Il tutto “italiano” improvvisamente. Una grossolana falsità in sole tre righe.

Il prodotto “tutto italiano”, come si affanna a comunicare la solita TV nei suoi spot pubblicitari, non esiste, non c’è; è sufficiente entrare in un supermercato o in una ferramenta per rendersene conto. Un’antica massima dice che la “menzogna ripetuta all’infinito si trasforma in realtà”.

Le aziende italiane un tempo prime nel mondo, oggi schiacciate o vendute.

Dopo oltre un trentennio di sistematica persecuzione sindacale alle imprese e l’incontrollato trapasso di molti nostri gioielli industriali a gruppi stranieri, i quali, attraverso le frequenti “ristrutturazioni”(che in genere prevedevano il taglio degli occupati) e ridotto le commesse al settore delle piccole, medie imprese e artigianato, hanno avuto, quale unico risultato finale un forte calo occupazionale (sempre contenuto dalla C.I.G.) e in molti casi, con la svendita dell’azienda da parte dei nuovi proprietari che, talvolta, prima di fuggire, tentano di appropriarsi del prezioso marchio.

Storia del partito comunista bolscevico

Tuttavia vanno riconosciute le colpe anche ai figli eredi di grandi industrie e a manager incapaci, senza una visione del futuro che, in definitiva, con la complicità della politica, hanno trasformato l’Italia in una colonia industriale. Dobbiamo inoltre ammettere che alcuni grandi vecchi dell’industria non hanno trovato degni eredi e tantomeno manager capaci di gestire saggiamente le loro aziende. Due generazioni cresciute comodamente sotto l’ombrello dei padri fondatori, che alla loro scomparsa, in breve tempo, hanno preferito vendere a stranieri ingordi i gioielli di famiglia creati con enormi fatiche. E i sindacati? Costatando i risultati è meglio stendere un nero manto pietoso su costoro. “Nel nostro secolo, un paese che non possegga una grande industria manifatturiera, l’industria in senso stretto, rischia di diventare una sorta di colonia, subordinata alle esigenze economiche, sociali e politiche di altri paesi che tali industrie posseggono”. (Luciano Gallino). Ed è proprio quello che è accaduto.

La politica nei miti del comunismo italiano. Il Piemonte: ma com’è potuto accadere tutto questo? Lo vediamo in un breve excursus.

Nel 1946, il libro (di ben 500 pagine) di cui vedete la copertina, circolava in tutte le sedi del P.C. torinese, negli stabilimenti FIAT e in tutte le fabbriche e officine metal/meccaniche. Per gli operai era la bibbia che in quegli anni imperava.

 Il simbolo storico del Partito Comunista Italiano.

Soprattutto il primo dopoguerra è stato un’importante scuola di vita per quella generazione che la guerra l’ha vissuta. La molla che ha fatto scattare questa voglia di rinascita è stata la fine della dittatura e la riacquistata libertà. Il denaro del piano Marshall ha dato un notevole aiuto ma ha fare il salto di qualità sono state le idee, capacità di realizzarle e la grande voglia di riscatto del popolo italiano. Sino alla metà degli anni sessanta la macchina piemontese produceva lavoro a pieno ritmo e il “doppio lavoro” aveva creato benessere diffuso. Ricordo come fosse ieri il 6 maggio 1961, all’inaugurazione dell’esposizione internazionale per il centenario dell’unità d’Italia, quando noi alpini sciatori del “Battaglione Aosta”, in tuta bianca, sfilavamo orgogliosi in “ordine chiuso” di fronte al presidente Gronchi e ai vari ospiti europei e americani, allibiti e ammirati dal “miracolo economico italiano” operato in appena un decennio. Oggi ricordiamo quel giorno con in bocca l’amaro fiele della delusione nel vedere com’è ridotta l’Italia, senza nemmeno un esercito di leva da mostrare al paese i suoi giovani pronti alla difesa della patria. Oggi abbiamo si un esercito ma di disoccupati nullafacenti.

