Mese: Gennaio 2019

Sulla nostra Costituzione e sul “Federalismo”

di Carlo Ellena

La Costituzione italiana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, è sempre stata un problema, per così dire, “costituzionale” per i suoi intendimenti, influenzata com’era in parte, dalla caduta del sistema collettivistico comunista. Tant’è che era stata pensata in un certo senso, come “provvisoria”, appunto per evitare il modello di comunismo integrale. Le opinioni negative di G. Miglio su questo modello, poggiavano su ragioni storiche solide, motivate da una profonda conoscenza del paese. Infatti, egli credeva fermamente e con ragione, che una buona parte degli italiani avessero una vera vocazione per l’economia collettiva e per lo stipendio pubblico assicurato e garantito dalla forza politica che lo portava in dote quale sistema proprio.

Un modello economico imposto dai russi con metodi non proprio pacifici in Ungheria, Cecoslovacchia e Polonia. Il P.C. era convinto di un passaggio politico pacifico in Italia, proprio per le ragioni suddette e giungere in modo legale al potere, ovvero, senza usare la forza.  Ma G. Miglio aveva un’opinione ben precisa sui “lati oscuri” di questa nostra Costituzione; era convinto che essa fosse stata creata con un doppio senso. Nel suo insieme, si presentava, in modo formale, con una struttura liberal-democratica ma a uno studio più approfondito, conteneva dichiarazioni di principio atte a essere interpretate in modo da aprire le porte al modello collettivo, ossia il comunismo.

Riassumendo i fatti; nell’attesa degli eventi le sinistre compartecipavano ai vari governi, frenando e impedendo lo sviluppo liberal-democratico della Costituzione.

A fronte di maggioranze filo-liberali, è il caso di dire, “all’italiana”, imbelli e corrotte ma protratte nel tempo; il P.C., poi Quercia, Ulivo, P.D. e altre sigle, consolidava con determinazione la sua posizione, occupando i punti chiave dello Stato, delle regioni, province e città, dimenticando, nella corsa al potere, la vera vocazione popolare del partito. Tutto questo colludere immorale, ha avuto costi tali da impoverire e dissanguare il paese. Colpa da imputare ai colpevoli silenzi e l’indifferenza non solo alle sinistre ma a tutte alle altre forze politiche, complici nell’alternarsi di maggioranze ormai fatte sistema. Ai giorni nostri, le due ultime consultazioni popolari, veramente popolari, vale a dire “fatte dal popolo”, hanno dimostrato il fallimento di una classe politica incapace, pericolosa, che peraltro, con un’arroganza senza pari, arringa in parlamento la nuova maggioranza di Governo, rimescolando e mentendo su tutto ciò che loro stessi, in almeno dieci lustri, hanno fatto. Costoro meriterebbero il trattamento riservato da Luigi Einaudi alle sinistre, che, nel maggio del 1947, ne decise l’esclusione e l’allontanamento dal governo.

A quel tempo il precipitare della situazione con il dollaro a 430 lire e poi a 600, per Einaudi era giunto il momento dell’assunzione diretta di responsabilità di governo e assunse l’incarico di ministro del Bilancio con funzione di vice-presidente del consiglio dei ministri. La sua decisa azione, che l’aveva posto in urto anche con grandi potentati economici, ”riuscì in un anno ad arginare l’inflazione e a stabilizzare la lira”. Ma “questo era un campione della libertà economica e dell’ortodossia finanziaria”, oggi, purtroppo, inesistente nel panorama politico.

Ai giorni nostri, aggiungerei d’istituire, a tempo e luogo, una Commissione d’inchiesta per esaminare l’operato dei governi di sinistra nei decenni passati e i silenzi criminali di tutte le altre forze politiche sui perché della fuga dall’Italia della FIAT. La gente deve sapere.

