Categoria: Emergenza migranti

Trattati Europei ed immigrazione – SECONDA PARTE

18 febbraio 2010

L’economia italiana è salvata dalle “Serie Storiche”.

Sono il nostro punto fermo, l’ultimo appiglio prima di precipitare nell’ignoto. L’ISTAT(?) ha reso pubblici i dati sulla caduta delle esportazioni nel 2009, meno 20,7% rispetto al 2008. Un saldo negativo annuo di 4 miliardi 109 milioni di euro. Il dato peggiore dal 1970, da 40 anni, da quando esistono le serie storiche. Il PIL 2009 è in calo del 4,9%. Il dato peggiore dal 1971, da 39 anni, da quando esistono le serie storiche. Secondo l’ISTAT la produzione industriale nel 2009 e’ diminuita del 17,4%. Il dato peggiore dal 1991, da 19 anni, da quando esistono le serie storiche. In mancanza di serie storiche la realtà sarebbe meno tranquillizzante. Le serie storiche sono il bromuro dell’informazione economica. Senza di loro, i dati 2009 sarebbero, più semplicemente, i peggiori di sempre.
Nel corso del 2016, la situazione reale è ulteriormente peggiorata, nel 2018 il sistema arranca…

 

L’eterno dilemma politico dell’Europa sull’immigrazione

di Kenan Malik , articolo del 19 luglio uscito sul The Guardian, Regno Unito (Traduzione di Giusy Muzzopappa)

04 febbraio 2016 19:14

L’Europa affronta una crisi legata all’arrivo dei migranti, ma non la crisi che immaginiamo. Il continente, infatti, si trova di fronte a un dilemma: da un lato, qualunque politica sulle migrazioni che voglia essere morale e praticabile non godrà, per il momento, di un mandato democratico; dall’altro, qualsiasi politica che abbia sostegno popolare sarà probabilmente immorale e impraticabile.
Il dilemma non dipende dal fatto che i popoli europei sono particolarmente inclini a politiche immorali o impraticabili, ma dal modo in cui, negli ultimi trent’anni, la questione dell’immigrazione è stata presentata dai politici di tutti gli schieramenti: come una necessità e come un problema con il quale fare necessariamente i conti.
Gli stessi politici, però, non esitano a definire razzista e irrazionale l’atteggiamento delle persone di fronte agli immigrati. Quando nel 2010 il laburista Gordon Brown definì la pensionata Gillian Duffy una “donna intollerante” perché aveva espresso delle preoccupazioni sui migranti provenienti dall’Europa orientale, espresse il disprezzo dell’élite politica nei confronti delle persone comuni e dei loro timori nei riguardi dell’immigrazione.
Molte delle politiche messe in atto nell’ultimo anno trasmettono la sensazione di un continente in guerra.
Un insieme di bisogni e desideri contraddittori è quindi sfociato in una serie incoerente e inapplicabile di politiche, paradossalmente esacerbate dalle norme sulla libera circolazione all’interno dell’Unione europea (Ue). L’area Schengen, il gruppo di paesi dell’Ue che hanno abolito il passaporto e altri controlli lungo le loro frontiere comuni, è stata istituita nel 1985. Oggi comprende 22 dei 28 membri dell’Ue, e altri quattro sono in attesa di poterci entrare. Solo due paesi, Regno Unito e Irlanda, non ne fanno parte.
Il sogno della libera circolazione nell’Ue ha generato allo stesso tempo una vera paranoia al suo interno. In cambio dell’area Schengen, infatti, è stata creata una fortezza Europa, una cittadella protetta dall’immigrazione da un sistema di sorveglianza ad alta tecnologia, fatto di satelliti e droni, e da recinzioni e navi da guerra. Un giornalista del settimanale tedesco Der Spiegel in visita alla sala operativa di Frontex, l’agenzia di controllo delle frontiere esterne dell’Ue, ha osservato che sembrava di parlare con persone che si trovano lì a “difendere l’Europa contro un nemico”.
Molte delle politiche messe in atto nell’ultimo anno trasmettono la sensazione di un continente in guerra. A giugno, un vertice di emergenza dell’Ue è sfociato in un piano in dieci punti che comprendeva l’uso della forza militare “per catturare e distruggere” le barche usate per trasportare illegalmente i migranti.
Poco dopo, l’Ungheria e altri paesi dell’Europa orientale hanno cominciato a erigere barriere di filo spinato. La Germania, l’Austria, la Francia, la Svezia e la Danimarca hanno sospeso le norme di Schengen e hanno reintrodotto controlli alle frontiere interne. A novembre l’Ue ha siglato un accordo con la Turchia, promettendo al paese 3,3 miliardi di dollari in cambio di maggiori controlli alle frontiere. A gennaio la Danimarca ha approvato una legge che permette la confisca di oggetti di valore ai richiedenti asilo come forma di risarcimento per il loro mantenimento.
Una migrante vicino al villaggio di Miratovac, al confine tra Serbia e Macedonia, il 27 gennaio 2016. (Armend Nimani, Afp)
Nonostante la sensazione di essere di fronte a una crisi senza precedenti, in realtà né la crisi in sé, né l’incoerente risposta dell’Ue rappresentano una vera novità.
Da più di un quarto di secolo le persone cercano di entrare in Europa rischiando la vita. Fino al 1991, la Spagna aveva una frontiera aperta con il Nordafrica, da dove i migranti partivano per compiere lavori stagionali e dove tornavano una volta finito. Nel 1986 una Spagna solo di recente democratizzata entrava nell’Ue. In quanto membro dell’Unione, ha dovuto tra le altre cose chiudere i confini con il Nordafrica. Quattro anni dopo, è stata ammessa nel gruppo di Schengen.
La chiusura delle frontiere spagnole non ha fermato i lavoratori migranti, che hanno cominciato a usare piccole imbarcazioni per attraversare il Mediterraneo e raggiungere la Spagna.
Il 19 maggio del 1991 sono arrivati a riva i primi cadaveri di migranti clandestini. Da allora si stima che più di ventimila persone siano morte nel Mediterraneo nel tentativo di entrare in Europa.
La Spagna ha due avamposti in Marocco, Ceuta e Melilla. Dopo l’ingresso nell’area Schengen, il paese ha costruito un bastione da trenta milioni di euro per sigillare le sue enclave separandole dal resto dell’Africa. L’Ue ha cominciato a pagare le autorità marocchine per rastrellare e imprigionare qualsiasi potenziale migrante, spesso con enorme brutalità.
L’approccio spagnolo ha offerto il modello per le successive politiche dell’Ue sulle migrazioni: una strategia tripartita fatta di criminalizzazione dei migranti, militarizzazione delle frontiere ed esternalizzazione dei controlli pagando a stati che non appartengono all’Unione, dalla Libia alla Turchia, enormi quantità di soldi per fare la guardia alla frontiera dell’Europa. Ancora una volta i migranti hanno cercato tragitti diversi, spesso più pericolosi. È per questo che tantissimi di loro stanno viaggiando attraverso la Grecia e i Balcani.
Rispetto a quanto accade in altre aree del pianeta, non si può certo dire che i profughi stiano ‘inondando’ l’Europa.
Per quanto i numeri siano alti, è bene contestualizzare le cifre relative ai migranti che arrivano in Europa: nel 2015 sono stati un milione, tra profughi e migranti, cioè poco più dello 0,1 per cento della popolazione europea. Ci sono già 1,3 milioni di rifugiati siriani in Libano, il 20 per cento della popolazione del paese. In proporzione, è come se l’Europa ospitasse 150 milioni di profughi. La Turchia, il paese sul quale l’Ue vorrebbe scaricare migranti e profughi, ospita già due milioni di rifugiati.
Rispetto a quanto accade in altre aree del pianeta, non si può certo dire che i profughi stiano “inondando” l’Europa. A sopportarne il peso maggiore sono alcuni dei paesi più poveri del mondo, e questo è l’aspetto più deprecabile delle politiche dell’Ue, perché sembrano poggiare sull’idea che solo i paesi poveri dovrebbero avere a che fare con migranti e profughi.
Il secondo fattore da tenere in considerazione nell’attuale crisi migratoria è il contesto politico.
La divisione tra socialdemocratici e conservatori emersa dopo la seconda guerra mondiale in Europa non è esiste più. La sfera politica si è ristretta per lasciare spazio a una forma di gestione tecnocratica piuttosto che di trasformazione sociale. Una delle tante conseguenze è la crisi della rappresentanza, la crescente sensazione delle persone di non contare niente davanti a istituzioni politiche sempre più lontane e corrotte.

