, egli investì pesantemente nei patrimoni di entrambi i rispettivi paesi.

Dopo di questo, Soros utilizzò l’economista della Columbia University Jeffrey Sachs per fornire consulenza ai governi neonati e inesperti su come privatizzare immediatamente tutte le attività pubbliche, permettendo in tal modo a Soros di vendere i titoli, che aveva acquistato durante i disordini, all’interno di mercati aperti di recente formazione.

Incoraggiato dai successi del programma in Europa, attraverso i cambiamenti di regime – e approfittando personalmente della cosa – dopo poco girò l’attenzione al grande palcoscenico, gli Stati Uniti.

Il grande momento

Nel 2004 Soros dichiarò “Io credo profondamente nei valori di una società aperta. Negli ultimi 15 anni ho dedicato i miei sforzi all’estero; ora lo farò negli Stati Uniti.”

Da allora Soros ha finanziato gruppi quali:

  • L’Istituto Americano di Giustizia Sociale, il cui scopo è di “trasformare le comunità povere attraverso un’attività di lobbying per una spesa governativa più consistente per i programmi sociali”
  • La Fondazione New America, il cui scopo è di “influenzare l’opinione pubblica su argomenti quali ambientalismo e governo globale”
  • L’Istituto di Politica Migratoria, che mira a “realizzare un reinsediamento dei migranti illegali e incrementare i loro vantaggi sociali del welfare”.

Soros usa inoltre la sua Open Society Foundation per far arrivare il denaro all’organo di stampa progressista MediaMatters. (ONG onlus organo di controllo di media e pubblicazioni negli Stati Uniti – watchdog, ndt)

Soros incanala il denaro tramite tutta una serie di gruppi di sinistra, quali la Tides Foundation, il Centro del Progresso Americano, e l’Alleanza Democratica, al fine di aggirare le leggi sul finanziamento delle campagne, che lui aiuta a promuovere.

Come mai Soros ha regalato così tanti soldi e impegno a queste organizzazioni?

Per un semplice motivo: per acquisire potere politico.

I politici democratici che si muovono contro la linea progressista, riceveranno tagli ai finanziamenti e verranno attaccati da organi di stampa quali MediaMatters, che tra l’altro collabora con società e siti del mainstream del calibro di NBC, Al Jazeera e del The New York Times.

A parte i 5 miliardi di dollari che la foundation ha donato ai gruppi suddetti, egli ha inoltre elargito cospiqui contributi al partito Democratico e ai suoi membri più importanti, quali Joe Biden, Barack Obama, e naturalmente Bill e Hillary Clinton.

La grande amicizia con i Clinton

Il rapporto di Soros con i Clinton risale al 1993, all’incirca cioè al tempo in cui la foundation fu fondata. Sono poi divenuti ottimi amici e la loro relazione duratoria va ben al di là dello status di donatore.

Secondo il libro “The shadow party” (il partito ombra ndt) di Horowitz e Poe, in una conferenza del 2004 di “Take Back America” in cui Soros parlava, la ex first lady lo presentò dicendo “abbiamo bisogno di persone come George Soros, che ha il coraggio e la voglia di mettersi in gioco quando c’è bisogno.”

Soros iniziò a sostenere l’attuale corsa presidenziale di Hillary Clinton nel 2013, assumendo un ruolo importante nel gruppo “Pronti per Hillary”. Da allora, Soros ha donato oltre 15 milioni di $ ai gruppi pro-Clinton e ai super PAC (Politic Action Committee – Comitati di azione politica).

Più di recente, Soros ha devoluto più di 33 milioni di $ al gruppo Black Lives Matter, che è stato implicato in scoppi di agitazioni sociali a Ferguson (Missouri) e a Baltimora (Maryland), nel 2015 (e ai recentissimi di Dallas – ndt). Entrambi questi incidenti hanno contribuito a peggiorare le relazioni razziali in tutta l’America.

Lo stesso gruppo ha pesantemente criticato il concorrente democratico Bernie Sanders per un suo presunto appoggio alla disugualianza razziale, contribuendo così a scalzarlo da quel ruolo che aveva di minaccia competitiva in una delle circoscrizioni più infuocate per Hillary Clinton.

Tutto questo, ovviamente, ha aumentato e di molto l’influenza che Soros esercita sui gruppi suddetti. Ed è logico pensare che ora sia in grado di manovrare la linea democratica, specialmente in una ammisitrazione con a capo Hillary Clinton.

Ciò che Soros vuole, semplicemente lo ottiene. Ed è evidente dai suoi trascorsi che lui mira a confondere i  confini nazionali, creando quella sorta di incubo globalista che è di scena  nella Unione Europea.

Negli ultimi anni, Soros si è di nuovo concentrato sull’Europa. E’ una coincidenza che il continente sia attualmente in difficoltà economiche e sociali?

Un’altro successo: il conflitto ucraino.

Non c’è dubbio alcuno sull’influenza che Soros ha sulla politica estera americana. In una intervista alla PBS dell’ottobre del 1995 con Charlie Rose, disse: “Io ora ho accesso (al vice segretario di stato Strobe Talbott). Non è in dubbio. Noi realmente lavoriamo assieme (sulla politica dell’Europa dell’Est).”

La presenza mediatica di quell’orribile faccione di Soros si è di nuovo impennata nel conflitto Russia-Ucraina, che prese il via all’inizio del 2014.

In una intervista del maggio 2014 con la CNN, Soros dichiarò che egli stesso era responsabile di aver creato una fondazione in Ucraina, che alla fine condusse al ribaltamento del leader eletto dal paese e all’insediamento di una giunta scelta dal Dipartimento di Stato US, che guarda caso a quel tempo aveva a capo Hillary Clinton.

Intervista

CNN: Come prima cosa sull’Ucraina, una delle molte cose che la gente fa notare,  fu che lei, durante le rivoluzioni del 1989, finanziò molte attività dissidenti e gruppi della società civile nell’Europa dell’Est, in Polonia e nella Repubblica Ceca. Sta facendo lo stesso in Ucraina?

SOROS: Bene, io fondai una fondazione in Ucraina prima che questa diventasse indipendente dalla Russia. E la fondazione lavora da allora e ora gioca un ruolo importante negli eventi.

