Quando la prima peluria ha iniziato ha invadermi il viso, avevo già l’idea di immaginare la vita su questa terra come un viaggio. Ricordo che questa fantasiosa interpretazione ha avuto origine nel lontano 1951, quando da ragazzo seguivo affascinato i racconti avventurosi di un missionario salesiano che aveva girato il mondo in lungo e in largo. Quest’uomo era Don Saino; un personaggio veramente straordinario, nostro insegnante di francese all’Istituto Salesiano “Michele Rua”, la scuola di avviamento professionale che allora frequentavo in Via Paisiello a Torino, la mia città.
Di tanto in tanto, raccontando le sue avventure, era solito dire: “ragazzi, la vita su questa terra è un meraviglioso viaggio, sta a voi trovare la giusta strada”. Per noi ragazzi allora tredicenni, queste parole potevano essere un po’ vaghe e poco comprensibili, invece, chissà perché, divennero un chiodo fisso nella mia mente. Col trascorrere degli anni spesso rammento quella frase, in quei momenti si fa vivo il ricordo e rivedo nitido quel volto barbuto ma sereno, buono, del mio maestro: il missionario Don Saino.
È come una forte sensazione che lui, nell’inconscio, mi suggerisca che è giunto il momento di volgersi indietro.
In senso figurato, immaginiamo un uomo che lungo il suo cammino si segga sul bordo del sentiero non per stanchezza, ma per osservare la strada percorsa. Chiudere gli occhi e lasciarsi andare in un fantastico viaggio nella memoria del tempo, nel nostro passato e via via correre col pensiero sino ai giorni nostri in una rapida cavalcata. Noi, “giovani”, ormai ottantatreenni, ci rendiamo ben conto di quale tumultuoso ma straordinario periodo storico abbiamo vissuto. Soltanto nel 1938 (anno della mia nascita) si udiva ancora l’eco del disastro del dirigibile Hindenburg, accaduto nel maggio dell’anno precedente e attraverso un viaggio immaginario, vivere il travolgente progresso della tecnica, soffrire per una guerra terribile, poi la ricostruzione e infine la lenta rinascita del paese distrutto.
Con una corsa a perdifiato negli anni, ci troviamo costretti a vivere con i ritmi di un tempo che corre sempre più veloce; tant’è che quasi per magia, le distanze nel mondo diventano un semplice giro di compasso. Ebbene, tutto questo in “appena” settant’anni: non è straordinario? I nostri anni giovanili sono stati anni intensi, vissuti, certo, entro le nostre possibilità e capacità ma da protagonisti, anni liberi per imparare, acquisire coscienza della nostra realtà e costruire con il lavoro il nostro futuro.
Trovare gli stimoli per migliorare noi stessi e contribuire, fiduciosi, al benessere della nostra patria cita (piccola patria), coraggiosi e fiduciosi nell’esporsi e infine orgogliosi di essere parte vitale di un paese tutto spinto verso il futuro. Libertà di agire e concretezza nei fatti, ma anche versatilità, fantasia, capacità di sognare ad occhi aperti e tante possibilità per realizzare i propri sogni.
Tutto questo esisteva nel vecchio modello di società.
Sono aspetti scomparsi nel nuovo modello che oggi ci propongono; è come la faccia vuota di una medaglia, con nulla impresso. Oggi tutto è sfuggente, per nulla chiaro, pensiamo al senso della parola, “globalizzazione”; termine, ormai di costume ma orribile, che ci dà l’idea dell’immenso, di qualcosa che sfugge al nostro controllo, ma in definitiva, che cosa significa? che la nostra patria è il mondo e che in qualche punto sperduto del medesimo qualcuno ci offre lavoro, sicurezza, serenità?
Una comunità universale pianificata tutta uguale, certa di nascere di vivere e morire non si sa come. Poche volontà occulte con poteri immensi che mirano al dominio mondiale? È folle immaginare simili eventualità ma purtroppo il dominio è in fase di avanzata realizzazione proprio davanti agli occhi semichiusi di cittadini che la politica ha insegnato loro a essere abulici e inerti.