 

Ostilità e panico

L’immigrazione non ha avuto alcun ruolo nel determinare i cambiamenti che hanno causato la frustrazione di così tante persone. Non è responsabile dell’indebolimento del movimento dei lavoratori, né della trasformazione dei partiti socialdemocratici o dell’imposizione di politiche di austerità. Tuttavia, l’immigrazione è diventata una specie di capro espiatorio per questi cambiamenti. Nel frattempo, l’Ue è diventata il simbolo della distanza tra le persone comuni e la classe politica. Il tutto è sfociato in una crescente ostilità nei confronti dei migranti e nel panico diffuso tra chi deve prendere decisioni politiche.
Allora cosa bisogna fare? È possibile conciliare l’adozione di politiche etiche e praticabili sulle migrazioni con le aspirazioni democratiche dell’opinione pubblica europea? Tanti sembrano voler fare a meno di un mandato democratico, altri sembrano disposti a rinunciare a una politica giusta e praticabile. L’opinione prevalente è che l’Europa abbia bisogno di controlli più rigidi, di recinti più alti, di più pattugliamenti militari. Anche se queste misure sembrano popolari e chi le promuove si dichiara “realista”, non si tratta solo di un approccio immorale, ma anche poco praticabile.
La storia degli ultimi 25 anni ci dice che a prescindere da quanto si rafforzi la fortezza Europa, recinti e navi da guerra non fermeranno i migranti. Né controlli più rigidi modificheranno la percezione del problema tra l’opinione pubblica. Trasformare ancora di più l’Europa in una fortezza non contribuirà ad attenuare il senso di frustrazione così diffuso. Gli “idealisti”, d’altro canto, cercano di promuovere politiche sull’immigrazione più etiche, ma sembrano disposti a fare a meno della volontà democratica per applicarle. Questo approccio non è più attuabile o più etico di quello realistico. Nessuna politica a cui l’opinione pubblica è ostile potrà mai funzionare. Politiche migratorie più liberali possono essere attuate solo con il consenso dell’opinione pubblica.
Come ha scoperto la cancelliera tedesca Angela Merkel, favorire una politica liberale sulle migrazioni senza prima conquistare il sostegno dell’opinione pubblica può essere disastroso. Ad agosto la Germania ha sospeso unilateralmente il regolamento di Dublino, la normativa europea in base alla quale i migranti devono fare richiesta di asilo nel primo paese dell’Ue in cui arrivano. Merkel non si è sforzata però di convincere la Germania del valore di questo nuovo orientamento politico. Il contraccolpo è stato fortissimo e dall’oggi al domani è stata costretta a tornare sui suoi passi e a reintrodurre i controlli alle frontiere. Tutto ciò ha determinato una maggiore ostilità nei confronti dei migranti e della stessa Merkel.
Nelle politiche sull’immigrazione non ci sono soluzioni rapide che consentono di tenere assieme le istanze dell’etica, dell’attuabilità e della democraticità. La crisi dei migranti va avanti da tanto tempo e, a prescindere dalle misure che saranno prese, non si risolverà nel giro di uno o due anni. Il problema di fondo non è tanto politico, ma di atteggiamento e percezioni.
Politiche migratorie più accoglienti possono essere attuate solo con il consenso dell’opinione pubblica, non a dispetto della sua opposizione. Conquistare questo consenso non è impossibile, non c’è nessuna legge secondo cui le persone debbano necessariamente essere ostili all’immigrazione. Ampi settori dell’opinione pubblica sono diventati ostili perché hanno finito per associare l’immigrazione con cambiamenti inaccettabili.
Ecco perché, paradossalmente, il dibattito sull’immigrazione non può essere vinto solo parlando di immigrazione, né la crisi dei migranti può essere risolta solo mettendo in atto politiche sulle migrazioni. Le paure attuali sono espressione di una più ampia sensazione di non avere voce e peso nella sfera politica. Finché non sarà affrontato questo problema, l’arrivo dei migranti sui lidi europei continuerà a essere considerato come una crisi.
 

 

19 luglio 2016, ore 18. ( A oggi 14/08/2018 non è cambiato nulla; Salvini, l’unico credibile, ha tutti contro. Non mollare Matteo).

In questi giorni l’Europa e non solo, è travolta da un terrorismo spietato, inumano, assassino.
Fatti tragici non nuovi, per cui lo stato dall’erta dei servizi d’informazione doveva essere massimo; erano prevedibili altri attacchi. Ebbene, la F.I.P. oltre al mare di chiacchiere inconcludenti, tavole rotonde, quadrate, esagonali, incontri parolai, tentennamenti, convegni dei cosiddetti “grandi”, cortei di massa, commemorazioni, celebrazioni con canti e suoni, processioni, dichiarazioni coraggiose e benedizioni papaline per i “piccoli” cittadini creduloni, quest’Europa appare immobile, confusa, poco affidabile, alle prese con la sua solidarietà da ente di assistenza che è da rivedere e rimettere in discussione, mentre la democratica Turchia esegue epurazioni e vuole reintrodurre la pena di morte.
Il paese dei balocchi (l’Italia) dovrebbe svegliarsi dalla catalessi e introdurre una sorta di “Addestranento militare” e creare “ Riservisti” con i giovani rimasti in patria, togliendoli dalla strada, dalla cronica disoccupazione e reinsegnare loro che la patria va protetta e la preziosa libertà salvaguardata, insieme con l’Esercito. Cosa succederà domani? Non lo sappiamo, ma in questa situazione dobbiamo aspettarci il peggio.

Carlo Ellena

 

28 luglio 2018

Il peggio è arrivato prima del cambio di governo; staremo a vedere!

 

14/08/2018 – da Carlo Ellena

A seguire propongo due articoli che mettono in luce l’arroganza inusitata dei plutocrati europei e l’assolutismo dichiarato dei comunisti italiani e loro complici al governo, palesate nelle chiare intenzioni qui espresse con assoluto disprezzo delle più elementari regole democratiche e civili. Questi individui sono sempre troppo pericolosi e si nota in modo chiaro nel disarmante e distruttivo modo di fare opposizione.

 

Immigrati, la bozza della Ue: “Accogliere sarà obbligatorio”

Gli immigrati saranno “spartiti” tra tutti gli Stati. E i rifugiati politici potranno spostarsi liberamente in tutta l’Unione europea

di Sergio Rame , articolo del 9 maggio 2015 uscito su il Giornale

Mercoledì la Commissione europea approverà la nuova Agenda sull’immigrazione.
La bozza è già pronta e, come anticipa Repubblica, contiene una vera e propria inversione di rotta nel contrasto agli sbarchi clandestini per prevenire altre stragi nel Mediterraneo. Il documento, che potrebbe ancora essere ritoccato, introduce l’obbligo per tutti i Paesi dell’Unione europea di accogliere chi sbarca sulle coste italiane, le missioni nei porti libici per distruggere o sequestrare i barconi agli scafisti, gli aiuti economici ai Paesi africani di transito e la Blu Card europea per allargare le maglie dell’immigrazione regolare.
Una volta incassato il via libera della Commissione europea, la nuova Agenda sull’immigrazione dovrà essere approvata dal Consiglio europeo e dal Parlamento di Strasburgo. La strada, quindi, è tutta in salita. Anche perché sono molti i Paesi che preferiscono politiche più restrittive. La bozza, invece, propone di creare un sistema di quote per ripartire i clandestini già presenti sul suolo dell’Unione europea. In questo modo verrebbero, finalmente, svuotati i centri di prima accoglienza italiani che oggi sono al collasso. Se, poi, a un immigrato verrà riconosciuto lo status di rifugiato, questo potrà spostarsi liberamente all’interno dell’Unione europea. È poi allo studio della Commissione l’istituzione di una sorta di Blu Card per favorire l’immigrazione regolare identificando specializzazioni e professionalità richieste.
Nella bozza dell’Agenda sull’immigrazione c’è poi tutto un capitolo dedicato al contrasto degli sbarchi. L’Ue punta ad avviare una missione militare per sequestrare e affondare i barconi degli scafisti. Per farlo le navi europee potranno andare a stanare i mercanti di uomini fino ai porti libici, quindi in acque territoriali libiche, un’eventualità che non trova d’accordo il governo di Tripoli. L’ambasciatore libico all’Onu, Ibrahim Dabbashi, ha già fatto sapere che la Libia non avvallerò interventi europei nelle sue acque. Per ovviare a questo stop l’Alto rappresentante per la politica estera della Ue, Federica Mogherini, sta facendo pressioni sul Consiglio di Sicurezza per incassare il via libera alla missione.
Infine, c’è pure un capitolo economico. Come già annunciato nelle scorse settimane, l’Ue triplicherà i soldi da destinare a Frontex per la missione Triton nel Canale di Sicilia e stanzierà aiuti economici per Paesi, come il Sudan, l’Ehitto, il Ciad e il Niger. L’obiettivo della Commissione europea è, da una parte, evitare nuovi stragi nel Mediterraneo e, dall’altra, contrastare la fame e la povertà che, insieme alla guerra e alle persecuzioni, sono tra le cause dell’immigrazione.