La guerra che dilaniò la regione ucraina del Donbass comportò la morte di oltre 10.000 persone e lo sfollamento di un altro milione e 400.000. E come “danno collaterale”, fu abbattuto un jet della Malaysian Airlines con 298 passeggeri a bordo.

E ancora una volta Soros era lì per guadagnare dal caos che aveva contribuito a creare. Il suo premio in Ucraina fu il monopolio della società energetica statale Naftogaz.

Soros fece anche lì in modo che i suoi compari americani, il segretario del tesoro Jack Lew e l’azienda di consulenza McKinsey, consigliassero il governo fantoccio dell’Ucraina di privatizzare Naftogaz.

Sebbene l’esatta quota di Soros nella Naftogaz non sia stata resa pubblica, in una nota del 2014 si impegnò ad investire fino a 1 miliardo di dollari negli affari ucraini, e sinora non sono emersi  nomi di altre società ucraine.

Il suo ultimo successo: la crisi europea dei rifugiati

Il progetto di Soros riguarda fondamentalmente la distruzione dei confini nazionali. Questo è stato dimostrato senz’ombra di dubbio dal suo finanziamento alla crisi europea dei rifugiati.

La colpa di tale crisi è stata attribuita alla guerra civile che sta attualmente imperversando in Siria. Ma non vi siete mai chiesti come faceva a sapere tutta questa gente, improvvisamente, che l’Europa avrebbe aperto i cancelli e li avrebbe lasciati entrare?

La crisi dei rifugiati non è un fenomeno naturale. Essa ha coinciso con le donazioni che l’open society foundation OSF faceva all’Istituto di Politica Migratoria con sede negli US e alla Piattaforma per la Cooperazione Internazionale su Migranti senza Documenti, tutto denaro investito da Soros. Entrambi i gruppi sostengono il reinsediamento dei musulmani del terzo mondo in Europa.

Nel 2015, un reporter di Sky News trovò dei “manualetti per i migranti” sull’isola greca di Lesbo. Si seppe poi che i libretti, scritti in arabo, erano stati dati ai “rifugiati” prima di attraversarre il mediterraneo da un gruppo chiamato “Benvenuti nella EU”.

“Benevenuti nella EU” è finanziato – già lo pensavi – dalla Open Society Foundation.

Soros non solo ha appoggiato gruppi che facilitano l’accoglienza dei migranti del terzo mondo in Europa, ma è anche di fatto l’architetto del “Piano Merkel”.

Il Piano Merkel fu creato dall’Iniziativa per la Stabilità Europea, il cui presidente Gerald Knaus è un socio anziano dell’immancabile Open Society Foundation.

Il piano si propone che la Germania possa garantire asilo a 500.000 rifugiati siriani. Afferma inoltre che la Germania, assieme ad altre nazioni europee, dovrebbe unirsi nell’aiuto alla Turchia, un paese musulmano al 98% , ad ottenere entro il 2016 che gli spostamenti all’interno dell’Europa avvengano senza bisogno del passaporto.

Il discorso politico

La crisi dei rifugiati ha creato grandi preoccupazioni in paesi europei come l’Ungheria.

In risposta ai 7.000 migranti che sono entrati giornalmente in Ungheria nel 2015, il governo ha ristabilito i controlli di frontiera per impedire l’ingresso dei rifugiati nel paese.

Ovviamente questo non ha fatto piacere né a Soros né ai suoi stretti alleati, i Clinton.

E da allora Bill Clinton ha iniziato a fare dichiaraizioni, accusando Polonia e Ungheria di pensare che “la democrazia è un problema troppo grande per loro” e di voler instaurare una “dittatura autoritaria in stile Putin.”

Comprendendo l’allusione nel commento di Bill Clinton, il primo ministro ungherese Viktor Orban ha risposto dicendo: “le osservazioni fatte su Polonia e Ungheria … hanno una dimensione politica. Non sono cose accidentalmente scappate di bocca. E tali rimproveri si sono moltiplicati da quando siamo nell’era della crisi migratoria. E tutti noi sappiamo che dietro i leader del Partito Democratico, dobbiamo collocare George Soros”.

Orban si è spinto fino a dire: “anche se la bocca è dei Clinton, la voce è di Soros.”

Riguardo la politica migratoria di Orban, Soros ha allora risposto: “Il suo piano (di Orban) tratta la protezione dei confini nazionali in quanto obiettivo e i rifugiati in quanto ostacolo. Il nostro piano tratta la protezione dei rifugiati quale obiettivo e dei confini nazionali come ostacolo.”

Più esplicito di così non poteva essere, nel comunicare le sue intenzioni globaliste.

Il motivo del profitto

Dunque, perchè Soros si impegna così tanto per inondare l’Europa con moltitudini di musulmani del terzo mondo?

Non possiamo esser certi degli importi, ma recentemente è venuto alla luce che Soros ha intrapreso una gran serie di “posizioni derivative al ribasso” contro i titoli americani. Da quanto sembra, egli pensa che causare il caos in Europa contagerà gli Stati Uniti, creando una spirale discendente a Wall-Street.

Distruggere l’Europa con l’invasione di milioni di musulmani non integrati è un piano specifico per causare il caos economico e sociale nel Continente: un altro splendido esempio di come tumulto equivale a profitto per George Soros, che sembra ormai avere le mani e lo zampino su quasi tutti gli eventi geopolitici attuali.

Sappiamo però tutti che correlazione non è causazione. Comunque, data la sua enorme ricchezza, le sue connessioni politiche e il suo lungo trascorso di saper trarre profitto dal caos, Soros è quasi certamente un importante catalizzatore  di molti dei tumulti attuali.

Il suo intento è quello di distruggere i confini nazionali e di creare una struttura di governance globale con poteri illimitati. Dai suoi commenti diretti a Viktor Orban, possiamo capire che Soros vede chiaramente i leader nazionali come suoi dipendenti, in attesa che diventino marionette che vendono poi la sua narrativa alle masse ignoranti.

Soros vede se stesso come un missionario che continua il piano globalista tramandatogli dai suoi antichi mentori. Per proseguire nel progetto, Soros usa le sue vaste connessioni politiche  influenzando le linee di governo e per creare crisi, sia economiche che sociali.