Per l’Italia, il modello “Federale” è giunto oramai all’improrogabile necessità di realizzazione, onde creare una “divisione dei poteri”, che è l’extrema ratio per bloccare, senza tentennamenti, al dilagare della corruttela, del declino e tragico impoverimento del paese. (Frasi in grassetto da”Luigi Einaudi” di G. Marongiu).

Notare il rapido capovolgimento politico illustrato nelle immagini sottostanti.

(Tratto da: TODAY – Foto del 31 gennaio 2018)

Situazione dell’ITALIA politica nel 2004

 

Situazione dell’ITALIA politica nel 2009

 

Situazione dell’ITALIA politica nel 2014

Come mostra la cartina, nel 2014 e con un incremento negli anni successivi (sino al 2016), il dominio del potere rosso nel paese è stato assoluto; d’altra parte lo era da ben oltre quarant’anni occupando, con i suoi uomini, la quasi interezza dell’apparato-servizi dello Stato, scuole pubbliche comprese, ovvero; i dipendenti pubblici di ogni ordine e grado operanti nei comuni del paese.

 

Segue l’articolo originale: Elezioni politiche, la mappa della nuova Italia post voto (Martedì 6 Marzo 2018). Il Mattino tratto da https://www.ilmattino.it/speciale_elezioni/politiche_18/elezioni_mappa_italia_collegi-3589391.html

 I COLLEGI AL SENATO
Nelle Regioni centrali Lega e Forza Italia sono (quasi) senza rivali. Solo in Toscana il Partito democratico mantiene il primato, anche se di poco. Il Movimento 5 Stelle fa il pieno nelle Marche ma è indietro nel Lazio.
I COLLEGI ALLA CAMERA
In Abruzzo e Calabria il centrodestra frena l’avanzata dei grillini. I territori meridionali vanno a M5S, che ottiene il “cappotto” in sei Regioni. Disastro totale per il centrosinistra: resta all’asciutto al di sotto del Lazio.

 

Le immagini parlano da sole; siamo alla resa dei conti e solo oggi iniziamo a pagare i costi salatissimi dei madornali errori commessi. Le sinistre rosse, in combutta con i burocrati di Bruxelles e i sindacati CGIL, CISL, UIL, veri artefici del disastro italiano, hanno causato la fuga e il fallimento di migliaia d’imprese, creando miseria e disoccupazione, con il risultato di portare i cittadini all’esasperazione, poi esplosa con rabbia, nelle votazioni politiche del 4 marzo 2018, le quali hanno ribaltato in toto l’assetto politico del paese. Un vero “caso” senza precedenti nella storia della Repubblica Italiana. Chi ha pagato e paga i costi altissimi del crollo occupazionale, è il settore dell’artigianato, proprio per la ridotta dimensione delle imprese, le prime ad accusare i contraccolpi delle crisi, com’è successo nell’indotto FIAT piemontese.
L’artigianato (il vero termometro dell’imprenditoria), è sempre stato una vocazione per Piemonte, in particolare Torino e provincia, perché forza propulsiva per il lavoro autonomo: scuola di vita, voglia d’indipendenza, di essere imprenditore, stimolo per l’inventiva; forgiare idee, primeggiare, competere; settore nel quale la meritocrazia è dovere per i migliori. Purtroppo, qualità che si stanno perdendo; la prima è l’idea del lavoro quale fonte di benessere; grave colpa è stata il ribaltamento della “concezione” del lavoro, oramai ridotto a fastidiosa necessità e l’insegnamento con sfondi politici inculcati con metodi subdoli per educare e istruire non giovani pensanti ma burattini incapaci, buoni a fare poco o nulla. Questo ha fatto la Scuola per oltre quarant’anni.

Effetti; il trend per l’artigianato, a partire dal 2007, ha segnato un costante calo, sia nella produzione, sia negli occupati, come si può osservare dai grafici sottostanti.

L’assestamento nel 2017 è fisiologico; è l’attesa per le nuove votazioni politiche.

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Italia, timida voglia di autonomia – APPROFONDIMENTO

A seguito del post precedente relativo alla Costituzione Federale, ne riporto un capitolo importante.