 

Simbolo del P.C.I

Dopo questo flash nostalgico riprendo la parabola “italiana” sul “lavoro” (ricordo che questo sostantivo va inteso quale attività produttiva in cambio di un compenso), soprattutto piemontese e torinese, luogo in cui si sono svolte le più cruente battaglie politiche, con morti e feriti.

Dopo quel periodo di grande fermento lavorativo arrivano gli “anni di piombo”, del 1967/68/69; in cui le battaglie sindacali e il partito comunista raggiungono il parossismo e la pura violenza con l’occupazione delle fabbriche, in particolare negli stabilimenti FIAT, dove il P.C. spadroneggia con i suoi sindacalisti,inneggiando allo sciopero.

Simbolo delle Brigate Rosse

Intanto nel 1969 nasce “Lotta continua” da una scissione all’interno del Movimento operai-studenti di Torino. L.C. è un movimento di orientamento comunista che trasforma la lotta in una sorta di guerriglia urbana, a volte in contrasto con il P.C.. Il movimento conta due giovani militanti morti; Walter Rossi, caduto durante scontri a Roma con dei neofascisti e il 1° ottobre 1977, durante una manifestazione antifascista, organizzata a Torino per denunciare l’assassinio di Roma, un gruppo di militanti incendia un bar ritenuto ritrovo di militanti di destra; nel rogo resta ferito Roberto Crescenzio, che morirà due giorni dopo per le gravi ustioni riportate.

Il braccio con pugno, simbolo di Lotta Continua.

Poi arrivano gli anni 1975/76/77, periodo che s’incrocia con il terrorismo assassino delle “Brigate Rosse”. In questi anni Torino era diventata un caposaldo comunista e il centro operativo della guerriglia più spietata da parte dei brigatisti. Costoro colpivano a morte avvocati coinvolti nei loro processi e poliziotti del N.a.t.(Nucleo antiterrorismo).

Il 28 aprile 1977 un nucleo armato di tre uomini e una donna uccidono il presidente dell’ordine degli avvocati Fulvio Croce;  il 16 novembre del 1977 colpiscono ancora con l’attentato mortale al   vice-direttore della STAMPA Carlo Casalegno, gambizzato e morto dopo 13 giorni di agonia. Continua la catena di uccisioni a Torino; il 10 marzo 1978, alla fermata del tram di Corso Belgio, a pochi passi da casa sua è ucciso a colpi di mitra e pistola il maresciallo Rosario Berardi. Il Berardi, in precedenza, aveva fatto parte del N.a.t., nucleo antiterrorismo torinese e impegnato nelle inchieste contro gruppi eversivi neofascisti quali Ordine Nero e Ordine Nuovo; era stato ucciso per vendetta o era per colpire lo Stato?

Ancora “Le Brigate Rosse” rapiscono Aldo Moro a Roma, poi ritrovato ucciso nella bagagliera di un’auto il 9 maggio 1978 dopo 55 giorni di prigionia.

Qualche opportuna informazione sul Piemonte rosso.

È stata la Regione che ha costituito da casa a una miriade di movimenti (circa un centinaio), quasi tutti con ideologie di estrema sinistra, comunismo, marxismo, operaismo, altri con queste dottrine un po’ altalenanti. Ne mostro alcuni, i più conosciuti. (Tratti da Wikipedia e Feedback).

Simbolo Terza Posizione

Terza Posizione
Immagine tratta da it.wikipedia.org

 

Partito Marxista, Leninista Italiano

Partito Marxista, Leninista Italiano
Immagine tratta da it.wikipedia.org

 

P.C. Internazionalista

P.C. Internazionalista
Immagine tratta da it.wikipedia.org

 

Partiti di sinistra comunista

Partiti di sinistra comunista
Immagine tratta da ilpartitocomunista.it

 

Uno slogan di Potere Operaio
Immagine tratta da www.starwalls.it

Questa “mostra” è all’insegna dei simboli politici di una Torino “comunista”.