A quanto sembra, Soros cospira contro l’umanità ed è maledettamente determinato a distruggere le democrazie occidentali.

Per qualsiasi pensatore razionale, alcuni eventi globali non hanno semplicemente senso. Perchè, per esempio, le democrazie occidentali dovrebbero accogliere milioni di persone i cui valori sono completamente incompatibili con i propri?

Quando guardiamo più da vicino l’agenda globalista attivamente proposta dal mastro burattinaio, George Soros, le cose diventano però più chiare.

Ed ecco i clown

Non c’è niente di più simile alla carta “Esci di prigione” (del Monopoli ndt) di quella data dai pagliacci della FBI a Hillary, con riferimento ai suoi server privati di posta elettronica. E questo nonostante non ci sia più alcun dubbio che lei abbia infranto tutte le leggi federali, cosa che avrebbe fatto sbattere in galera qualsiasi clown di minore importanza.

Il direttore dell’FBI James Comey ha dichiarato: “Sebbene ci sia prova di potenziali violazioni dei regolamenti riguardanti il trattamento di informazioni classificate, il nostro giudizio è che nessun pubblico ministero ragionevole si impegnerebbe in tale caso.

C’è raffinatezza in tale affermazione. Per prima cosa, afferma che c’è prova di violazione. Ma è anche chiara la realtà politica che nessun “pubblico ministero assennato” farebbe in tal caso rispettare le leggi, considerando chi è il colpevole: il tipico portabandiera democratico americano che andrà ad elezioni.

Oltre a questo, schierarsi contro i Clinton significa incrociare le spade con Soros, e nessun “ragionevole pubblico ministero” vorrebbe farlo.

Tanto per dire…

Articolo originario:

http://www.zerohedge.com/news/2016-07-08/how-george-soros-singlehandedly-created-european-refugee-crisis-and-why

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Rassegna stampa

Già nel 1911 a Torino, nella sola Barriera di Milano, l’apparato industriale  in grande crescita occupava ben 5.254 dipendenti.

(A seguito degli articoli, una rassegna di titoli su quotidiani diversi)

Aziende (le più importanti) in Barriera di Milano (Torino) chiuse circa alla fine degli anni ’80.

1          La Gilardini Corso Vercelli (nata nel 1914).

2          La soc. Anonima Alluminium in Corso Vigevano 35

3          La WAMAR Biscottificio in Corso Vigevano 46

4          Fabbrica Colla e Concimi Corso Novara 99

5          F.I.B.A.T. Biancherie e affini Via Courmayeur 8

6          Ing. Belforte – Lavorazione lamiere  Via Aosta 31

7          Saponeria Gandini Ercole Via Palestrina 38

8          L’A.F.A.S.T. Calzature Via Desana 4

9          La FIVI vernici Via Bologna 41 – 43

10        La Filatura di Tollegno Via Bologna 204

11        La S.A.F.T. Prodotti chimici e farmaceutici Via Santhià 18

12        Fonderie Monte Bianco Via Desana 9-11-13 e Via Chatillon 86

13        La Fonderia Artistica Torinese Corso Vercelli 114

14        La Compagnia Italiana Tubi Metallici Flessibili Via Cervino 50

15        Faccenda Vittorio & c. Forniture militari e ferroviarie Via M. Bianco 50

16        Sacerdote Alberto -Forniture militari e ferroviarie Via Cervino 66-68

17        Lanificio Filippo Giordano  Corso Vigevano 21-23-25

18        La “Ghibaudi” – Ricambi auto – Corso Brescia

19        La Fautrero Legnami da lavoro e costruzioni Corso Novara 80

20        La G. Rivoira Liquigas Corso Novara 121

21        CHIAMBRETTO Fabbrica di cioccolato. Era sita in C.so Giulio Cesare tra il n°16 e il 24

22        CAM Via Monterosa 26

23        Mollificio Industriale – Via Monterosa 29

24        F.A. S. N. A .   Biliardini – Via Monterosa 30

25        G.F.T.(Gruppo Finanziario Tessile) smembrata e distrutta in pochi anni. Un’azienda d’abbigliamento fra le più importanti e qualificate al mondo.   

 

25 aziende in totale, solo le più importanti, è escluso tutto l’indotto

Alcune aziende trasferite, chiuse o in gravi difficoltà nel febbraio 2016

Nel 2012 sono state 100.000 le imprese italiane chiuse e 47.000 protestate

Nei primi 3 mesi del 2013, sono 23.000  le imprese chiuse e 415.000 partite IVA annullate.

I primi sei mesi del 2015 chiuse 35.000 attività commerciali

Al  2 gennaio 2016 sono 29.000 le imprese italiane chiuse)

FIAT – Trasferito all’estero tutto l’apparato direzionale (in realtà non è più italiana)

(Nessun organo d’informazione piemontese e italiano ha commentato l’avvenimento)

PIRELLI – pneumatici; trasferita o in trasferimento

CEAT – venduta agli indiani

PININFARINA – quasi certo in mani indiane

CARTIERE BURGO di Avezzano 20 milioni d’investimenti per evitare la chiusura

DE TOMASO –AUTO Modena: dopo il fallimento del 2012 rifiuti e rottami(ora è in Cina?)

PERNIGOTTI – Prodotti dolciari (Chiusa)

WIRPOOL  INDESIT – Chiuse due fabbriche lasciando a casa 1300 dipendenti

OLIVETTI  TELECOM – Chiusura dello stabilimento d’Ivrea ??

PAGLIERI (Watsap?) verso la chiusura

LAGOSTINA in grave crisi; pericolo per il futuro

SOLVAY            “          “           “           “      (A Rosignano Marittimo)

BORSALINO –  La storica fabbrica di cappelli è da anni sempre in bilico.

Situazione provvisoria per mancanza di dati relativi ad aziende chiuse o in difficoltà e perdita dei posti di lavoro al 16 giugno 2016.