Siamo immersi in un mondo virtuale costruito da false immagini, da ragazzi, da uomini e donne che quasi giocano premendo pulsanti, da leggi, regolamenti, orari, norme e regole assurde che ci suggeriscono in modo distorto cosa dire e cosa fare, come sarà il tempo, cosa mangeremo, quale sarà il nostro lavoro, che, con l’attuale “menar il can per l’aia” non ci sarà più, poiché questo noioso impegno è ormai ignorato, o quasi, nell’inconscio collettivo delle nuove generazioni.
Tutto è profondamente mutato, ma non nelle forme sperate.
Nella ricerca affannosa di conquiste apparentemente facili abbiamo perso per strada quei valori che ci rendono esseri pensanti e non automi o un composto di formule chimiche. Ai giorni nostri c’è la paura reale e diffusa per un futuro senza costrutto, mancante di una base seria che proponga progetti credibili, il tutto, purtroppo, in un contesto statuale politico inconsistente, disorganico, financo pericoloso, in quanto produce soltanto precarietà e malessere. Stiamo attenti e vigili; questa condizione annuncia disordini che, se protratti ancora nel tempo possono sfociare in ben altro.
Molto diverso rivedo il giovanotto di un tempo, che con sogni e speranze era pronto a sconvolgere il mondo, libero di lavorare, fare sport, studiare o di uscire sereno e senza paure la sera con la ragazza, con gli amici, di passeggiare in riva al fiume, di volere un futuro radioso, di avere tanti figli, insomma, vivere la vita come una magnifica avventura.
I sogni per molti di noi non si sono poi del tutto realizzati, ma quanto abbiamo avuto, impegnandoci nel lavoro e nello studio, è stato ugualmente appagante. Oggi i più giovani potranno avere e dire altrettanto? Ebbene, riprendiamo nuovamente a sognare, a usare la fantasia, a ribellarsi al quotidiano, a raccogliere ogni briciola del nostro tempo e viverlo appieno giorno per giorno e sopra ogni cosa, riappropriarci della nostra storia, della nostra cultura e identità e infine della nostra vita, traendone insegnamento e facendone tesoro.
Fermiamo l’attimo fuggente, non lasciamo che passi e svanisca.
Immaginarsi di fermare nel tempo l’attimo fuggente è come una sequenza di emozioni senza fine, un’eternità in un battito di ciglia, un gioco mentale di autosuggestione.
È affascinante pensare l’innaturale e avvertire forte la sensazione che lo scorrere del tempo non è misurato sul quadrante di un orologio, o sul nascere o tramontare del sole, ma dall’intensità in cui un uomo vive ogni attimo della propria vita. La concezione del tempo può avere una sua variabile a seconda delle situazioni che di volta in volta siamo coinvolti, o in fatti particolari vissuti in un arco temporale più o meno lungo della nostra vita. Ad esempio: l’ora passata furtivamente con la donna amata può trascorrere in un attimo, mentre l’attimo d’attesa per la nascita di nostro figlio si trasforma in ore, o come il corso della vita di due amici; l’uno chiuso in un ufficio, e l’altro intento a viaggiare o scalare le montagne di mezzo mondo; il rapporto del medesimo spazio-tempo trascorso dal primo sarà immensamente più breve del secondo. L’uno nell’attesa che termini in fretta la giornata, l’altro invece vorrebbe che non finisse mai. È pur vero che questa è solo una forma di autosuggestione e che tutto avviene in tempo reale, ma l’immaginazione ha un potere immenso e ai nostri occhi la vita dell’uno può apparire ben più lunga dell’altro, anche se poi in realtà è solo più “vissuta” dell’altro. Ma il gioco mentale è invero allettante e ci piace pensare e credere che il tempo è quello che noi vogliamo che sia, fluttuando nell’infinità misteriosa dello spazio cosmico.
Foto del 1951, all’oratorio e scuola Michele Rua; a Torino. Ragazzi liberi, spensierati e con un futuro, che, come il gioco delle “gamale”, oggi non c’è più.
10 dicembre 2021
Griboja