I tentativi italiani di rapina perpetrati a ciò che “è stato” torinese nella cultura, nel lavoro, nel senso del bello, dell’eleganza e del fare piuttosto che parlare, da ben oltre cinquant’anni proseguono senza sosta, adottando inganni, sotterfugi, promesse mai mantenute, sfruttando malamente quel senso all’obbedienza, alla solerzia, all’attaccamento al dovere che i torinesi e i piemontesi proprio per la loro storia avevano inculcato nel profondo di loro stessi.

I torinesi di un tempo si misuravano come i parigini, in quanto all’amore sviscerato per la loro città.

L’ultimo tentativo, o proposta mascherata, quella di aprire una succursale, o meglio una consorteria del Museo Egizio a Catania, ha invero dell’incredibile e non è detto che non ci riescano. Tutto dipende dal grado più o meno grave di decadenza morale e superficialità degli attori interessati e sono molti, anche torinesi, sono quelli di oggi, che hanno perso ogni senso di “torinesità”, intendo amore per la propria città, bisogna leggere il libro “Torino” di Vera Comoli Mandracci per capirlo. L’aspetto inquietante di questa faccenda è proprio la superficialità, per non dire altro, con la quale gli attori di ambo le parti dimostrano; Torino da un canto, Catania per un altro.

La presidente della Fondazione del Museo Egizio è la signora Cristillin, eccola di nuovo. Una tuttologa che colleziona posti di potere come tappi di bottiglia e lei che con le istituzioni museali torinesi preposte abboccano ancora, come sempre e alla richiesta catanese rispondono: perché no? “Non abbiamo posto per altri reperti pensateci voi catanesi”; tutto risolto. C’è persino un ministro, o qualcosa del genere, un tizio mi pare si chiami Franceschini, che in risposta alle proteste dei cittadini torinesi (mai informati) li taccia quali “provinciali”. Mai come in questa parola emergono la lontananza di Roma da Torino e la pochezza dell’uomo; bene che egli reciti il miserère.

Catania è una bella città con una grande storia, essa riflette il carattere della sua gente, molto aperto, diverso dalla nostra gente e il suo sindaco non deve parlare di Italia quando si tratta dell’Egizio.

Il Museo Egizio è Torino, la sua storia non è scindibile, esso rappresenta l’anima, il cuore e anche il carattere dei torinesi. Esprime a suo modo nel silenzio delle sue sale l’intensità dell’attenzione, l’osservazione, la visione del culto alla conoscenza millenaria racchiusa nel suo splendido statuario.

Torino nel 2024 celebrerà il due-centenario del suo Museo, questo è certo. La data corona una vicenda illustre; creato nel 1824 da Carlo Felice, re di Sardegna e insediato nel Palazzo Accademia delle Scienze, l’Istituto fu il primo “grande” del genere nel mondo, matrice della egittologia per studi condotti in esso da Jean François Champollion nello stesso anno 1824; aperto al pubblico nel 1831, arricchito per nuove acquisizioni nei periodi 1900-1914; 1960-1970 e oltre, conta fra i principali nel mondo (Da uno scritto del prof, Silvio Curto).

Torino, una città gloriosa e meravigliosa, capitale di un piccolo stato, poi capitale d’Italia e in seguito capitale industriale invidiata dalle potenze europee; oggi vive il suo spaventoso declino tra i ruderi delle sue industrie frutto delle dissennate scelte fatte da manager incapaci ma soprattutto da politici scellerati.

Ormai senza un futuro è città governata da fantasmi e abitata da ombre che vagano senza una meta.

Pur tuttavia gli operatori di quando tut andasìa bin, non hanno mai indossato giacche con impresso sulla schiena TORINO CAPITALE, non ne avevano bisogno, perché era una vera capitale.

 

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