 

Nel 2015 persi 24 mila posti di lavoro e 2000 imprese artigiane chiuse        

Inoltre:

 Carrozzeria Bertone – In svendita (Piemonte)

 Distefani (Gruppo Bauli) – a rischio chiusura

 Michelin – Aprile 2016 chiusura fabbrica di Fossano

 

Dal 28 febbraio 2017

La GIMI S.p.A di Mombello Monferrato va ai tedeschi?

La Mondial Group di Mirabello gennaio 2017 in crisi chiude? (220 dip. )

La P. M. T. di Pinerolo fallita a gennaio

La EUROFIDI  italiana ha186 dipendenti  in attesa di ricollocazione; fallimento?

La K-FLEX di Rocello (Monza); 187 licenziamenti; si trasferisce in Polonia?

La Miroglio di Alba in cassa integr. e programma licenziamenti

 

9 marzo 2017

PONT CANAVESE – Dichiarato il fallimento della “SANDRETTO” presse a

iniezione.

 

aprile 2017

Lanificio “Cerruti” di Biella annuncia 60 esuberi su 400 dipendenti

 

29 marzo 2017

La “SAVIO” di Chiusa San Michele (Susa) annuncia 100 licenziamenti (Su 300 ip.)

In campo i soliti presidi (modello anni ‘69) che non servono nulla.

 

13 aprile 2017

La “Magnetto cerchioni auto ” di Casellette, che fine ha fatto?

Da RAI 3 la notizia che in 136 comuni del cuneese non vi sono più negozi.

Crisi del riso italiano causa incontrollate importazioni

 

22 aprile 2017

La”ARMANI” abbigliamento firmato di Settimo torinese in crisi, licenzia 84 dipendenti?

Sotto; succede a Torino

 

 

La fiat abbandona l’Italia, ma questo non  interessa quasi a nessuno

di Tobias Piller – 22 febbraio 2014Pubblicato in: Germania
Traduzione di ItaliaDallEstero.info

La fiat abbandona l’Italia, ma questo non interessa quasi a nessuno. Cosa succederebbe invece negli Stati Uniti se la General Eletric trasferisse la sua Sede in Olanda, o come reagirebbe la Gran Bretagna se Vodafone traslocasse a Zurigo, si chiede il piccolo giornale di intellettuali della destra „Il Foglio“. L’approccio pragmatico degli anglosassoni condurrebbe a meditare su ciò che manca al loro Paese e quale fascino verso l’estero abbia subito un Gruppo cosí grande, fino ad abbandonarlo. In un tale Paese, senz’altro verrebbe subito promulagata una legge con il fine di trattenere Gruppi economici in Patria, affinché desistano dal delocalizzare. La decisione della FIAT rappresenta „uno schiaffo dell’economia globale all’interpretazione italiana della modernità“, recita il piccolo quotidiano, che viene finanziato tra l’altro anche da Silvio Berlusconi, che in economia politica non ha mai avuto la sufficienza.

Il dibattito politico italiano ritorna subito ad occuparsi delle faccende minuscole, di cui si compone la politica a Roma. La FIAT inoltre aveva precedentemente intrapreso molto per tranquillizare gli italiani. Il giorno prima della comunicazione ufficiale circa la decisione di trasferire la sede legale del Gruppo, dopo la fusione con la Chrysler, in Olanda e la sede amministrativa in Gran Bretagna, il presidente della FIAT, John Elkann, insieme al suo amministratore delegato Sergio Marchionne, hanno reso visita al Presidente del Consiglio dei Ministri, per aggiornarlo in termini informali dei futuri sviluppi. Elkann, l’erede degli Agnelli, si é fatto intervistare dal gazzettino di corte, e con toni tranquillizanti ha garantito personalmente: “Il mio ufficio rimarrà a Torino” . È infatti previsto di riattivare quelle fabbriche giá smantellate in Italia, e che Torino rimarrá la centrale europea. Il governo comunque non si muove.

13 maggio 2017

Da semplici cittadini, tentiamo di esaminare la mancanza di lavoro e l’attuale incapacità politica di dare spazio per “fare impresa”.

Nei giorni passati i politici e militanti del P.D. (più giusto P.C.), simili a un esercito di pifferai, suonano la marcia trionfale del partito e del loro uomo (il Migliore n° 2), ossia il sig. Matteo Renzi. Costui, colmando tutti gli spazi possibili dei vari telegiornali delle reti RAI, arringa, si agita, promette, fa proclami come si conviene a un capo che indica la strada maestra al suo esercito di circa un milione e mezzo o due di tesserati comunisti.

Molti degli altri 58 milioni di italiani con un’idea non di sinistra si chiedono: “ma chi è questo signore che si comporta come avesse vinto le elezioni politiche? (che da quattro anni non si fanno), è scandaloso; non siamo più gli stessi del 2013, troppe cose sono cambiate in peggio!”

Altri all’occorrenza non vanno più a votare per il disgusto, ritenendo inutile dare il voto alle solite facce e ad altre persone quasi anonime ma molto abili nei traffici poco chiari della politica.

Comunque il paese è cambiato in peggio, radicalmente. È senza dubbio anche il risultato di un certo disimpegno politico degli italiani, in particolare dei piemontesi e i torinesi della Torino ex capitale industriale.

La FIAT è fuggita appena ha potuto senza produrre tanto clamore, lasciando, solo per pro forma, qualche residuo di fabbrica, ma il fatto non ha interessato a nessuno. Pur tra discordanti punti di vista, in realtà l’aspetto più grave della vicenda è il colpo che è stato inferto all’indotto: sofferenti le medie e piccole imprese, l’artigianato.

Oggi ricorre una frase che è un concetto non dimostrato, “siamo nel periodo post-industriale” ma quale sarebbe il nuovo periodo? Dopo il reiterato annientamento per sfinimento dell’apparato industriale torinese e l’insistente presenza di un sindacato schierato politicamente a sinistra, quello che da oltre mezzo secolo inculca nei giovani (e non solo) la cultura dei diritti e del lavoro preteso, dato e non creato; cosa dobbiamo aspettarci da questi nuovi giovani politicizzati a tal maniera, ma disoccupati, che vivono in un paese oramai senza industrie? Persa la vocazione all’imprenditoria individuale, all’inventiva, all’intraprendenza, all’ambizione di realizzare se stessi nel mettersi in gioco, dimostrare abilità, intelligenza nel lavoro e infine fare azienda, cosa resta loro? Niente. Senza industrie importanti si restringe il cosiddetto “indotto”, non c’è fermento lavorativo, non c’è artigianato; in definitiva non c’è benessere.

