La storia del sistema scolastico italiano parte dal 1861 con l’Unità d’Italia. Era stato riformato e uniformato in tutta Italia a quello piemontese, come previsto dalla legge Casati entrata in vigore appunto nel 1861, in risposta all’alto tasso di analfabetismo (circa il 75%dalla popolazione). La legge prevedeva la coscrizione obbligatoria, sostituendo la Chiesa Cattolica, l’unica, da secoli, a occuparsi dell’istruzione.

Nel primo dopoguerra, la scuola, per oltre sessant’anni è stata terreno di conquista politica dei partiti della sinistra, ovvero; il  P.C.I., simbolo storico dei comunisti, quindi P.D.S. poi D.S., costola del P.D.S. e altri marchi “mascherati” sotto diverse forme “vegetali”, la “Quercia e “l’Ulivo. Sono nomee di comodo, acquisite per mescolare le carte ma sono sempre gli stessi comunisti. L’occupazione di questo partito, durata molti decenni (particolarmente in Piemonte), ha operato secondo la loro dottrina di rigido livellamento dei programmi e pianificazione culturale.

Difficile da credere ma nella realtà è stata bellamente inserita in un modo soffuso nei programmi e a volte nei libri, una scuola di partito, applicando il suo sistema arcaico un po’ annacquato: il marxismo. Si è lavorato soprattutto a ritroso, con poca istruzione, il minimo necessario, abbassando la qualità dei programmi portandoli ai livelli dei primi anni ottanta, già in previsione di un allargamento delle maglie dell’accoglienza, permettendo un massiccio arrivo di extracomunitari illegali, in nome di un sostantivo tanto amato dai piemontesi: la “solidarietà”.

La sventatezza e l’incapacità di ministri e assessori crearono grande confusione nei programmi scolastici, causa l’inserimento di questi bambini stranieri, a volte analfabeti, stravolgendo programmi costituiti, rallentando e complicando il normale corso degli studi. Questo malessere era subito bollato dall’ottusità dei politici, quale “razzismo”, niente di più sbagliato.

Questa “istituzione” ha una storia. Perché tale è la Scuola;l’Istituzione più” per l’importanza che essa riveste in uno Stato che si autodefinisce “civile”. Istituzioni come la Giustizia, la Magistratura, il Parlamento, l’Università e molte altre, ognuna nella propria forma specifica.

Possiamo dividerla in due distinti sistemi sociali: “primitiva” e “complessa”.

Primitiva, se è una società governata da pochi eletti, con un capo che, in genere, è l’anziano della tribù o del villaggio. Non esiste nessuna tutela della salute, la quale è affidata a stregoni, maghi o sciamani; non vi sono scuole e i bambini assimilano i costumi e le credenze religiose vivendo in famiglia.

Quando gli agglomerati crescono, le comunità si amplificano e via, via con aree abitate sempre più ampie; le società d’individui diventano “complesse”, poiché s’incrementano aumentando di popolazione; il villaggio diventa un paese, il paese si trasforma in città, è tutto un fervore. La crescita stimola le idee, le iniziative creano lavoro e si aprono negozi, officine, laboratori di artigiani nei loro mestieri, e altre svariate attività. A questo punto cresce un’esigenza diversa. Si rivelano indispensabili i servizi essenziali, quali; l’ordine pubblico, il medico, un piccolo ospedale, la chiesa, e una scuola, perché i bambini imparino e s’istruiscano. È un continuo, intenso fermento operoso: è il progresso che avanza. S’incrementa l’agricoltura, il commercio. Poi arrivano le industrie, la ferrovia, i trasporti, gli operai specializzati, i tecnici, indi gli ingegneri, gli architetti, persone istruite, di cultura e la scuola deve rispondere a tutti questi figli, adeguarsi prontamente con insegnanti e professori più preparati; studiare richiede tempo e gli orari scolastici aumentano progressivamente.

Ecco che la scuola assume un ruolo fondamentale nella società come istituzione pubblica con la coscrizione obbligatoria imposta dalla legge Casati. Non bastano più le elementari, si aggiungono le medie, i licei, le università. Il suo ruolo prende corpo e si amplifica.

È il momento dell’assunzione di grandi impegni e responsabilità, il suo compito è di formare in modo adeguato gli allievi, prepararli a “entrare” in questa società complessa con le opportune conoscenze per rispondere alle nuove esigenze culturali e sociali in tutto il paese, non solo nelle grandi città ma anche nei piccoli comuni, nelle frazioni e per questo abbisogna di un’organizzazione capillare adeguata.