I requisiti necessari (di Gianfranco Miglio).

 

Una “vera” Costituzione Federale deve avere i seguenti requisiti. Se non li ha, non è federale (e quindi non produce gli effetti che da essa si attendono, ma crea invece danni incalcolabili).

  1. In primo luogo le regole che seguono devono derivare da un’apposita Costituzione. Non si possono innestare “elementi di federalismo” su di una Costituzione ispirata ad altro modello. La revisione costituzionale deve poi essere soggetta a procedure molto aggravate: discussa e approvata da coloro che detengono il potere nei diversi livelli e dai cittadini di tutte le unità (Cantoni) che compongono la Federazione.
  2. Il potere deve essere diviso sul territorio: nel senso che le funzioni di governo non siano concentrate in un solo fulcro di potere ma divise stabilmente fra almeno due aree. Queste possono essere più di due ma mai meno di due: i soggetti membri della Federazione (Cantoni) e la Federazione stessa. La diffusione del potere nella Costituzione Federale fa sì che in questa non esista alcun “sovrano”. “Sovrano” (secondo la più genuina concezione del costituzionalismo europeo) è soltanto l’ordinamento nel suo complesso. In questo senso i titolari di funzioni pubbliche, sono “partecipi” della sovranità. Ma quest’ultima, nella sua accezione tradizionale e solitaria, viene superata e sostituita, da momenti di decisione funzionale diffusi nell’intera Costituzione.
  3. L’autorità federale non deve essere un potere “superiore” o comunque separato dalle autorità che governano i “Cantoni”: deve nascere dall’assemblaggio dei governi cantonali. La forma di governo più adatta ad una Costituzione Federale, è perciò quella “direttoriale” (come nella Confederazione Elvetica): un Direttorio composto dai vertici stessi dei “Cantoni” e soltanto “guidato” da un Presidente eletto da tutti i cittadini. In tal modo, autorità cantonali ed autorità federale si combinano e si compattano, rendendo immediato il confronto delle decisioni e riducendo il percorso necessario per giungere a queste ultime.
  4. I Cantoni (ordinari e principali, fatto salvo dunque il caso delle Regioni a statuto speciale) non devono essere piccoli. E ciò per tre ragioni: a) per poter gestire efficacemente le vaste esigenze del governo; b) per poter resistere alle lusinghe o alle minacce (pretese “sostitutive”) dell’autorità federale ( come invece non è accaduto in USA ed in Germania); c) per poter formare, con i propri vertici, un Direttorio federale agile e funzionale.
    Una Federazione, costituita da molti piccoli soggetti (Regioni, Lӓnder e così via) è destinata rapidamente a trasformarsi in un sistema centralizzato. Hamilton chiedeva che gli Stati Uniti fossero composti da tanti piccoli “States”, perché pensava che la Federazione fosse lo stadio di transizione verso una Repubblica nazionale centralizzata. E se la Confederazione elvetica è rimasta tale, sebbene composta da ventitré piccoli Cantoni, ciò è accaduto perché questi ultimi sono sorretti e guidati da cittadini, irriducibilmente decisi, per secolare tradizione, a difendere la loro individualità: tutto il contrario delle nostre “Regioni”.
    Una federazione, formata da grossi Cantoni, apre la sola prospettiva possibile a una integrazione europea di tipo anch’essa “federale”: perché un reticolo di contratti (trattati) fra “grandi regioni” (Cantoni) al di sopra dei confini “nazionali”, costituirà il superamento del pluralismo negativo degli “Stati sovrani” oggi ancora imperante.
  5. Mentre in uno Stato unitario e accentrato si tende a comandare con atti d’imperio (provvedimenti e decisioni presi dall’alto), in un sistema federale, a tutti i livelli, si tende a operare con il sistema del contratto, cercando sempre il consenso delle popolazioni coinvolte. In una vera Federazione non c’è posto per l’autorità carismatica di un “demiurgo”, di un “salvatore della patria”, ma soltanto per “decisioni”, le quali vengono prese, dai titolari di pubblico ufficio, dopo che si è negoziato fino al limite del possibile.