È una sorta di ribaltamento dei concetti di Alexis De Toqueville, ossia, l’idea che la grande industria, con il suo lavoro ripetitivo, fa perdere all’operaio la facoltà di applicare la propria intelligenza. In parte è vero, tuttavia bisogna riconoscere che non tutti hanno l’attitudine per applicarsi a un lavoro artigianale, per cui mi sembra giusta la possibilità di avere più scelte; i tempi lo impongono, come impongono (e sarebbe ora) di togliere i mille cavilli burocratici utili per avviare una qualsiasi attività artigianale o individuale.

Comunque, mettendo da parte chiacchiere improduttive e concetti astratti, i governi di sinistra che si sono succeduti non solo hanno fallito, ma portato il paese al disastro totale.

Un esempio di governo comunista, con a capo Alexis Sipras, votato dai cittadini, che ingannati da promesse elettorali impossibili da realizzare, è miseramente fallito; il male ci accomuna e la distanza dalla Grecia si accorcia rapidamente.

Non dobbiamo mai dimenticare l’individualità dell’uomo quale libero pensatore e ricordare il pensiero illuministico di Friedrich von Hayek, ossia: la concorrenza è la strada maestra in tutti i campi sociali, non solo in quello economico, la sola in grado di condurre spontaneamente l’umanità a grandi scoperte grazie alla massimizzazione delle capacità e delle conoscenze legata alla libera iniziativa del singolo.

 

Qual è il perché di questa invasione di extracomunitari? In breve, tentiamo di risalire alla radice della storia.

Fin dal 1974, quando si era tenuta a Lahore la II Conferenza Islamica, presente tutti i potenti del mondo mussulmano, si erano tracciate le linee di una politica islamo-araba di portata internazionale, tanto che “Il segretario generale della Conferenza Islamica Muhammad Hasan ‘al-Tuhāmi parlò di uno stato islamico che avrebbe cercato di diffondere l’islām anche nei paesi non musulmani”[1].

Specificato nello “Statuto degli Stati Arabi”, il comma b, tra le altre norme, illustra in modo chiaro che: ”…nel 1964 è stato formato il Consiglio Arabo per L’unità Economica dei 12 Stati membri della Lega. Gli obiettivi di questo Consiglio includono, fra gli altri, l’inizio delle azioni per creare un mercato comune arabo, allo scopo di “garantire la libertà di movimento e transito d’individui, capitali e beni, così come la libertà di ottenere lavoro e acquisto di proprietà”.

L’ambizioso progetto prendeva corpo nei decenni successivi anche attraverso il DEA (Dialogo Euro Arabo), divenuto lo strumento decisivo del successo di questo progetto di Partenariato.

“Questi programmi sono stati entusiasticamente accolti, recepiti e realizzati da leader, intellettuali e attivisti europei, non solo, ma anche elargendo cospicui finanziamenti ai palestinesi e ai Fratelli Musulmani per creare le loro ramificazioni in tutta l’Europa occidentale…”[2].

La ceca e avventata politica di Partenariato, capeggiata dalla Francia, aveva volutamente allontanato l’Europa dagli Stati Uniti, sottovalutando in modo improvvido la jihād.

In seguito l’Europa aveva cercato, francamente senza convinzione, di estraniarsi dalla jihād attuando un’ambigua politica che l’aveva portata a una sorta di collusione con il terrorismo internazionale accusando gli Stati Uniti e Israele di alimentare i movimenti jihadisti.

L’Europa filo-arabo-islamica aveva continuato la sua politica di sottomissione e a quanto risulta, beneficiando in un solo decennio la Lega Araba di oltre 10 (dieci) miliardi di dollari, una vera follia, tenendo conto che questo denaro sarebbe servito per ben altro a casa nostra, o altrimenti utile a mitigare gli effetti dell’attuale grave crisi. Altro fatto triste di questa storia è avvenuto nel 1994 con il conferimento-farsa del “Nobel per la pace”a Yasser Arafat, nonché nel 1999, su iniziativa del Presidente della Repubblica Italiana Oscar Luigi Scalfaro, lo stesso Arafat veniva nominato “Cavaliere di gran croce, decorato di gran cordone dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana”, un segno dell’ambiguo servilismo dei politici italiani verso un patriota palestinese abilissimo in politica; un pacifista che tuttavia circolava con il mitra sottobraccio e sospetto colluso col terrorismo. L’Europa, ancora nel 2003, era dichiaratamente Euroaraba, da come si evince dalla Fondazione euromediterranea per il dialogo tra le culture, la quale attraverso un suo rapporto stilato dal Gruppo dei Saggi (scelti da Prodi) dal titolo: Il dialogo tra i popoli e le culture nello spazio euromediterraneo, fissava, senza preamboli, i termini per un controllo sulla politica europea futura verso i paesi dell’Est e non solo, chiedendo inoltre la prosecuzione dell’immigrazione[3].

(Leggete il libro “ EURABIA” di Bat Ye ‘or, editore LINDAU; è un documento prezioso).

“In Europa l’accoglienza e la solidarietà ai migranti è da fare rapidamente; i costi sono enormi, neppure ipotizzabili, per cui vanno smistati abilmente in vari capitoli di spesa prima di presentarli ai membri della U.E. e convincerli. Se è possibile (e lo è) i cittadini devono continuare a esserne all’oscuro, cioè, pagare senza sapere cosa e perché. La mossa è molto pericolosa, ma è in gioco la sopravvivenza della “nostra” Comunità Europea” che si è incrementata con: Eurabia prima, Eurafrica poi e nel contempo politicamente Eurocomunista.