Si tratta di un compito irto di difficoltà, poiché il sistema era stato il medesimo che il Piemonte aveva adottato per l’unificazione della penisola, ovvero sul modello del Regno di Sardegna di stampo“Sabaudo”. Modello che aveva incontrato subito notevoli problemi d’applicazione per lo scontro con culture e consuetudini molto diverse nella penisola, perché la rigida disciplina d’insegnamento di derivazione militare, non trovava proseliti al Centro, soprattutto al Sud del paese.

Tuttavia questo modello, se confrontato all’oggi, aveva grosse lacune. « La scuola materna non esisteva, era affidata all’iniziativa privata; mentre la scuola elementare, destinata alle sole classi popolari, era poi stata gradualmente prolungata a  tre, a sei e finalmente a otto anni ma non dava accesso ad altri studi; il ginnasio-liceo di otto anni, cioè la scuola media secondaria, destinata alle classi dirigenti, iniziava a undici anni, con un esame d’ammissione e accoglieva ragazzi istruiti in famiglia e anche alunni della quinta classe della scuola elementare che, attraverso l’esame, avessero dimostrato di poter affrontare studi ulteriori. Il ginnasio-liceo dava accesso all’università. Soltanto nell’ultimo mezzo secolo il nostro sistema scolastico, attraverso una lunga serie di trasformazioni era diventato unitario, addirittura unico da sei a dodici anni e si era poi articolato in modo da soddisfare tutte le esigenze moderne d’istruzione ». (Tratto da l’introduzione di Raffaele Laporta, dal volume  la “Storia della scuola” di Saverio Santamaita, ediz. Bruno Mondadori).  

Ma le società “complesse” costano, perché i servizi costano e occorre investire molto denaro nella scuola, perché essa possa guardare lontano e lo Stato deve essere pronto per operare insieme a politici intelligenti e ben preparati. Non dimentichiamo che nella storia istituzionale della scuola si riflette uno spaccato della storia italiana, che con fatica cercava di acquisire la coscienza di essere uno Stato.

Tuttavia, col tempo, lo sviluppo crea benessere ma nascono anche differenze che creano attriti fra le classi sociali. Inizia un periodo storico di conflitti in nome di un antipatico sostantivo: il “classismo”. Esso genera divisioni nella politica, subito la sinistra coglie il clima di tensione e interviene attraverso il sindacalismo che fa suo lo slogan: “lotte sociali”. Per le scuole italiane inizia un lungo periodo in cui l’istruzione, intesa come “sapere” cede il passo al grigiore della mediocrità.

Una data importante è il 31 maggio 1974, quando il Presidente della Repubblica Mariano Rumor emana i “decreti delegati”, che prevedevano l’entrata dei genitori nella gestione dell’organizzazione scolastica, anche nei programmi di studio. Il dibattito politico, aveva segnalato la necessità, nella scuola, di una più ampia gestione, democratica e condivisa. Sono stati questi decreti la causa del tracollo della scuola, intesa quale fonte d’istruzione seria. Subito i cambiamenti arrivarono; in ogni scuola si predisponeva un’aula atta alla bisogna. In realtà la funzione di questo locale era di una sede decentrata del P.C. che affiancava le Circoscrizioni della città.

Dopo una lunga battaglia, i comunisti avevano vinto ancora una volta.

Causa il virus Covid 19, la scuola ha viaggiato a ritroso ritornando nel pieno degli anni ’70, quando gli insegnanti regalavano il sei (6) di Stato; tutti promossi. Inoltre, tenendo conto delle attuali, precarie condizioni di salute, da quegli anni a oggi la scuola è ancora peggiorata. All’uscita dalla guerra i programmi scolastici del regime sono stati cambiati ma gli insegnanti sono rimasti, come sono rimaste le tracce lasciate dalle immagini del Duce e del Re sui muri. Tuttavia, contava docenti non di primo pelo, usciti da una dittatura ma culturalmente preparati all’insegnamento. Il sottoscritto nel’44 aveva sei anni e frequentavo la 1° elementare; rammento ancora i loro insegnamenti e quando li rivedo nelle foto provo un po’ di nostalgia.

Ricordo ai corti di memoria, che da circa sessant’anni, con la “nuova” Repubblica, i comunisti hanno fatto molta strada, per cui, nelle scuole di ogni ordine e grado, si è insegnato con docenti preparati con un modello d’istruzione prodotto da una sinistra di stampo “comunista” mirato a un livellamento; ossia di pianificazione verso il basso, (istruzione ma non troppo, insegna il partito), quindi abbiamo almeno due generazioni nutrite con questi principi e in costoro vige la cultura di gruppo. Niente competizione nella scuola, nella vita, nel lavoro, nello sport e il calcio è l’optimum, quindi, niente meritocrazia, la promozione è garantita, accesso alla vita senza ostacoli, problemi vari discussi in gruppo; sembra tutto facile, come fosse un gioco, lo è stato per anni; ma la realtà che si presenta oggi non è così, occorre volgere lo sguardo altrove e per i giovani capaci è meglio la fuga.