 

 

Alfano obbliga tutti i Comuni ad accogliere: “25 migranti ogni mille abitanti”

Allarme sbarchi. Il governo corre ai ripari. Siglato un accordo con l’Anci per distribuire i migranti su tutto il territorio italiano. Più incentivi ai sindaci che accolgono

di Sergio Rame , articolo del 10 agosto 2016 uscito su il Giornale

Gli sbarchi non si fermano, nemmeno quando c’è brutto tempo. I ricollocamenti negli altri Paesi dell’Unione europea sono in stallo.
E gli Stati che confinano con l’Italia (la Francia, la Svizzera e la Francia) hanno chiuso definitivamente le frontiere. E così il ministro degli Interni Angelino Alfano si trova a dover sistemare 145mila migranti. Il piano concordato nei giorni scorsi con l’Anci è distribuirli su tutto il territorio. Venticinque ogni mille abitanti. E per farlo andrà a raccattare strutture ovunque.
L’Italia è al collasso. L’emergenza immigrazione non travolge più soltanto le coste del Meridione. Certo, la pressione in regioni come la Sicilia è ancora pazzesca. Ma l’allarme si è spostato anche al Nord. Città come Ventimiglia, Milano e Como sono la dimostrazione plastica di un’accoglienza che non funziona. Solo nel capoluogo lombardo stazionano oltre 3.300 migranti. Non hanno un giacilio su cui dormire né un tetto sotto cui stare. I fondi per pagar loro da mangiare, poi, sono finiti. Eppure di rimandarli indietro, il governo Renzi proprio non ha intenzione. Non caccerà nemmeno quelli che non hanno diritto a stare qui. E così Alfano ha messo a punto un piano per sistemarli tutti quanti, spargendoli qua e là su tutto il territorio italiano. In base all’accordo raggiunto con l’Anci, illustrato oggi dal Messaggero, gli ottomila Comuni della Penisola italiana dovranno accogliere “2,5 migranti ogni cento abitanti”. Per convincere i sindaci riottosi, Alfano è disposto anche a mettere sul piatto un po’ di soldi.
Il primo obiettivo del Viminale è “decomprimere” le aree più a rischio. Situazioni, come Ventimiglia per esempio, che rischiano di degenerare in tensioni tra i cittadini e i migranti. “Sono state stabilite procedure per il nuovo funzionamento dello Sprar (il Servizio centrale di protezione per i richiedenti) – si legge nel decreto – a partire dai contenuti dell’intesa tra governo, Regioni e enti locali del 10 luglio 2014 al fine di attuare un sistema unico di accoglienza dei richiedenti e titolari di protezione internazionale attraverso l’ampliamento della rete”. Il ministero della Difesa si è già fiondato a ristrutturare le vecchie caserme. Nei prossimi giorni entreranno già a pieno regime i campi di Montichiari, che ospiterà 150 extracomunitari, e Messina, che ne ospiterà ben 300. A Milano, invece, i migranti verranno accolti nella caserma di Montello, anche se il sindaco Beppe Sala non esclude la possibilità di ricorrere a una sorta di tendopoli per sistemare gli ultimi arrivati. Ma è una coperta corta. Perché dal Mediterraneo continuano ad arrivare i barconi. E, prima o poi, lo spazio a disposizione sarà finito. A meno che il governo non inizi a far uscire dal Paese gli italiani per far posto ai migranti.

 

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Trattati Europei ed immigrazione – PRIMA PARTE

Schengen…e poi? I silenzi colpevoli dei politici europei.

Storia in sintesi dei molti Trattati sconosciuti ai cittadini europei.

L’ingannevole trasformazione dell’Accordo di Schengen dell’1 gennaio 1986, ovvero; la libera circolazione di tutti i cittadini degli Stati membri della C.E. all’interno dell’Europa, poi allargata a tutti gli extra-comunitari. Come si è arrivati a tale insensata (per noi semplici cittadini) situazione?

Trattato di Roma – Firmato il 25 marzo 1957

Il Trattato CEE, ufficialmente il “Trattato che istituisce la Comunità economica europea” ha istituito appunto la CEE. È stato firmato il 25 marzo 1957 insieme al Trattato che istituisce la Comunità europea dell’energia atomica (Trattato Euratom): insieme sono chiamati “Trattati di Roma” che insieme al Trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, ovvero la CECA, firmato a Parigi il 18 aprile del 1951, rappresentano il momento costitutivo delle Comunità europee. Il nome del Trattato è stato successivamente cambiato in Trattato che istituisce la Comunità europea (TCE) dopo l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht e di nuovo cambiato in Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona nel dicembre 2009.

 

 

Trattato (o accordo) di Schengen creato l’1 gennaio 1986 -Definizione-

L’accordo di Schengen è stato firmato inizialmente il 19 giugno 1990 fra i Governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni.
Di seguito i Governi del Regno del Belgio, della Repubblica federale di Germania, della Repubblica francese, del Granducato di Lussemburgo e del Regno dei Paesi Bassi consapevoli che l’unione sempre più stretta fra i popoli degli Stati membri delle Comunità europee deve trovare la propria espressione nella libertà dell’attraversamento delle frontiere interne da parte di tutti i cittadini degli Stati membri e nella libera circolazione delle merci e dei servizi.

 
 

 

Il Trattato di Maastricht, o Trattato dell’Unione europea
firmato il 7 febbraio 1992

È un trattato che è stato firmato il 7 febbraio 1992 a Maastricht nei Paesi Bassi, sulle rive della Mosa, dai 12 (dodici) paesi membri dell’allora Comunità Europea, oggi Unione europea, che fissa le regole politiche e i parametri economici necessari per l’ingresso dei vari Stati aderenti nella suddetta Unione. È entrato in vigore il 1º novembre 1993.

OBIETTIVI
Con il trattato di Maastricht, risulta chiaramente sorpassato l’obiettivo economico originale della Comunità – ossia la realizzazione di un mercato comune – e si afferma la vocazione politica.
(Questa decisione, presa uniteralmente dai politici, di fatto accantona definitivamente l’affermazione dell’Europa dei popoli per abbracciare la tesi dell’Europa politica; tesi aborrita a Ventotene da Altiero Spinelli, uno dei padri fondatori).
In tale ambito, il trattato Maastricht consegue cinque obiettivi essenziali:

  • rafforzare la legittimità democratica delle istituzioni;
  • rendere più efficaci le istituzioni;
  • instaurare un’unione economica e monetaria;
  • sviluppare la dimensione sociale della Comunità;
  • istituire una politica estera e di sicurezza comune.

 
 

 

Il Trattato di Amsterdan; firmato il 2 ottobre 1997

L’accordo di Schengen (1990) è stato fatto FUORI dal Trattato dell’Unione Europea (Maastricht).
Il Trattato di Amsterdam (firmato nel 1997) modifica il Trattato di Maastricht e codifica i valori fondanti dell’Unione stessa (libertà, democrazia ecc.). Alcune materie inserite nel Trattato di Maastricht come: visti, asilo, immigrazione e cooperazione giudiziaria in materia civile, vengono “comunitarizzate”, cioè soggette al T. di Maastricht.
(Con il T. di Amsterdam gli Accordi di Schengen vengono integrati nei Trattati europei)
Trattato di Amsterdam che modifica il Trattato sull’Unione Europea, i Trattati che istituiscono le Comunità europee e alcuni atti connessi al Trattato firmato il 2 ottobre 1997 dagli allora 15 Stati membri dell’Unione Europea (Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Svezia) ed entrato in vigore il 1° maggio 1999. Perfeziona il disegno istituzionale delineato con il Trattato di Maastricht (➔), contenente una disposizione che invitava gli Stati membri a convocare una Conferenza intergovernativa (CIG) per la sua revisione. Nel dicembre 1995, le istituzioni comunitarie avevano presentato le proprie riflessioni al Consiglio europeo di Madrid, che recepiva la volontà di «andare oltre Maastricht». La CIG, incaricata di negoziare il nuovo Trattato, diede inizio ai lavori nel corso del Consiglio europeo di Torino del 29 marzo 1996, per concluderli in occasione del Consiglio europeo informale di Noordwijk del 23 maggio 1997.
Il T. di Amsterdan procede alla semplificazione dei trattati precedenti attraverso l’abrogazione delle disposizioni diventate obsolete e la rinumerazione degli articoli. Codifica, inoltre, i valori fondanti dell’Unione, che sono i principi di libertà, democrazia e rispetto dei diritti della persona e delle libertà fondamentali, oltre che dello Stato di diritto (art. 6, par. 1). Dispone, altresì, che la loro violazione da parte di uno Stato membro possa portare alla sospensione dei diritti di voto, finanche di quello in seno al Consiglio.