Attenzione! In un esercizio di pura fantasia (ma non troppo) il brano succitato potrebbe essere una proposta di ampio respiro pensata dai politici europei per continuare a mentire ai cittadini e invadere proditoriamente le loro città da sconosciuti, senza spiegare il vero perché di tale obbligo; perché di questo si tratta, obbligo sancito da una legge, anche questa fatta all’insaputa dei cittadini. Una sorta di democrazia al contrario, che ha il sapore di dittatura in un’Italia rantolante, sull’orlo del fallimento che si trascina da anni e in un’Europa dei popoli, attonita, imbelle, nonché furibonda da tali inauditi comportamenti. Tutt’altra cosa che l’Europa dei popoli pensata dai fondatori con in testa Altiero Spinelli.

In Francia tutto era già stabilito: Macron avrebbe vinto e ha vinto attraverso un’apparato e un’organizzazione gigantesca, contenitore di tutti i poteri economici e politici francesi e europei. Contro questa macchina poderosa Marine Le Pen era sconfitta in partenza.

Tuttavia il dramma non è ancora compiuto; tuttora è in corso, non più strisciante ma violento, direi criminale. Gli “scafisti” e i loro complici politici e non, attuano indisturbati e impuniti una sorta di mercato umano; lo schiavismo (in verità di questo si tratta) e non è esclusa la pratica del turpe commercio di organi prelevati dai bambini, mitigato, nascosto da un falso pietismo e una falsa solidarietà. Su questi gravi fatti qualcosa comincia a emergere ma sono vent’anni che prosegue; è risaputo, ma nessuno si è mai indignato.

 

La drammatica situazione della scuola piemontese e italiana.

Sul Sole 24 Ore di alcuni anni fa (25 novembre 2002), un titolo in prima pagina con ampi commenti all’interno, illustrava la drammatica situazione della scuola media italiana, palesemente arretrata come programmi d’insegnamento rispetto al resto d’Europa; terzultima appena prima del Portogallo e la Grecia, buona ultima, con l’aggiunta di documentati prospetti e grafici. Nel suo articolo dal titolo:“Nessuno se ne indigna”, Andrea Casalegno entrava nel vivo del problema:”Per sapere di più bisogna studiare di più, lo dimostrano i paesi ai primi posti nell’indagine UNICEF: Corea e Giappone. I programmi devono tornare a concentrarsi sulle conoscenze di base: lingua (cioè grammatica, sintassi, analisi logica, ed esercizi di traduzione), storia matematica scienze. Ma i programmi non s’insegnano da soli, occorrono docenti competenti e motivati e – soprattutto- controlli efficaci, cioè equi (la severità ottusa è sempre controproducente) e rigorosi. Più controlli sull’effettiva preparazione degli allievi? Certo. Ma anche – e soprattutto – sulla selezione, la preparazione e l’impegno dei docenti”.

A questo proposito nel marzo 2017 un’esperienza personale invero incredibile mi portava a conoscenza che i ragazzi di 4° e 5° elementare non conoscevano “l’analisi logica”(su altre materie non ho elementi sufficienti). Chiedendo spiegazioni all’insegnante, la donna, allargando le braccia in segno di sconforto, mi rispondeva laconicamente che quella parte della grammatica non era inclusa nei programmi. I ragazzi, svegli e intelligenti, avevano ascoltato il breve discorso fra me e la docente, restando stranamente zitti, Tuttavia qualcuno di questi probabilmente aveva parlato in casa del fatto, destando l’interesse dei genitori che avevano chiesto spiegazioni alla docente, poiché loro stessi ricordavano bene, che nei lontani anni delle elementari, “l’analisi logica” era compresa nel programma scolastico, come pure “l’educazione” civica. La questione non aveva poi avuto seguito per il semplice motivo che non essendo prevista, non era possibile insegnarla. Comunque, in conclusione, sia i genitori, sia le insegnanti avevano manifestato un’evidente delusione.

A tutt’oggi, l’indagine di Casalegno, fatta 15 anni fa, è ripetibile tale e quale, con l’aggravante che tutto è ulteriormente precipitato in modo drammatico. A Torino, da quanto ho sentito con le mie orecchie a RAI 3 regionale, l’istruzione elementare e media si è trasformata in una sorta di scuola politica di partito. Le insegnanti illustravano compiaciute, a chi le intervistava, il moderno insegnamento impartito ai ragazzi, i quali alle domande del o della giornalista rispondevano con enfasi ”…tutti devono pagare le tasse, come fanno ai dipendenti pubblici che vengono prelevate alla fonte, non come fanno altri che evadono”…, forse l’ultima parte della frase non è proprio esatta alla lettera ma era chiaramente in questi termini; era evidente che i ragazzi erano stati istruiti in precedenza. Quindi, non insegnamento de “l’educazione civica” che da quarant’anni almeno è escluso ma qualcosa d’inaudito che chiede urgenti chiarimenti attraverso un’indagine approfondita in Italia e a livello europeo, ma c’é dell’altro; con le spese scriteriate senza programmazione di Renzi e del suo governo, siamo in piena deflazione.

Sempre sul SOLE 24Ore, uno studio di Claudio Tucci del 2 aprile 2017, ci ricorda che la riforma Tremonti-Gelmini, entrata in vigore il 1° settembre 2009 e aspramente contestata, aveva operato un taglio di 87mila cattedre, nonostante questo, il rapporto insegnanti-alunni che partiva da 9 a 1, si attestava a 12 a 1, un valore ancora sotto la media Ue. Comunque il nostro sistema scolastico si attestava e proseguiva la sua strada, riducendo alquanto gli sprechi e le inefficienze.

Nel 2015 il governo Renzi, nella furia sconsiderata di dare posti di lavoro, operava una maxi-infornata di 90mia professori precari, ritornando addirittura ai livelli precedenti alla riforma Tremonti-Gelmini; nella scuola primaria il rapporto insegnanti alunni era sceso a 9,75 a 1 e nella secondaria 9,83 a 1, agli ultimi posti nell’Ue. Questa operazione sull’organico, dal costo di 400 milioni l’anno, avrà un ulteriore incremento nel nuovo anno scolastico con altre 30-40mila immissioni a ruolo, abbassando ulteriormente il rapporto insegnanti-alunni, senza nulla che dimostri che meno studenti per docenti migliori il livello di apprendimento. Nell’ultimo rapporto Ocse relativo al 2014, il rapporto medio insegnanti-alunni sia nella primaria, sia nella secondaria confermava un  12 a 1. Nel confronto internazionale restavamo sempre indietro; per esempio in Francia il rapporto insegnanti-alunni si attestava a 19 a 1 nella primaria, 13 a 1 nella secondaria; nel Regno Unito si registrava rispettivamente 20 a 1 e 16 a 1. E si tenga conto che nei nostri dati non si consideravano i professori di religione, stimati in 30mila, con questi si tornava sotto il 12 a 1.