L’enorme base operaia di Torino, in quegli anni poderosa città industriale unica in Italia, era stato il facile obiettivo su cui  mirare tutte le proteste e le cruente lotte sindacali/politiche del P.C e dei gruppi della sinistra estrema (periodo che va circa dalla metà degli anni ’60, ai primi anni ’80).

Il “lavoro operaio” si era trasformato in un’interpretazione filosofico/politica dei comunisti, del P.C. e dei movimenti di estrema sinistra italiani.

Costoro non vengono mai sconfitti, sono come un dolce veleno che uccide. La battaglia è quasi impossibile, perché devono essere annientati, ma anche così, qualche virus letale resta.

Serve un’opposizione durissima, aspetto che non si coglie nell’attuale, parolaia e inconcludente.

Il basso livello di scolarità imposto in quegli anni e una divulgazione capillare nelle fabbriche delle ideologie marxiste, sono i motivi che hanno prodotto i peggiori guasti nel sistema economico e nel mondo del lavoro in generale. Celebre una frase di Karl Marx I comunisti possono riassumere le loro teorie in questa proposta: abolizione della proprietà privata.” — Karl Marx.

Marx mostra con  agghiacciante chiarezza l’idea catastrofica del suo concetto politico.

La monarchia in Italia nata torinese/piemontese, ha prodotto, per logica condizione, disposizioni e leggi monarchiche relative al lavoro, d’altra parte era l’assolutismo di quel tempo, quale le altre monarchie europee. Monarchia e soprattutto il fascismo hanno variato questa “condizione”.

In periodo fascista la prima “Carta del Lavoro” è varata nel 1927. Si tratta di una derivazione della “Carta di Carnaro” del 1920, creata dall’interventismo dei “Fasci rivoluzionari di sinistra” e dalla quale furono escluse tutte le istanze democratiche/libertarie, poi riprese successivamente dalla Repubblica Sociale Italiana (R.S.I.). Si rivelavano già i primi palpiti di una sinistra latente, viva.

Dopo laboriose trattative, anche da parte dell’antifascismo i Patti erano accettati e l’11 febbraio 1929 si firmavano gli accordi fra Stato e Chiesa detti “Patti Lateranensi”. Si compongono di due parti: la prima è il Trattato Internazionale con Roma capitale e riconosciuta la sovranità dello Stato della Città del Vaticano. La seconda parte è costituita dal “Concordato” che regola i rapporti fra Chiesa e Regno d’Italia.

“Nell’agosto del 1938, c’era stato un incontro in Svizzera tra un monsignore della Curia e due esponenti del Partito comunista in esilio; questi ultimi rassicuravano l’interlocutore che non avrebbero messo in discussione il trattato ma solo il concordato. Posizione, che nel 1943, sarebbe stata riconfermata dal comunista Giorgio Amendola al direttore dell’Osservatore Romano”.

La destra storica, trasformatasi nel 1882 nel Partito Liberale Costituzionale (P.L.C) è stato uno schieramento politico che ha governato ininterrottamente l’Italia dal 1849 al 1876.

La destra storica aveva dato alla neonata Italia, un’economia basata sul libero scambio. Un altro grave problema che affliggeva il paese, la difformità legislativa lungo la penisola, era stato risolto mediante l’accentramento dei poteri (accantonando i progetti di autonomie locali proposti da Marco Minghetti), estendendo la legislazione piemontese a tutta la penisola e dislocandovi in modo capillare le prefetture come strumento di governo.

Un aspetto politico da tener conto ma che dal dopoguerra non desta più stupore; con la nuova Repubblica, la Chiesa con il Partito comunista ha avuto costantemente uno stretto rapporto per la formula che li accomunava; per la Chiesa si usa la terminologia “potere temporale”, per il P.C. “potere indiscriminato”. Sono e rimangono due rovine per l’Italia.

Condividi questo articolo