All’interno del trattato di Maastricht esisteva già una disposizione che invitava gli stati membri a convocare una Conferenza intergovernativa (CIG) per la sua revisione. Nel 1995 ciascuna istituzione presenta le proprie riflessioni e chiede di “andare oltre Maastricht”: una relazione in tal senso viene presentata al Consiglio europeo di Madrid del dicembre 1995. Proprio l’insoddisfazione alle modifiche istituzionali, spinse i capi di Stato e di governo a prospettare subito un’ulteriore modifica del sistema istituzionale “prima che l’Unione conti venti membri”. I paesi membri sono consapevoli della necessità di approfondire l’integrazione, soprattutto nei due nuovi “pilastri” introdotti appunto con il trattato che ha visto nascere l’UE. La CIG si apre al Consiglio europeo di Torino del 29 marzo 1996 e si conclude al Consiglio europeo informale di Noordwijk del 23 maggio 1997. Il trattato firmato ad Amsterdam contiene innovazioni che vanno nella direzione di rafforzare l’unione politica, con nuove disposizioni nelle politiche di libertà, sicurezza e giustizia, compresa la nascita della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, oltre all’integrazione di Schengen. Altre disposizioni chiarificano l’assetto della Politica estera e di sicurezza comune, con la quasi-integrazione dell’UEO, mentre viene data una rinfrescata (insufficiente) al sistema istituzionale, in vista dell’adesione dei nuovi membri dell’est.

Le cooperazioni rafforzate

Infine, il T. di Amsterdam prevede l’importante strumento delle cooperazioni rafforzate, in virtù del quale alcuni Stati membri possono, previa autorizzazione del Consiglio e nel quadro delle competenze dell’Unione, avviare tra loro forme di integrazione più profonda in un determinato settore, con l’utilizzo di istituzioni, procedure e meccanismi stabiliti dai trattati. L’esigenza di permettere ad alcuni Stati membri di procedere a forme d’integrazione più stretta rispetto ad altri si era fatta sentire in misura sempre maggiore con l’ingresso nell’Unione di nuovi Paesi, che avevano aumentato l’eterogeneità di posizioni su politiche specifiche e, più in generale, sulla visione del futuro della UE. Il Trattato di Nizza ( Trattato di Nizza che modifica il Trattato sull’Unione Europea, i Trattati che istituiscono le Comunità europee e alcuni atti connessi), ha poi esteso la possibilità di utilizzare le cooperazioni rafforzate anche al settore della politica estera e della sicurezza.
 

 

Il Trattato di Nizza – Firmato il 26 febbraio 2001, in vigore dal 2003

Il trattato di Nizza è uno dei trattati fondamentali dell’Unione europea, e riguarda le riforme istituzionali da attuare in vista dell’adesione di altri Stati. Il trattato di Nizza ha modificato il trattato di Maastricht (TUE) e i trattati di Roma (TFUE). È stato approvato al Consiglio europeo di Nizza, l’11 dicembre 2000 e firmato il 26 febbraio 2001. Dopo essere stato ratificato dagli allora 15 stati membri dell’Unione europea, è entrato in vigore il1º febbraio 2003.L’obiettivo del trattato di Nizza è relativo alle dimensioni e composizione della commissione, alla ponderazione dei voti in consiglio e all’estensione del voto a maggioranza qualificata, e infine alle cooperazioni rafforzate tra i paesi dell’Unione europea.

Clausole dell’accordo

Il trattato di Nizza in particolare introduce:

  • nuova ponderazione dei voti nel Consiglio dell’Unione europea,
  • modifica della composizione della Commissione europea,
  • estensione della procedura di codecisione e modifica del numero di deputati al Parlamento europeo per ogni Stato membro,
  • estensione del voto a maggioranza qualificata per una trentina di nuovi titoli.
  • riforma per rendere più flessibile il sistema delle cooperazioni rafforzate
  • nuova ripartizione delle competenze tra Corte e Tribunale

Nell’ambito del Consiglio europeo di Nizza è stata solennemente proclamata la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che però non è entrata a far parte del trattato.

Passi successivi

Nel dicembre 2001 il Consiglio europeo ha approvato la Dichiarazione di Laeken con lo scopo di far partire un dibattito più ampio e più approfondito sull’avvenire dell’Unione europea che è approdato nella Convenzione europea. Il trattato costituzionale europeo scaturito da questa Convenzione è abortito a causa della vittoria dei no nei referendum di Francia e Paesi Bassi nel 2005 ed è stato sostituito dal trattato di Lisbona entrato in vigore il 1º dicembre 2009.
 

 

Trattato di Lisbona, in vigore dal 1° dicembre 2009

Il Trattato di Lisbona, noto anche come Trattato di riforma – ufficialmente Trattato di Lisbona che modifica il trattato sull’Unione europea e il trattato che istituisce la Comunità europea – è il trattato internazionale, firmato il 13 dicembre 2007, che ha apportato ampie modifiche al Trattato sull’Unione europea e al Trattato che istituisce la Comunità europea. In realtà è una sorta di Costituzione Europea inserita nel Trattato di Lisbona. Un altro ben congegnato imbroglio per i cittadini europei.
Rispetto al precedente Trattato, quello di Amsterdam, esso abolisce i “pilastri”, provvede al riparto di competenze tra Unione e Stati membri, e rafforza il principio democratico e la tutela dei diritti fondamentali, anche attraverso l’attribuzione alla Carta di Nizza del medesimo valore giuridico dei trattati.
È entrato ufficialmente in vigore il 1º dicembre 2009
 

 

La Costituzione europea

Il trattato di Lisbona fu redatto per sostituire la Costituzione europea bocciata dal “no” dei referendum francese e olandese del 2005. L’intesa è arrivata dopo due anni di “periodo di riflessione” ed è stata preceduta dalla Dichiarazione di Berlino del 25 marzo 2007, in occasione dei 50 anni dell’Europa unita, nella quale il cancelliere tedesco Angela Merkel e il presidente del Consiglio dei ministri italiano Romano Prodi esprimevano la volontà di sciogliere il nodo entro pochi mesi, al fine di consentire l’entrata in vigore di un nuovo trattato nel 2009 (anno delle elezioni del nuovo Parlamento europeo).
Nello stesso periodo nasce a tal fine il cosiddetto “Gruppo Amato”, chiamato ufficialmente “Comitato d’azione per la democrazia europea” (in inglese “Action Committee for European Democracy” o ACED) e supportato dalla Commissione europea (che ha inviato due suoi rappresentanti alle riunioni), con il mandato non ufficiale di prospettare una riscrittura della Costituzione basata sui criteri che erano emersi durante le consultazioni della Presidenza tedesca con le varie cancellerie europee. Il risultato è stato presentato il 4 giugno 2007: il nuovo testo presentava 70 articoli e 12.800 parole, circa le stesse innovazioni della Costituzione (che aveva 448 articoli e 63 000 parole) diventando così il punto di riferimento per i negoziati.
Il Consiglio europeo di Bruxelles, sotto la presidenza tedesca, il 23 giugno 2007 raggiunse l’accordo sul nuovo Trattato di riforma.
 

 

Dublino III, la convenzione europea sui migranti e le sue falle. Il regolamento di Dublino, nelle sue versioni II e III, è il testo che norma la richiesta di asilo da parte di cittadini extracomunitari che fuggono da paesi in guerra o persecuzioni di natura politica o religiosa.

di MARIA TERESA SANTAGUIDA

15:29 – Siglata per la prima volta nel 1990, la convenzione di Dublino regola la valutazione delle domande di asilo politico nel territorio europeo. Rivista e corretta nel 2003 e poi nel 2013, la sua versione in vigore dal 2014 prevede che la richiesta sia esaminata nel Paese di arrivo: visto che la maggioranza degli extracomunitari viaggia via Mare nel Mediterraneo e approda sulle coste italiane, si tratta quasi sempre dell’Italia.

Il principio ispiratore – Alla base di Dublino III c’è il principio che la richiesta di asilo debba essere fatta nel primo Paese in cui si mette piede. La norma risale alla prima stesura della convenzione nel 1990 ed era contenuta anche nel trattato di Schengen dello stesso anno. Obiettivo iniziale era che almeno uno degli Stati membri si prendesse carico delle richieste per l’ottenimento dello status di rifugiato politico in modo da regolare in modo ordinato e cooperativo i flussi.

L’imprevisto – Nel trattato, il caso di “ingresso illegale” in Ue è considerato come se fosse un’eccezione, ma nel corso dell’ultimo decennio, come insegnano le cronache, questa è diventata la regola ed è la causa primaria dei molti problemi diplomatici sul tema migranti fra gli Stati Europei.

La procedura – Teoricamente a ogni immigrato irregolare dovrebbero essere prese le impronte digitali, che poi devono essere inserite nella banca dati Eurodac. In questo caso l’obiettivo è quello di tracciare l’ingresso dei migranti in modo tale che non presentino la richiesta contemporaneamente in diversi Paesi. Se accade che la richiesta viene presentata ad una nazione diversa da quella in cui il migrante è entrato in Europa, allora può essere rimandato indietro nel Paese di primo approdo. L’uso delle impronte digitali, secondo alcune associazioni umanitarie è al limite del diritto, poiché è una procedura utilizzata solitamente con chi ha commesso un crimine, ma è il portato dell’ingresso illegale, nel 1990 ancora considerato alla stregua di un reato.