    Egualmente non si ricorre alla regola della “maggioranza” per troncare un eventuale contrasto. Perché coloro che si trovano in “minoranza” devono essere convinti prima di dover rinunciare alla loro opzione; verso coloro che sono in minoranza non si deve usare la violenza del numero ma la persuasione del negoziato.In una Federazione non c’è spazio per il principio “gerarchico”: autorità cantonale (e prerogativa municipale) da un lato e autorità federale dall’altro, non costituiscono una “gerarchia” ma sono “parimenti ordinate”. Da qui deriva che il principio di “sussidiarietà” è intimamente opposto allo spirito del federalismo, ed è invece funzionale alla creazione – o alla restaurazione – di un sistema unitario e centralizzato.Sussidiarietà e gerarchia sono sinonimi.
  6. Il punto cruciale di ogni ordinamento federale è l’esistenza di procedure, costituzionalmente organizzate e garantite, che – salvaguardata la competitività implicita del sistema, ed il suo riposare su di un confronto senza fine – producano decisioni normative e governamentali certe e in tempi ragionevolmente brevi. Dopo avere discusso fino in fondo e confrontato le posizioni divergenti, si devono operare scelte non equivoche e per quanto possibile precise. Le istituzioni della Repubblica federale devono attribuire questa responsabilità decisionale a persone e a collegi precisi, situati nei diversi livelli dell’ordinamento.
    Tali procedure controbilanciano il carattere contrattuale, competitivo e aperto del sistema federale. Discutere sempre fino in fondo ma poi, in tempi certi e prestabiliti, decidere.
  7. Un ordinamento federale è alimentato e sorretto da due vocazioni, da due inclinazioni ideali dei suoi cittadini, La prima di queste è un profondo interesse e rispetto per le diversità: per ciò che – sul piano dei costumi, delle tradizioni culturali, dello stile di vita – differenzia le persone e le loro aggregazioni. La pretesa di rendere l’umanità omogenea è profondamente estranea al vero federalista. Perché è un conto battersi affinché i diritti civici e individuali siano estesi a tutti gli uomini e le donne; un conto è invece pretendere che quest’uguaglianza giuridica sia la base per far diventare uniformi ed omogenei tutti i popoli che la natura ha reso – e continua a far diventare – diversi. Così, mentre uno Stato unitario ed accentrato, mira a rendere tutti i cittadini eguali, omogenei e diretti dall’alto, una Costituzione federale è fatta per conservare, tutelare e gestire le diversità.
  8. La seconda vocazione di una convivenza federale è il culto della concorrenza e della competizione. E ciò accade perché esiste una stretta relazione tra federalismo ed economia di mercato. Come tutte le economie “amministrate” e collettive, presuppongono una centralizzazione dei poteri ed una struttura monocratica, così al contrario l’economia di mercato, basata sul pluralismo e sulla libera iniziativa dei soggetti, trova il suo clima congeniale nei sistemi politico-amministrativi federali. Alla competizione dei soggetti economici corrisponde la competizione ed il confronto (incanalato nella Costituzione) fra i soggetti politici della Federazione (Cantoni ed altre unità legittimate).

Se si analizzano le cose con la dovuta attenzione, si deve costatare che tutti i requisiti essenziali per il successo di un moderno sistema federale, finora analizzati, sono già venuti emergendo, “di fatto”- almeno qui in Italia – negli ultimi quarant’anni; e si sono profilati nel contesto della Costituzione del 1948, man mano che questa si andava deformando. Così che l’adozione di una Costituzione federale oggi rappresenta la razionalizzazione e la traduzione in positivo, di tutti i fenomeni negativi e degenerativi che si sono venuti accumulando negli scorsi decenni. Paradossalmente la trasformazione federale è stata preparata dalla decadenza della prima Repubblica.

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