In conclusione, dopo le stabilizzazioni del 2016 il costo per l’Erario è stato 2,2 miliardi a regime, il tutto aggiungendo passività alle passività per posti di lavoro non necessari e improduttivi.

Ma nessuno se ne indigna.

Il centro di Torino si svuota; le Griffe se ne vanno.

Così era il titolo di un servizio riportato a pag. 49 de LA STAMPA del 24 maggio 2013 – e non solo via Roma. Alcuni marchi gestiti dalla Holding tessile e che chiuderanno a metà giugno, scompariranno dalla città. La crisi è arrivata anche ai negozi del lusso: la Holding tessile – che ha sede a Torino e gestisce decine di negozi – ha annunciato la richiesta di cassa integrazione di 127 dipendenti del Gruppo, quelli che gestiscono ventitré negozi nel centro della città e a 8Gallery e alcuni amministrativi della sede centrale. Poi l’articolo prosegue ampio e dettagliato, comunque queste poche righe illustrano sufficientemente un problema di grave crisi del settore tessile biellese in particolare, che nessuno degli ultimi governi ha mai posto rimedio, anzi e siamo solo agli inizi.

La botta è arrivata circa una decina di giorni fa: Il Politecnico chiude la Facoltà del Tessile per deficit d’iscrizioni. Intanto la “Armani” di Settimo torinese, in crisi, riduce il personale.

Ma nessuno se ne indigna.

 

La Barriera di Milano a Torino e l’immigrazione extracomunitaria che, senza controlli, importa terroristi.

I casi riportati su LA STAMPA e da altri giornali sono il pane quotidiano degli abitanti della vecchia Barriera ma la storiella della “solidarietà” (falsa e mascherata) non regge più da tempo.

Un controllo inadeguato dalle forze dell’ordine per mancanza di uomini ma soprattutto per l’assenza di una legislazione chiara, è stata la precisa volontà politica del governo per poter mercificare l’immigrazione e ottenere cospicui finanziamenti dall’Europa complice dei nuovi schiavisti. Questa forzata e imposta “accoglienza” di questa gente che ha invaso la nostra città e non solo, ha ridotto molte zone della Barriera e la stessa città a immondezzaio a cielo aperto. La diversità enorme di culture giunte all’improvviso, senza il tempo necessario di un lento approdo alla reciproca conoscenza, ha prodotto una fuga dei torinesi terrorizzati da un’altra delinquenza, togliendo loro quella sensazione di tranquillità e la sicurezza  di essere a casa propria.

Il borgo industriale non esiste più, persi “gli omini blu”, gli uomini in tuta delle fabbriche cantati da  Farassino,  il luogo natio ha smarrito oltre il lavoro anche la sua anima e con essa la sua essenza di “Capitale”.

Sono il risultato delle scelte scellerate di politici, sindaci, amministratori incapaci, senza amore per l’antica capitale sabauda, tantomeno per la loro patria; l’Italia. La nomea data ai piemontesi (i senza patria) si sta allargando a tutti gli italiani. Queste scelte lasceranno dietro di loro solo terra bruciata.

Per il futuro? Un tessuto umano e culturale quasi impossibile da ricostruire, che insieme al territorio, alla storia e alle splendide architetture, non più tutelate, è già in via di estinzione.

I cittadini inglesi hanno votato per l’uscita dalla U.E. e il primo ministro Theresa May, democraticamente, ha approntato la Brexit; in Austria, in Ungheria, alla frontiera del Brennero  e altre frontiere si apprestano alla costruzione di muri reali o ipotetici; nel marzo del 2017 il nuovo presidente del parlamento europeo Antonio Tajani (italiano), dichiara che l’Europa deve cambiare l’Africa e occorrono miliardi di euro; un altro italiano ( il Migliore n° 2) nell’ottobre del 2016, a seguito di un’assurda polemica, propone di tagliare i fondi europei ai paesi che non accettano la distribuzione dei migranti, trattando costoro come razioni di banane. Certi che tanta arroganza e prosopopea in persone che vivono fuori dalla realtà produca solo disastri; restiamo in attesa che alla fine saranno pagati con la stessa moneta.

 

Breve cronologia degli avvenimenti che hanno causato il fallimento Alitalia.

Ascoltando la pubblicità delle auto tedesche ma in particolare della Lufthansa non si può fare a meno di notare la differenza dell’orgoglio tedesco per le sue aziende e quello italiano, che non solo è inesistente, anzi, evidenzia una sorta di volontà distruttiva e il desiderio di scaricare una fastidiosa rogna quale l’Alitalia. Come la FIAT, vero che è un’azienda privata, non una qualunque ma che le follie politiche e sindacali di parte sinistra, hanno fatto fuggire.

Fondata nel 1946 con il nome Alitalia – aerolinee internazionali italiane, in pena attività, contava una flotta di 172 aerei e raggiungeva 37 paesi. La Compagnia, gestita completamente dalla Stato, prima sotto l’I.R.I., poi sotto il ministero del Tesoro, nel 1996 con il governo Prodi (il politico di sinistra che è riuscito a far fallire l’I.R.I.) è avviata la prima privatizzazione; una parte del capitale viene quotato in borsa ma era già in crisi nei primi anni ‘90 causa l’eccesso di sprechi di denaro pubblico, per il quale non c’era il minimo rispetto; in molti casi la Compagnia era ridotta a vettore privato per molti politici (il ministro De Michelis la usava come taxi) e bacino per produrre consensi politici, nonché assunzioni a gogò per pagare i debiti delle campagne elettorali ai vari eletti di turno. Con l’entrata dell’Italia nell’unione monetaria e le regole di Maastricht da rispettare, si era dovuto ridurre drasticamente le spese pazze ma la Società non era già più competitiva.