L’attuazione – Alcuni Paesi, in primis la Grecia ma anche l’Italia, oberati dai flussi migratori, per qualche tempo hanno lasciato passare i migranti senza identificarli, per fare in modo che potessero inoltrare la richiesta nel Paese in cui veramente volevano poi risiedere. Una specie di accordo tacito fra gli Stati Europei faceva in modo che, su volumi ridotti, l’infrazione della regola sottoscritta a Dublino venisse tollerata. Contemporaneamente però la prassi aumentava il sospetto reciproco tra gli Stati. L’Italia adesso ha invertito la rotta, tentando di rispettare le regole per mantenere una buona reputazione e parallelamente condurre una battaglia per la modifica di Dublino III.

La contraddizione – La rigidità del trattato ha prodotto negli anni la situazione paradossale per cui da un lato c’è un richiedente asilo che non vuole stare in un Paese e dall’altro lo stesso Paese che lo ospita che non vorrebbe o non può tenerlo. Gli Stati sanno che se salvando un migrante nelle proprie acque territoriali dovranno poi farsi carico anche della sua tutela: un ulteriore fardello soprattutto per i Paesi affacciati sul mare.

I respingimenti – Secondo le statistiche pubblicate dal ministero dell’Interno e basate su dati Eurostat lo Stato con il maggior numero di casi di respingimento è la Germania: nel 2013 sono state 4.316 le riammissioni attive, ovvero espulsioni di richiedenti asilo verso il Paese attraverso cui sono entrati in Europa; nel 2008 erano 2.112, meno della metà. Subito dopo c’è la Svezia con 2.869 riammissioni attive nel 2013. Per quanto riguarda le riammissioni passive, a guidare la classifica c’è proprio l’Italia dove nel 2013 sono state rimpatriate 3.460 persone che erano entrate in Europa attraverso il nostro Paese ma che hanno chiesto asilo da un’altra parte. Un balzo avanti enorme rispetto al 2008 quando le riammissioni passive erano state solo 996. Le riammissioni attive in Italia invece nel 2013 sono state solo 5, verso l’Austria. Dopo di noi il maggior numero di riammissioni passive c’è stato in Polonia, altro Paese di confine: 2.442 nel 2013. Il totale delle riammissioni attive in tutta l’Unione europea nel 2013 è stato di 16.014.

Sospensione parziale del regolamento nel corso della crisi migratoria del 2015

Ai sensi del regolamento di Dublino, se una persona che aveva presentato istanza di asilo in un paese dell’UE attraversa illegalmente le frontiere in un altro paese, deve essere restituita al primo stato. Durante la crisi europea dei migranti del 2015, l’Ungheria venne sommersa dalle domande di asilo di profughi provenienti dall’Asia; a partire dal 23 giugno 2015 ha iniziato a ricevere indietro i migranti che, entrati in Ungheria attraverso la Serbia, avevano successivamente attraversato i confini verso altri paesi dell’Unione europea. Il 24 agosto 2015, la Germania ha deciso di sospendere il regolamento di Dublino per quanto riguarda i profughi siriani e di elaborare direttamente le loro domande d’asilo. Altri stati membri, come la Repubblica Ceca, l’Ungheria, la Slovacchia e la Polonia, hanno di recente negato la propria disponibilità a rivedere il contenuto degli accordi di Dublino e, nello specifico, a introdurre quote permanenti ed obbligatorie per tutti gli stati membri.
 

Riflessioni sugli avvenimenti sopra-descritti (Oggi con la determinazione del Ministro dell’Interno Matteo Salvini, la situazione è molto cambiata)

Questa Convenzione, Regolamento, Trattato o Accordo, in definitiva il nome conta poco o nulla, è dato solo per confondere; invece ha molta importanza il contenuto, in quanto l’Italia, che si affaccia sul Mediterraneo, è stata lasciata sola almeno per un decennio ad accogliere i profughi, mentre gli altri stati europei, ciechi e sordi e ben contenti di scaricare le responsabilità, guardavano da un’altra parte. Si sono resi conto solo quando il problema, oramai ingigantito, ha raggiunto i loro confini. Una grossa colpa ha il ministro italiano (Alfano) che, incaricato di negoziare la convenzione, è stato incapace di battere i pugni e imporre le nostre ragioni.
Quest’Unione Europea delle convenienze e degli opportunismi ha tradito i valori iniziali della democrazia imboccando la strada della disgregazione; si sta verificando una sorta di “effetto domino”.
Il filo spinato e le barriere sono la giusta risposta di cittadini inconsapevoli ai politici e ai burocrati di Bruxelles che hanno ignorato il coinvolgimento di tutti gli europei, in specifico gli italiani.
Alla luce di questi fatti, l’aspetto drammatico e antidemocratico, è che tutti gli Accordi, Trattati, Regolamenti, Carte, dichiarazioni varie e Convenzioni, sono contenuti in decine di migliaia di cavillosi documenti che costituiscono una tale mole da rendere, in pratica, impossibile la consultazione. Tuttavia il compito che i politici responsabili di ogni Stato membro avrebbero dovuto svolgere è di rendere pubblici i contenuti, illustrarli ai rispettivi cittadini e introdurli nelle scuole.
Nella realtà sono importantissime decisioni prese all’oscuro della maggior parte dei cittadini europei, mai informati, né consultati e per i quali altri si sono arrogati impunemente il diritto di decidere violando le più elementari regole democratiche – il viatico del Trattato di Schengen del 1986. Sono queste decisioni che oggi rischiano di frantumare la già malconcia Comunità Europea e le conseguenze di questi abusi, oggi ricadono pesantemente sulle spalle delle varie popolazioni europee, alla testa ci sono gli italiani.
A partire dal Trattato di Schengen del 1989, al trattato di Lisbona del 2009, per arrivare ad oggi, anno 2016, sono stati ventisette anni di silenzi e tortuose macchinazioni. Si è mentito agli europei tirando in ballo sempre e solo gli “Accordi di Schengen”, o semplicemente citando “Schengen” (che in realtà sanciva la libera circolazione di persone e merci in Europa ma ai soli europei), come sbrigativa giustificazione a una sorta di commercio umano crudele, disorganizzato, nel nome di una falsa “solidarietà”. I cittadini europei, giustamente spaventati da questa improvvisa, interminabile massa di extracomunitari che in breve tempo hanno attraversato senza controlli le frontiere invadendo i territori, hanno opposto resistenza elevando barriere di protezione per garantire la propria sicurezza. Tutto questo, fra le violente proteste dei politici e burocrati della Comunità Europea, la quale invece di organizzarsi e prendere decisioni sull’ordine e salvaguardia dei propri territori urla insulti contro i paesi “ribelli” con insulse, minacciose e pericolose prese di posizione.
È il logico risultato di una politica burocratizzata di vertice, arrogante, autoritaria, ottusa, sorda e ceca, la quale, senza la minima visione delle conseguenze future, isolata nella sua bolla di potere, si è arrogata il diritto di decidere, escludendo i cittadini di vari stati europei a esercitare il loro diritto di voto, violando i valori fondanti dell’Unione: “i principi di libertà, democrazia e rispetto dei diritti della persona e delle libertà fondamentali”.
Oggi sono proprio i popoli europei a pagare i pesanti costi non solo in denaro ma soprattutto le cause delle profonde incomprensioni per le differenze religiose, di cultura e sistemi di vita di queste popolazioni.
La gente comune è disorientata, con ragione non comprende questa forma d’integrazione imposta quasi con violenza, spinta oltre ogni limite attraverso disposizioni venute dall’alto, in nome di una solidarietà di comodo, che obbliga i cittadini a convivere con queste genti, creando disagio e diffidenza, anche per i trattamenti di favore elargiti dallo stato a queste persone, povere fin che si vuole ma in un periodo di grave crisi per la mancanza di lavoro oramai cronica che le sinistre italiane al governo non risolveranno mai. Un’infausta e imprudente operazione sostenuta con forza anche con la complicità della chiesa di Roma in nome di una distorta solidarietà papalina.
L’Italia, immobile dai primi anni’80, da tempo è governata da un sistema centralista di sinistra di stampo catto-comunista che l’ha impoverita culturalmente, moralmente e strutturalmente, annientando, in particolare a Torino, un prezioso apparato industriale e d’impresa. Negli anni sessanta, i politici con i sindacati della sinistra hanno operato senza scrupoli un vero sfacelo nel mondo del lavoro inculcando nelle giovani generazioni la cultura del diritto, in cui tutto deve essere facile, operando inoltre una sistematica “disistruzione” scolastica verso gli studenti, relegando in un canto come formule passatiste, il senso del dovere, i veri valori del lavoro, che è fatica, della famiglia, del proprio paese e della stessa Unione Europea.
Ancora oggi nelle scuole italiane manca l’Educazione Civica, una materia che dovrebbe essere obbligatoria, essa comprende l’insegnamento della Carta Costituzionale, un documento che ogni buon cittadino è tenuto a conoscere e imparare. Introdotta dallo statista Aldo Moro nel 1958, dopo il suo assassinio questa materia è stata praticamente cassata dall’ordinamento scolastico e mai più ripresa. Neppure la riforma scolastica della Gelmini nel 2008 prevede che l’Educazione Civica sia una materia vera e propria, come molti altri aspetti alquanto discutibili. Ma statisti come Aldo Moro l’Italia non li avrà mai più, non per nulla siamo sprofondati nel vuoto assoluto della superficialità e dell’incultura. Sui veri valori dei Trattati Europei e non solo, si è sempre taciuto, in Italia poi i cittadini non sono mai stati coinvolti in consultazioni popolari; una vergogna in un paese che si proclama di fronte al mondo modello di democrazia, ma i nodi stanno arrivando al pettine. C’è un diffuso, generale malcontento e molti stati dell’Unione meditano di uscire da questa Unione Europea. L’unica alternativa possibile per salvare veramente l’Europa dal possibile fallimento, se ne convincano tutti i membri, è dare ad essa una nuova struttura politica di modello Federale, com’era stata la proposta iniziale dalla Germania e subito rifiutata; ma i tempi erano diversi e con uomini politici di ben altra statura che avevano una chiara visione del futuro…