Intanto un altro dramma colpisce la scuola: lo “jus soli”, subito accolto dalle sinistre italiane.

(Ius soli (in latino «diritto del suolo») è un’espressione giuridica che indica l’acquisizione della cittadinanza di un dato Paese come conseguenza del fatto giuridico di essere nati sul suo territorio indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori). (Da Wikipedia).

Giuseppe De Lorenzo ci informa, con un vecchio, ma sempre attuale articolo del 28/09/2017 dal titolo; Lo spot allo ius nel libro di scuola:“Immigrati sono indispensabili”, da un libro dell’Editore Loescher di Torino, che è stato adottato da alcuni istituti italiani di scuole medie. Scrive De Lorenzo nella sua indagine:

«In questi anni infatti pare vada di moda sponsorizzare l’immigrazione sin dalla pubertà. Volete un esempio? Eccovi serviti. Prendete la collana “Zoom. Geografia da vicino” edito dalla Loescher Editore di Torino. I tomi scritti a tre mani da Luca Brandi, Guido Corradi e Monica Morazzoni vengono proposti per le scuole secondarie di primo grado (tradotto dal burocratichese: le medie). In prima si studia “Dall’Italia all’Europa”, in seconda “L’Europa: Stati e istituzioni” e in terza “I continenti extraeuropei”. Nulla da dire sulla qualità del prodotto. Sembra tutto nella norma, eppure sfogliandolo pagina dopo pagina si arriva a scoprire che presenta gli stranieri come una “indispensabile” risorsa per il Belpaese e che sponsorizza, velatamente, l’approvazione dello ius soli.

Vi chiederete: perché un testo scolastico dovrebbe spiegare ad un bambino di 11 anni che l’immigrazione è cosa buona e giusta? Risposta logica: non c’è motivo. Eppure succede. Acquistando “Zoom. Geografia da vicino” per la prima media, infatti, i genitori ricevono a casa anche un piccolo tomo intitolato “In prima!”, una sorta d’introduzione allo studio della materia. Alle pagine 31 e 32 gli autori hanno inserito alcuni esercizi in cui l’ignaro studente può provare a mettere in pratica i consigli su “come leggere i testi non continui” (tradotto: le tabelle). Il brano proposto è stato estratto dalla pagina 182 del “tuo libro di geografia” e non elenca le province dell’Umbria o i confini della Lombardia, ma parla di migranti (perché? Mistero). “Oggi l’Italia è il quinto Paese europeo per numero di residenti stranieri”, si legge. E ancora: “Secondo i dati dell’ultimo censimento 2011 (…) gli stranieri residenti in Italia sono circa 4,5 milioni, il triplo di dieci anni prima”. Ma il meglio arriva alla pagina successiva. La tabella viene divisa in due: da una parte la foto di un barcone carico di disperati “al largo delle coste italiane” (incredibilmente chiamati col loro vero nome: “Immigrati clandestini”); dall’altra il paragrafo intitolato Una presenza indispensabile. Il contenuto è un inno al pensiero unico: “Ormai quindi l’Italia è terra d’immigrazione e gli immigrati sono una presenza indispensabile, soprattutto in alcuni settori lavorativi come l’edilizia, il lavoro domestico, l’assistenza a bambini e anziani”. Manca solo il classico ritornello del “ci pagano le pensioni” per chiudere il cerchio. Ma per ora meglio puntare sullo ius soli: “La convivenza tra italiani e stranieri – si legge infatti – non è sempre facile e non sempre la legge italiana favorisce l’integrazione”. Che brutta cosa, penseranno gli studenti. E come mai la coabitazione è così complessa? Per via dei reati commessi dagli stranieri? Macché. Tutta colpa dell’assenza dello ius soli. “Ad esempio – spiegano gli autori agli ignari pargoletti – i figli di stranieri nati in Italia continuano a non aver diritto alla cittadinanza italiana, anche se vivono nel nostro Paese da sempre”. Molto commovente e di certo convincente per alunni che ancora non hanno sviluppato senso critico».

Se questi sono gli editori che producono “cultura”, ebbene, preferiamo le lezioni di un anziano capo tribù africano…

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