È una triste, lunga storia di sperperi di denaro pubblico per scelte sbagliate di mediocri imprenditori e la cronica incapacità politica, tutta italiana, di fare interventi mirati. Nel 2000, un tormentato accordo con la KLM. viene annullato per disaccordi con l’esecutivo dell’Alitalia. Un anno dopo gli attentati alle Torri Gemelle mettono in crisi le Compagnie; volare diventa troppo pericoloso. L’Alitalia in cattive acque incrementa ulteriormente il suo debito; senza manager coraggiosi e capaci è nuovamente sull’orlo del baratro. Nel 2006 succede un dramma politico: Prodi ritorna al governo per la 2° volta e dopo vari tentativi di salvataggio con l’Air France (che nel frattempo si era fusa con la KLM), nel 2008 il gruppo franco-olandese presenta un’offerta che avrebbe potuto essere un’opzione. Nel frattempo Prodi è sfiduciato in parlamento e nel gennaio 2008 rassegna le dimissioni.  Naturalmente ne va di mezzo anche l’Alitalia che nello stesso 2008 è formalmente dichiarata fallita.

Quello che avviene in seguito è una macchia vergognosa per il paese. Arriva Berlusconi, il quale si appoggia a nomi altisonanti di affaristi: Benetton, Ligresti, Tronchetti Provera e altri che a un certo punto escono dal gioco. Altri equilibrismi finanziari incredibili, con varie cordate d’imprenditori, poi la nascita di C.A.I. (Compagnia Aerea Italiana), con altre scelte strategiche fallimentari, nelle quali anche i sindacati hanno grosse responsabilità.

Oggi si raccolgono i cocci di una splendida Azienda fallita causa imprenditori mediocri e senza coraggio, mancanti di spirito, diciamo “patrio”, una parola non più in uso in Italia, ma soprattutto per l’incapacità politica oramai insita nel DNA di una sinistra italiana che tuttora non permette di creare lavoro vero, profitto; in una parola “blocca” il benessere del paese.

Aggiungo parte di un articolo tratto dal libro “Piemonte” edito da EDITALIA, il quale chiude con una frase premonitrice che ben riflette l’attuale situazione della nostra classe politica.      

Burzio Filippo, (Torino 1891-Ivrea 1948)

Se io fossi uno storico farei; se fossi un editore inciterei altri a fare e poi pubblicherei una collana di monografie dedicate ai piemontesi del Risorgimento; con delizia m’ingolferei in quel mondo, in quella materia; porrei a capostipite Alfieri, chiuderei la serie con Quintino Sella; lo zenit sarebbe naturalmente toccato con Cavour e con quel parlamento Subalpino del decennio dopo Novara in cui tu vedi adunati, partendo dall’Estrema Destra di Solaro della Margarita, Ottavio Revel e Cesare Balbo, a destra, Cavour; Azeglio e Lamarmora al Centro; poi man mano a sinistra, Rattazzi, Brofferio, Valerio (Gioberti è già morto in esilio e fuori del Parlamento, Garibaldi e Mazzini sono anch’essi sudditi Sardi). E poi i minori, che so? Giacinto Collegno, Cesare Alfieri, Cibrario, Sclopis. Tutti Piemontesi e tutti accolti in un solo periodo, non dico nemmeno storico, ma semplicemente politico; in una sola assemblea: che nomi!!

Si tratta di una decadenza di classe, quale raramente si vide più precipitosa.

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Nel 1943 direttore de LA STAMPA; incarico poi svolto sino alla morte.

[1] “Eurabia” di Bat Ye ‘or, pagina 72

[2] “Eurabia” di Bat Ye ‘or, pagina 74

[3] “Eurabia” di Bat Ye’or, pagina 220, 221, 222.

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Il parlamento italiano durante una seduta di stressante lavoro quotidiano

Il commento di un semplice cittadino piemontese sul voto francese e prima ancora inglese, in un’Italia senza futuro, sempre più povera e che non vota più.

All’apertura dei telegiornali il primo argomento è la Juventus, i suoi avversari, il calcio, la champions league, poi il “paese dei balocchi” finalmente ci informa, a suo modo, sui fatti europei.

L’Inghilterra con un referendum popolare è uscita dall’Europa; in America si è votato democraticamente e hanno vinto i meno abbienti, i più poveri, eleggendo un presidente che agisce; la Francia va al voto e volterà certamente a destra; e l’Italia? In Italia non si vota più, gli ultimi governi sono abusivi, di fatto illegali, un insulto agli italiani onesti, intanto la Germania è in fermento e le destre avanzano, altri stati membri europei voteranno e l’immigrazione sconsiderata sarà la causa prima del disfacimento della C.E. Perché? Semplice, nessuno ha mai posto alle popolazioni europee referendum sulla questione immigrazione e nessuno ha mai spiegato il perché deve essere l’ente di assistenza per mezzo mondo e come e dove sono scritte le norme che regolano i flussi migratori e poi cosa significa “obbligo giuridico” di accoglienza? Un altro sotterfugio con fregatura per i cittadini? Schengen, un nome che molti conoscono, ma nessuno ha mai spiegato ai cittadini i reconditi significati di una sequela di trattati sconosciuti ai più; si tratta di una vera e propria mistificazione. Intanto il nostro ministro, il campione dell’economia, si affanna a dichiarare che non siamo falliti, un’altra menzogna che ben presto lo sconfesserà; l’Italia era già in fallimento dal 2006.

Un altro fatto ridicolo che commenterei così: non avendo una politica estera, ad esclusione dell’arroganza, il nostro governo spedisce di corsa in America il sig. Gentiloni; un comunista e un repubblicano liberale, una strana coppia. Cosa mai avrà da chiedere il nostro?

Termino con un’opinione personale; sul movimento 5 stelle ho molte riserve, ovvero: i suoi militanti e il fondatore sono d’ideologia sinistroide e prima o poi, come in precedenza ben studiato e programmato con i comunisti, dopo qualche anno di melina, confluiranno nel loro partito di naturale estrazione, il PD, o meglio il PC, una consonante in meno è più giusto.

Sempe ‘n piòta.

Carlin (Ellena Carlo)

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