Carlo Ellena

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Nel totale caos elettorale, la palude Italia affonda nel mar Mediterraneo

Sono pensieri di un semplice cittadino, tralasciando dati statistici, false inchieste, menzogne vergognose, sondaggi truccati, grafici e percentuali gonfiate, che il cosiddetto uomo della strada non comprende ma non ne ha necessità, poiché egli  vive sulla sua pelle l’immane fatica quotidiana per la sopravvivenza.

Qual è in classifica l’attuale Repubblica Italiana? La 2°, la 3° o la 4°, abbiamo perso il conto. Sono ben 103 (centotre, incredibile, ma sarà finita? Ma 5 anni fa erano 219) i simboli presentati dai vari capi di partito. Pseudo politici che fingeranno di accapigliarsi per la scalata ai lauti stipendi, ai privilegi e la preziosa immunità. Quante facce nuove? Quasi nessuna, anche se molte di quelle nuove sono peggiori delle vecchie; e i programmi? Sono un comodo pretesto, un motivo per affrontare nelle piazze (come fanno i battitori da mercato) gli italiani. Sfrontatezza, impreparazione, nessuna visione politica della realtà e arroganza da intoccabili contraddistingue queste ultime generazioni di uomini politici. Costoro presentano programmi elettorali impossibili o copiati quasi di sana pianta da altri di triste memoria, mai realizzati dal punto più importante: il lavoro, quello vero, fatto con mani e cervello e non con parole, calcio, canzonette e banalità simili che da qualche decennio sono la cultura imperante del nostro paese.

 

Il difficile e disagiato rapporto con gli extracomunitari e la fuga da Torino

Prendiamo un esempio che fa testo per il percorso storico che ha seguito: il Piemonte, con Torino Capitale d’Italia, poi capitale industriale, capoluogo della Regione e fabbrica del lavoro per oltre un secolo a tutti gli italiani. La vecchia capitale ha subito, per volontà politiche di ultra-sinistra e in un tempo relativamente breve, la distruzione del suo apparato industriale. La bella Torino è ridotta, oggi, a una malfamata e puzzolente suburra composta da povera gente proveniente dai vari paesi africani e frotte di disoccupati-sfaccendati che non hanno patria. La decadenza della città non è casuale, è stata perseguita con manifesta volontà, sino a essere ridotta a Ente Regionale di carità e ricovero per disperati, mantenuti e coccolati, a scapito dei torinesi e piemontesi che, esasperati di essere, loro malgrado, i pagatori di questo “obbligo d’imposta”, o fuggono, o attendono che chissà, forse qualcosa cambi con le prossime votazioni politiche. Si tratta di una vera e propria fuga, che con questi ritmi, fra pochi anni Torino sarà un sottoprodotto africano; a questo punto ecco risuonare l’eco del fatidico “razzisti!”, dai falsi buonisti ma lo è esattamente al contrario e con cotanta arroganza per cui i piemontesi e torinesi emigrano. In buona parte sono pensionati, mentre molti giovani scelgono il Nord-Nord Est europeo ma anche oltre, per lavorare e trovata un’occupazione se ne vanno con la famiglia.

Alcuni giorni or sono, un amico settantacinquenne, recatosi in visita al Museo Egizio con alcuni parenti, mi ha raccontato un fatto inaudito cui è stato testimone. In coda alla biglietteria, li precedeva una coppia di africani, la quale, fra lo stupore dei presenti, pagava non due ma un solo biglietto, alla domanda dell’amico del perché di tale trattamento la laconica risposta sottotono era: “Disposizioni superiori”, ma non era finita, poiché l’amico chiedeva lo sconto applicato agli ultrasessantacinquenni la risposta era stata: “ Non c’è più, lo sconto è stato abolito”.

Lasciando a parte lo sconto, nella città di Torino il trattamento di favore riservato a questi stranieri è allargato anche nella Sanità e in molte altre strutture comunali di assistenza gratuite.

Il sistema ha un chiaro significato politico: che il cittadino è stato retrocesso in seconda, o terza classe nelle priorità rispetto agli extracomunitari. Non c’è stata mai una direttiva mirata a un sistema di regolamentazione all’entrata in Italia; tutti ma proprio tutti sono passati senza alcun controllo del flusso, tantomeno sanitario. Queste persone usufruiscono di vergognosi, quanto costosi privilegi che la città riserva loro, per cui il cittadino, che da vari anni subisce tali trattamenti e che nonostante il cambio di governo cittadino persistono, lo ripeto, se ne va per non più tornare.

 

La pessima scuola statale e i progetti della Regione Piemonte per le nuove famiglie piemontesi

Cambiare la scuola ritornando al passato.

L’Educazione civica – una materia troppo importante che deve essere ripresa in una legge e inserita com’era un tempo nei programmi scolastici. Materia che il benemerito On. Moro aveva reintrodotto nella scuola ma che dopo la sua morte è ben presto sparita.

La Costituzione italiana deve essere inclusa nell’Educazione Civica. È da seguire l’iniziativa adottata per gli studenti diciottenni nelle scuole di Cuneo d’introdurla nei programmi.

L’educazione sportiva è altrettanto fondamentale per insegnare ai giovani che non esiste solo il “calcio”; oggi non è più sport ma ricettacolo di violenza, volgarità, partite truccate e altri brogli. Lo sport agonistico autentico si può trovare nell’atletica leggera; inoltre fare sport non significa solo divertimento, poiché in questo attributo è insito lo sport stesso, esso è già, di per sé, divertimento e socialità. Mentre nelle scuole elementari torinesi, in modo astutamente perverso s’invitano i ragazzi alla solidarietà e all’accoglienza, non si fa scuola e non s’insegna affatto, si fa già politica dalla prima infanzia, a ragazzi di primo pelo, sfruttando la loro  ingenuità e capacità d’apprendimento. Ben altro trattamento è riservato agli stranieri; con il progetto Petrarca si sono avviati 300 (trecento) corsi di lingua italiana. Notizia tratta dal bollettino regionale d’informazione “Piemonte Newsletter”  n° 2 del 19 gennaio 2018.

Un declino a questo punto irreversibile per la città, che perde la parte migliore, per incamerare miseria e altro di molto peggio ma forse vi sono oscuri motivi che a noi, vecchi piemontesi educati al lavoro, paiono incomprensibili. Cosa realmente significa “innovazione sociale?”; spese improduttive per servizi inutili? Qual è il vero significato?

Riporto parte di un lungo, articolo sulle Politiche Sociali che tutti dovrebbero leggere, apparso sul periodico della Regione Piemonte “NOTIZIE” di Dicembre 2017, dal titolo “Welfare sì, ma con l’innovazione”. Nell’articolo ci paiono invece ben comprensibili alcuni Progetti Territoriali sui quali l’Assessore Ferrero afferma: “Questa prima misura mira a concepire le politiche sociali non come risposta emergenziale ai bisogni espressi dalla collettività ma come la creazione di un processo d’innovazione che consenta di generare un cambiamento nelle relazioni sociali e risponda ai nuovi bisogni ancora non soddisfatti dal mercato o crei risposte più soddisfacenti a bisogni esistenti”. Il bando di “Sperimentazione di azioni innovative di welfare territoriale”, pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte del 2 novembre 2017, è rivolto a raggruppamenti composti da soggetti pubblici e privati costituiti e costituenti composti dai seguenti beneficiari: le Ats (Associazioni temporanee di scopo composte da soggetti pubblici), gli enti gestori delle funzioni socio-assistenziali (Distretti della Coesione sociale) e uno o più enti del terzo settore o associazioni di volontariato con sede nel territorio piemontese. La definizione dei Progetti Territoriali e delle loro finalità avviene a livello territoriale nei 30 Distretti della Coesione sociale che devono essere oggetto di una pianificazione integrata che, definendo rapporti strategici, li porti ad essere incubatori di sviluppo locale, sfruttando la ricchezza e la varietà dei settori produttivi, del lavoro, culturali, sociali e ambientali presenti sui territori. L’assessora Gianna Pentenero afferma (tra altre cose) “che attraverso i Distretti si può, ad esempio, realizzare forme innovative di welfare per il contrasto alla povertà, interventi volti a favorire l’inclusione lavorativa di persone con fragilità e misure in grado di contrastare il disagio sociale”.

Attenzione; quest’articolo abbonda di parole ampollose, fumose, che servono per concludere, alla buon’ora, con una dichiarazione d’intenti molto chiara dell’assessora Monica Cerutti: L’opportunità offerta è quella di mettere in campo innovazione nell’ambito sociale che guardi alle trasformazioni della comunità piemontese, che non sono solo il generale invecchiamento, ma anche l’evoluzione delle famiglie, non più composte secondo il modello tradizionale e con una significativa presenza di persone di origine straniera”. La chiusa è determinante: “Il bando ha rappresentato la prima tappa del piano di sperimentazioni per l’innovazioni sociale, che si articola in cinque misure diverse attuate attraverso il Fondo Sociale Europeo e il Fondo Europeo di sviluppo regionale, stanziando risorse complessive per circa 20 (Venti) milioni di Euro. Tutte le azioni dovranno avere un minimo comun denominatore: stimolare progetti sui territori, che dimostrino sostenibilità e replicabilità per promuovere coesione e inclusione sociale”.

Non un commento sulla più grave crisi di lavoro del dopoguerra, si sostiene solo la “coesione e inclusione sociale”. Un Ente Regione che sperpera somme enormi di fondi europei con l’Europa complice, che ignora i cittadini, le loro giuste proteste, le paure per il futuro, ed elargisce milioni per una causa (l’accoglienza italiana agli extracomunitari) oramai già persa e che ha diviso profondamente l’Italia e questa improbabile Grande Patria europea.

Non s’illudano i piemontesi di avere dalla Regione (e dallo Stato) trattamenti migliori, tantomeno un’attenzione particolare per le aziende e il lavoro, non per risorse in denaro, quanto per l’eliminazione dell’elefantiaco apparato burocratico che scoraggia e frena l’efficienza delle imprese supersiti, del commercio e dell’artigianato, il quale ha perso la gran parte dei maestri di mestiere; gli anziani portatori d’esperienza e dell’eccellenza artigiana. Dall’articolo è ben chiaro che la Regione Piemonte è fortemente determinata non solo nell’accoglienza agli extracomunitari (dando loro i corsi d’italiano gratuiti) ma a inserirli sempre di più nel contesto sociale e questo è l’assurdo, nelle famiglie piemontesi, considerando gli stranieri un fatto acquisito, stabile, quali nuovi piemontesi.   

Se i cittadini se ne vanno, è per mancanza di lavoro, di tutela, di buona sanità, di giustizia quale valore etico-sociale e distributiva, si sentono abbandonati, al contrario di quanto è dato gratuitamente a questa gente non per solidarietà ma per turpi interessi politici di questa sinistra, che si abbassa a tutto pur di avere il voto.

Un demagogico e costoso progetto, senza una visione futura, che non salverebbe nulla ma porterebbe il paese, le cui famiglie sopravvivono grazie a ciò che resta dei loro risparmi e delle pensioni degli anziani, al fatale fallimento.

Sotto riporto la parte finale originale dell’articolo interessato.

“Welfare sì, ma con l’innovazione” dal giornale Regione Piemonte “NOTIZIE” del Dicembre 2017

 

(Ampliando l’argomento: quando mai si è chiesto o si è pensato di chiedere, attraverso una consultazione popolare, ai cittadini italiani ed europei, se erano d’accordo di accogliere, non solo un numero adeguato, ma migliaia e migliaia di extracomunitari? Mai, la fiumana di disperati è arrivata violenta, incontrollata, irrefrenabile. Questa è democrazia partecipativa? No, ignorando la democrazia, il passo verso forme di totalitarismo è breve. E non invochiamo il primo e vero Trattato di Schengen, che non centra nulla con l’accoglienza di extracomunitari).

La situazione è gravissima; giungere a questi livelli significa abuso di potere, pura insensatezza, scollamento dalla realtà culturale regionale, depauperazione di ogni valore morale, della stessa dignità di uomini liberi e della nostra memoria storica piemontese e umana. Folle è volere una omologazione improbabile, pericolosa per gli effetti negativi scatenanti e assumendosi, inoltre, responsabilità e ruoli politici che non spettano a niuno, tantomeno a un governo temporaneo della Regione, che enormi guasti ha prodotto, poiché fin già dalle prossime consultazioni italiane del 4 Marzo, molte cose potrebbero cambiare, compreso lo Status gerarchico, certamente non inossidabile, della Regione Piemonte.

 

Ancora sull’istruzione e gli extracomunitari

Ritorno su un punto dolente che duole sempre più, ed è la gravissima mancanza d’istruzione nelle scuole italiane, argomento già trattato ampiamente nel mio BLOG (stracanen.it), che tuttavia persiste come un male pernicioso oramai inguaribile.

Giorni addietro il conduttore di RAI 1 del mattino Franco di Mare, ha mostrato e commentato, con evidente disappunto, una scena tratta dal quiz serale “l’Eredità” condotto da Fabrizio Frizzi.

In verità il quiz è da cassare, si rivela sciocco, senza capo né coda, con domande disordinate da livello 1° elementare, alle quali, troppe volte, il concorrente o la concorrente non sanno rispondere o dicono fesserie del tipo: “In che anno è morto Hitler?” Sul monitor compaiono quattro date, di cui una giusta. Il o la concorrente medita, poi risponde con una risatina: “nel 1974”. Risposte di questo tenore sono anni che le vediamo e ascoltiamo, dando un’immagine pubblica negativa dell’ignoranza italiana e di un infimo livello culturale e d’istruzione in quale che sia la materia; geografia, storia, matematica, letteratura, scienze e via così. Tuttavia, sono invece quasi tutti bene informati su cantanti di musica leggera, canzonette varie e il calcio; comunque il quiz distribuisce denaro che qualche volta premia il o la concorrente che indovina la risposta giusta. A volte capitano concorrenti anche bravi ma purtroppo, sono molto rari.

Inoltre la trasmissione dimostra di considerarsi per pochi, ovvero; i partecipanti, scelti con molta cura, sono in prevalenza studenti o giovani laureati, gli altri più maturi, svolgono professioni “nobili” o occupati in impieghi pubblici e operatori in attività artistiche, rarissimi gl’imprenditori e artigiani. Non ricordo “umili” operai metalmeccanici, o di altro genere, forse, come partecipanti, farebbero sfigurare il quiz, condotto con molto garbo dal signor Frizzi, il quale, commentando una risposta su alcune verdure, aveva usato, chissà perché, l’aggettivo “umile” per un ortaggio come la rapa.

Il quiz, come altri prodotti televisivi frutto dalla nuova RAI al servizio del potere, è uno specchio fedele di com’è malridotta l’Italia in fatto di cultura e istruzione. Tuttavia non è tutta colpa degli italiani, è anche la politica messa in campo in decenni da un modello di sinistra; quella del “tutto facile”, che premia tutti, del diritto assoluto all’eguaglianza, tutti promossi, nella consolidata, utopica pianificazione culturale di chiaro stampo marxista: ovvero, cancellare la meritocrazia, che è discriminazione.

Chiudo l’argomento rilevando che questo flusso continuo d’individui extra-comunitari deve essere fermato a tutti i costi, basta parole. Fermiamo anche questa turpe, ignobile pubblicità sui bambini gravemente ammalati che troppe associazioni pseudo umanitarie sfruttano e mercanteggiano intoccabili, libere di agire. La politica della solidarietà che si beano d’imporci è fallace, non serve; la vera solidarietà va al cuore, non passa attraverso le tasche di politici millantatori e corrotti.

Oggi le scuole sono prematuramente multirazziali, frequentate da bambini e ragazzi che nella grande maggioranza parlano poco e male l’italiano, non conoscono nulla della nostra cultura, che nessuno insegna loro e c’é l’annoso, irrisolto problema della religione. Per tutto questo non sono stati approntati programmi scolastici che normalizzino una situazione che è nella più totale disorganizzazione.

Le politiche degli attuali governanti è “improvvisazione in tutto” e tutto il paese è nel caos più totale. Costoro tappano la bocca agli italiani con gli 80 Euro, opera della monarchica magniloquenza del reuccio signor Renzi e dei suoi compagni che ne fanno un vanto, sbandierandola ovunque. Un insulto vergognoso a un popolo lavoratore che merita tutt’altro rispetto, non la carità.

Urge definire strategie contro queste sinistre e i loro complici, esse non vanno solo sconfitte ma devono essere messe a tacere.

È in ballo il nostro futuro di piemontesi, lombardi, veneti, romagnoli, abruzzesi, emiliani, napoletani, calabresi, siciliani, sardi e così tutt’insieme, ma nella salvaguardia delle nostre diversità in questo straordinario mosaico di culture che fanno unica questa penisola. Italiani, si, ma nel rispetto e la tutela delle nostre lingue, tradizioni e costumi.

 

Il bullismo

Bullismo. Immagine dal Web

 

Sinonimo oramai desueto ma ancora usato in politica per sottovalutare la delinquenza minorile che si trasforma in criminale, con giudici avvezzi a un facile buonismo nel giudicare i colpevoli; le leggi italiane sono rimaste all’epoca della “monelleria”. Usare il “pugno duro” è il minimo che si possa fare nell’attuale, grave situazione di disoccupazione che aggiunta ai migranti crea malavita. Una situazione che ha creato una diffusa sfiducia, è la totale assenza dello Stato nel salvaguardare e proteggere i cittadini, i quali, imbelli di fronte ai delinquenti, se si difendono e sparano, vanno in galera. È invero “l’Ingiustizia applicata”; una nuova laurea. Tutto il macchinoso apparato della giustizia è oramai al collasso, ed è pubblicamente riconosciuto che la troppa, inutile burocrazia blocca i processi per anni ma che nessuno vi ha posto, o non ha voluto porvi, rimedio.

Si tratta di una situazione ingarbugliata, che può avere un’origine bivalente, ovvero: l’errore catastrofico di valutazione nell’abolire il servizio militare di leva, che ha prodotto milioni di giovani, i quali, liberi da quel vincolo, hanno occupato grandi spazi vuoti nelle comunità, in un tempo relativamente breve. E la conseguenza diretta di quell’errore si è rivelata ben presto negativa e fatale per loro e per la società in cui vivono. Il troppo tempo libero senza una gran voglia di impiegarlo con dovizia, pochi controlli e soldi in tasca da spendere; il passo è breve per cedere a  tentazioni e sensazioni proibite e facilmente si arriva alla droga leggera, poi a quella pesante e per molti l’ultimo viaggio. Un’altra terribile piaga sociale che travolge le famiglie.

È imperativo occupare i giovani; si deve ritornare al Servizio militare di leva o a un periodo di Addestramento militare obbligatorio. Una rigida disciplina, conoscenza e pratica delle armi saranno salutari, preparando i giovani a essere buoni cittadini. L’Art. 52 della Costituzione Italiana recita: “La difesa della patria è sacro dovere del cittadino” e prosegue; Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalle legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici. Ecco perché è importante lo studio della Costituzione, che va riproposto a partire dalle scuole.

“Quando c’era una sentinella armata ai confini del paese”

 

Se finalmente apriamo gli occhi, ci ritroviamo in una società malata, che ha smarrito i valori identitari genuini, contagiando genitori, figli e nipoti, in un paese con governanti arretrati, inadeguati, impreparati a riceverli, che li rifiuta, togliendo loro il lavoro, l’istruzione, e la fiducia nel futuro. Tutto è provvisorio, non ci si sposa e non si hanno figli in questo clima d’insicurezza, ecco la scottante verità. Una situazione, di cui la stessa classe politica ne è stata la nefasta e feconda matrice, provocando disastri inimmaginabili in queste nuove generazioni, causando guasti che per porvi rimedio non basteranno molti decenni, ma occorre la ferma volontà di cambiare.

In questo terribile periodo storico di confusione d’idee e di ruoli, un’Europa per nulla “europea” langue, mentre nel resto del mondo avanzano le economie di grandi Stati liberi e meno liberi che mantengono alta l’efficienza dei loro eserciti, poiché essi garantiscono la pace. L’Italia, ardente europeista, sopravvive soltanto quale serbatoio europeo di migranti. Sottomessa senza avere alcun titolo a discutere progetti e decisioni è ancora la piccola Italia che mendica contributi in denaro e fa incauti debiti per non fallire, al prezzo di essere servile e sollecita a tenere aperti i suoi confini.

C’è un libro di poco più di cento pagine che tutti gli italiani ma soprattutto i nostri politici dovrebbero leggere: “IL PACIFISMO NON BASTA” di Lord Lothian, editore IL MULINO.

 

Federazione degli Stati Uniti d’Italia

Un’idea sempre viva e attuale che salverebbe il paese è il progetto di una Federazione di Stati liberi e indipendenti: gli Stati Uniti d’Italia; potrebbe essere una forza dirompente in questa Europa macilenta. In basso è la copertina del libro di 110 pagine di Marcello Pacini e pubblicato nell’Aprile del 1994. Uno studio attento e compiuto su un programma che esaminava a fondo le due scelte: Stato Federale o Stato Unitario.

“Scelta federale e unità nazionale” di Marcello Pacini

 

In quel  periodo storico la Lega Nord, con una strenua e incisiva battaglia politica, aveva portato lo scompiglio nel tremebondo e pietrificato mondo politico italiano. La lega di Bossi percorreva l’Italia da capo a fondo come un ciclone, ponendo le basi per la Lega Centro e la Lega Sud. Nascevano giornali e ovunque esplodeva l’idea del federalismo. La Fondazione Giovanni Agnelli, aveva preso a quattro mani quest’idea e in due anni di convegni, dibattiti e ricerche, aveva raccolto le riflessioni che hanno dato origine ha questo interessante volume. I quotidiani illustravano il progetto e i giornalisti discutevano e scrivevano. Senza dubbio era stato un passo che preludeva a un evento straordinario; una vera rivoluzione nell’assetto politico della Repubblica Italiana. Ma…; quando in Italia si parla di cambiamenti politici, c’è sempre un “ma”; una congiunzione grande come un palazzo, sempre e dovunque presente quando anche solo si sfiora l’assetto politico statuale italiano, per cui si deve rivoluzionare tutto per non cambiare nulla, come ben affermava a suo tempo, il Nobile siciliano Principe Salina. Con la Lega Nord, in seguito, purtroppo, ci si è arenati e persi nella sabbia del deserto per cause più o meno accettabili che richiederebbero uno spreco inutile di carta e parole. Oggi si possono ben vedere e costatare in ogni ambito della vita dei cittadini piemontesi e italiani i risultati delle lungimiranti politiche delle sinistre che si autodefiniscono “progressiste”, ovvero, nella più fedele applicazione del pensiero espresso dal nobile Principe Salina.

Parlare di federalismo oggi, a questa categoria di politici è come credere nella magia o nei maghi; ma è un madornale errore, poiché mai dal dopoguerra la situazione generale del paese è stata così seria, per quanto si è deteriorata. Una realtà che nessuno di costoro neppure si sogna di mettere in chiaro, tantomeno la maggioranza del nostro governo che presenta riprese impossibili, inesistenti, inventate per convenienze politiche su basi astratte e elettorali. Sono menzogne costruite con la complicità di un’Europa distratta, chiusa nelle proprie crisi politiche, in maggioranze di governo frutto di estenuanti trattative. Tuttavia la Germania sopporta gli scossoni perché ha un’economia solida, ed è soprattutto, uno Stato federale, ben organizzato e decentrato, con cittadini che lavorano e producono come ogni buon tedesco sa e deve fare.

L’Europa Unita si è fermata allorquando non ha saputo costituirsi in una vera Federazione Europea; imputabili in buona parte gli “stati nazionali”, pacifisti a oltranza come l’Italia, in quanto “società chiuse”.

«Lo stato nazionale è la forma compiutamente sviluppata della società chiusa, Si ritrova così una verità elementare: la pace comporta la negazione di uno degli aspetti fondamentali che la storia ha sinora sempre presentato: “la società chiusa”, ovvero, la divisione politica del genere umano. Questa negazione è determinata, il che significa anche storicamente accertabile. Per passare dalla situazione governata dalla guerra a quella governata dalla pace bisogna eliminare i rapporti di forza tra gli stati e sostituirli con rapporti pienamente giuridici; bisogna cioè sviluppare sulla base della negazione del nazionalismo, il federalismo». (Da “Il pacifismo non basta”). Quindi l’Italia vuole “l’uovo e la gallina”. Sempre più accentramento dei poteri, non negazione del nazionalismo e nessuna divisione dei poteri.

“Il federalismo? Dopo il Duemila” da la Repubblica del 29 Ottobre 1994

 

“Un buon federalismo con i piedi per terra” da la Repubblica dell’anno 1994

 

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